mercoledì 14 maggio 2014

L'eguaglianza è ciò che fa la differenza


L'eguaglianza è ciò che fa la differenza

di ROBERTO NISTRI

Recensione a "Destra e sinistra" di Norberto Bobbio, pubblicata in: Quotidiano di martedì 22 marzo 1994





Il Gran Bazar del “nuovismo” continua freneticamente a spacciare luccicanti patacche, nel rumoroso talk-show affollato da tutti i magliari e gli imbonitori della peggiore politica-spettacolo. L'orchestrina degli ideologi della “morte di tutte le ideologie” ha suonato a ripetizione il motivo della “obsolescenza delle vecchie categorie della Destra e della Sinistra”, ed ecco che la nuova legge elettorale ci restituisce pari pari, con il suo implacabile “o di qua o di là”, la buona vecchia coppia antitetica: appunto, la Destra e la Sinistra. E che la cosa non sia per niente sorprendente ce lo spiega, con l'impagabile chiarezza che è propria della grande onestà intellettuale, Norberto Bobbio con il suo ultimo pamphlet:  Destra e Sinistra. Ragioni e significati di una distinzione politica (1994).  
      La maggior parte delle persone ritiene che questa distinzione abbia ancora un valore, ma i criteri per giustificarla sono i più vari, ed è merito di Bobbio l'aver delucidato con metodo rigoroso tali criteri ed aver affrontato la questione a partire dal suo più profondo nucleo teorico. E facile constatare l’esistenza di molte “destre” e molte “sinistre”, ma questa constatazione di fatto induce non all'elusione ma alla ridefinizione dell’essenza più intima della distinzione, del criterio per distinguere la destra dalla sinistra. Perché di questo si parla quando s'invoca la tanto sospirata alternanza, fra che cosa? Ma si capisce, fra una sinistra e una destra, al di là delle cortine fumogene.
       La differenza consiste nel diverso atteggiamento che le due parti - il popolo di destra e il popolo di sinistra - sistematicamente mostrano nei confronti dell'idea di eguaglianza: la “contrapposizione fra visione orizzontale ed egualitaria della società e visione verticale o inegualitaria”.   Naturalmente, eguaglianza e diseguaglianza sono concetti relativi: né la sinistra pensa che gli uomini siano in tutto eguali, né la destra pensa che essi siano in tutto diseguali. Ma coloro che si proclamano di sinistra danno maggiore importanza, nella loro condotta morale e nella loro iniziativa politica, a ciò che rende gli uomini eguali, o ai modi di attenuare e ridurre i fattori della diseguaglianza: mentre coloro che si proclamano di destra sono convinti che le diseguaglianze siano un dato ineliminabile, e che in fin dei conti non se ne debba neanche auspicare la soppressione.  
      Questa idea è ampiamente condivisa, anche da parte di persone che appartengono a schieramenti opposti. Così un intellettuale di sinistra come Cacciari: “L'esistenza di condizioni di base d'uguaglianza, e dunque di politiche di difesa dei ceti meno protetti, più deboli, vale per me come componente essenziale della qualità della vita”. Bobbio cita anche il parere dell'ideologo di Alleanza Nazionale, Fisichella: “Mentre la sinistra è fondata sull'idea di eguaglianza, la destra su quella di non egualitarismo”. La rivista di destra “l'Italia” pubblica articoli intitolati Abbasso l'eguaglianza, così come la rivista politica ufficiale del fascismo era intitolata “Gerarchia”.
      Bobbio tratta le “ragioni” di entrambi i campi, ma gli sembra evidente che la spinta verso una sempre maggiore eguaglianza sia irresistibile. Ogni superamento di questa o quella discriminazione “rappresenta una tappa, se pure non necessaria ma soltanto possibile, del processo di incivilimento”. Nel suo saggio Bobbio ha analizzato l'uso delle due parole all’interno della tradizione politica che risale alla Rivoluzione francese, ma se è vero che “essere di sinistra significa mettersi dalla parte dei più deboli”,  questa qualificazione si deve misurare  con una simbologia che da millenni accompagna tutta la storia della cultura (ad eccezione dell'Estremo Oriente).
      Secondo Silvio Curletto, in La forma e il suo rovescio (1990) “destra e sinistra rappresentano due poli opposti che nella loro reciproca azione di attrazione/repulsione caratterizzano la vita dell'uomo e dell'universo”.  Nella cultura arcaica la destra è la parte della “forza” e quindi del “bene”: tutto quello che è bello, piacevole, conveniente e prospero rientra nel dominio della destra, mentre il cattivo, l'infausto e il dannoso domina nella sinistra. La destra incarna il principio dell'ordine e della normalità in opposizione all'anomalo, identificato con il mancino, diverso e  pericoloso. La sinistra pertiene alla potenza passiva femminile, la destra a  quella attiva maschile. Presso i greci, a sinistra e a destra si collocavano le coppie materia-spirito, notte-giorno, luna-sole, pari-dispari, madre-padre. I presagi favorevoli apparivano sulla destra, come segno del successo. Si pensava che le bambine provenissero dal testicolo sinistro e i maschietti da quello destro.
      Presso i latini la parola sinister aveva un senso negativo, conservato nella nostra lingua: si pensi al valore di termini come “sinistro”, “sinistrato”, “destro”, “maldestro”. Nella Bibbia, guardare a destra (Salmi, 142, 5) significa guardare dal lato del difensore, verso la salvezza. Alcuni commentatori rabbinici precisano che il primo uomo Adamo, prima della scissione, era maschio dal lato destro e femmina dal lato sinistro.
       Il Medioevo cristiano non è sfuggito a questa tradizione, opponendo la sinistra femminile, notturna e satanica, alla destra maschile, diurna e luminosa. Così le messe nere comportano il segno della croce fatto con la mano sinistra e il diavolo marchia i suoi adepti sotto la palpebra sinistra. I mancini sono maghi e stregoni temibili perché capaci di alterare il corso regolare dell'esistenza. Nelle raffigurazioni del Giudizio Universale gli eletti sono posti a destra e i dannati a sinistra. Scrive Guglielmo di S. Thierry: “L'umiltà è il segno certo della pecora del Signore che va messa a destra; così la domanda orgogliosa del non credente è segno del caprone, da mettere a sinistra”.
      Nella Commedia la regola impone a Dante e Virgilio di procedere sempre a sinistra nell’Inferno e sempre a destra nel Purgatorio.
Nessuna  speranza dunque per i deboli, le donne e i “dannati”? La storia del mondo è la storia di questa speranza, quella dei vinti che non vogliono sognare il sogno dei vincitori. Giustamente Bobbio mette in guardia contro la sovrapposizione del linguaggio religioso univoco (assoluta positività della destra) sul linguaggio politico relativistico (i buoni e i cattivi possono trovarsi tanto a destra quanto a sinistra).
       Ma è proprio così univoco il linguaggio religioso? Chi è alla destra di chi? Da dove vengono Gioacchino da Fiore e Thomas Muntzer, i Lollardi e i Livellatori, e la Teologia della Liberazione? Non vengono forse dal più grande capovolgimento dei valori, dalla inversione della regola che qualifica la tradizione evangelica? “Beati i poveri di spirito ... beati i miti ... beati quelli che piangono ... beati i pacifici ... “ (Matteo, V), beati in sostanza tutti coloro che il mondo ha sempre giudicato infelici od inetti. Non vogliamo intervenire nella eterna “querelle” (Gesù è di destra o di sinistra?) riaperta da monsignor Luigi Bettazzi, vescovo di Ivrea, con una dichiarazione di tipo “progressista”. Ci limitiamo a ricordare la figura  del sindacalista americano Powers Hapgood, organizzatore dei minatori e indomabile agitatore negli anni '30. Nel corso di uno dei tanti processi da lui subiti, il giudice Claycomb gli chiese: “Come mai una persona di buona famiglia e istruita, come lei, ha scelto di vivere come lei vive?”. “Perché?”, gli rispose Hapgood. “Mah, per via del Sermone della Montagna, signore”.
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      In tanti hanno ceduto spesso alla dolce tentazione del né né (di destra o di sinistra) che Zagrebelski considera un luogo politico inesistente: quando si affronta il piano delle decisioni, la scelta è inevitabile. Non c’è “terzismo che tenga”. Ne è convinta anche una politologa non di sinistra come Sofia Ventura: “Se non ci fossero disposizioni nello spazio politico, non ci sarebbe neppure la politica”. Chi si muove è tenuto a dire dove va, senza cincischiare sprezzantemente sulla geografia dell’agorà. Nel 2014 Matteo Renzi ha proposto una revisione della dicotomia bobbiana,  utilizzando la parola magica della Innovazione. Il mito del Nuovo sembrerebbe la chiave interpretativa per orientarsi nella grande arena della creatività, dal marketing all’industria, dalle arti alla didattica, inseguendo una iperbolica Rivoluzione di fuochi d’artificio lessicali.
      Ancora una volta, niente fatti ma giochi di parole , nel repertorio vintage buono per Grillo e Berlusconi e compagnia cantando. Intanto la diseguaglianza sembra ancora figlia della natura e di Dio. La forbice si è sempre più allargata, diritti sociali e welfare sembrano antiquariato, il neoliberismo spadroneggia ovunque secondo la logica del ciascuno per sé e Gratta e vinci per tutti. Alla fin fine, ritorna alla ribalta una coppia che di nuovo offre ben poco: energia personale darwiniana più la “lingua della solidarietà di papa Francesco”. Herbert Spencer e il Vangelo tornano a fare coppia come nell’Ottocento.
       Malgrado gli sconvolgimenti sociali di portata eccezionale, determinatisi nell’ultimo ventennio, anche per Daniel Cohn-Bendit il testo di Bobbio rimane un punto di riferimento fondamentale. La battaglia democratica è lungi dall’essere conclusa, anche per la stanchezza europea e una certa assuefazione all’intolleranza e all’ingiustizia dentro e al di fuori delle  frontiere dell’Unione.  Nell’età della diffidenza generalizzata, una crisi di legittimità  e una crisi identitaria che richiedono una superiore qualità della performance dei gruppi dirigenti. Aggiungiamo da parte nostra che urge disseppellire la più importante arma della sinistra: l’universalismo democratico contro le ossessioni particolaristiche.