giovedì 14 giugno 2018

Dalle macerie. Un ricordo di Alessandro Leogrande


Dalle macerie. Un ricordo di Alessandro Leogrande


di Roberto Nistri
Lo scorso venerdì 1 giugno 2018, a Palazzo di città, veniva presentato un volume collettivo dedicato all’opera e alla memoria di Alessandro Leogrande, il maggiore scrittore tarantino. Sfogliando le pagine del volume “Dalle macerie”, ritornava alla memoria una piccola battaglia culturale fra i due mari, che doveva suscitare un certo scalpore sulla stampa cittadina: la questione dei cosiddetti neo-spartani. Per Alessandro oggetto di una necessaria puntualizzazione storiografica, per lo scrivente la necessità di non mettere in campo altre perniciose burle che i tarantini hanno giocato, contro se stessi, magari imbambolando anche ministri e senatori vogliosi di passerelle.
Agli inizi del secolo nuovo, l’amico Alessandro rimaneva perplesso di fronte all’improvvisa
passione dei tarantini per i culti Spartani: “La cultura è sempre rivolta al futuro, se vuole essere
vitale, anche quando recupera i fili più o meno sotterranei che legano il futuro al passato, non dovrebbe farlo con astrusi revanscismi o passatismi… Un vagheggiamento rivolto non all’Atene dei filosofi e dei tragediografi, ma alla Sparta grigia e militarista, che in Grecia riscuote successo solo presso i fanatici nazisti di “Alba dorata” (Corriere del Mezzogiorno del 23 Agosto e 21 novembre 2014).
Il mito di Sparta era stato coltivato da Hitler come luminoso esempio di Stato costruito su base razziale. Non si capisce a quale brand mondiale della “svolta” tarantina facessero riferimento il candido ministro della Cultura Franceschini e il presidente del senato Grasso che si sono illuminati a cavalcione di una malaugurante Cometa Spartana. (cfr. “Quotidiano” del 25 novembre 2014) Tutto questo nel mentre si discuteva sulla soppressione della facoltà di Beni culturali nella cosiddetta Università di Taranto. La nouvelle vague neo-spartana seduceva i due illustri ospiti che scoprivano un “brand-volano per una città sofferente”, brandizzando la nobile Urbs “Taranto città Spartana, esempio per tutti”. De chè, boh… (“Quotidiano” del 25 novembre 2014).
Annuciazione, annunciazione! Meno male che non segue mai la manutenzione. In omaggio al film “Trecento”: erano già pronti in cantiere il logo lambda da appiccicarsi ovunque, scudi rotanti e luminosi, statua bronzea di Taras, galee spartane e gondole con parco tematico. Mammoccioni in vetro resina, attrezzistica per body building rugginosa. Vecchi peplum e Maciste. Giustamente Alessandro indicava l’autentico privilegio di Taranto come punto d’incontro fra Oriente e Occidente, altro che il kitsch folklorico e strapaesano con genealogie farlocche e fondali di cartongesso in stile finto antico, con un residuale Museo spartano da nessuno accreditato. Sangue Spartano e piedigrotta cataldiana. La erezione di un falanteo bronzo al centro di piazza Garibaldi. Come si dice, una erezione non si discute. Blunt und boden, terra e sangue. Gloria al pesce strunzo. Pacchianate etiliche e tricche ballacche. Tanto tutte le salme finiscono in gloria. Quanto all’ossessione identitaria, rimane pur sempre la fucina del razzismo. All’epoca don Tonino Bello pregava: "che la Puglia (Apulia, terra senza porte) si pieghi come arca di pace e non arco di guerra”.
“Macerie” è il dolente titolo del volume collettivo che gli amici hanno voluto dedicare al nostro maggiore scrittore tarantino. Antonio Rizzo nel secolo scorso e il nostro contemporaneo Alessandro Leogrande rimangono senza dubbio le figure più esemplari della cultura tarantina. Purtroppo, negli anni lunghi della monocultura statalmilitare e di quella siderurgica, rimane solo l’eredità di un sottobosco mitomane e inconcludente, dalla Accademia dei Terroni agli Spartani fanfaroni.
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Mi sia permesso, di ricordare una curiosa tenzone poetica fra due mari che molto divertiva il nostro buon amico. Il dolente Titolo del volume collettivo che gli amici hanno voluto dedicare alla memoria del Maestro Alessandro Leogrande, “Macerie”, ci ha fatto tornare con la memoria a un titolo simile, risalente agli anni Settanta. Nel 1972 il poeta Nerio Tebano pubblicava a Napoli un vecchio Poemetto in prosa: “Città di Macerie”. Incipit: “Era crollata la mia casa, la mia Città. Era crollata la mia casa, la mia città era fatta macerie…” Nel 1953. A un certo punto sulla stampa spuntavano tre poemetti, due di essi a firma di Tebano, il terzo firmato da Giorgio Liberati.
Dalla “Città di macerie” si faceva avanti il giornalista Barbalucca nel 1953. Nel 1955 toccava al poeta Barbalucca, la rivendicazione di Città di macerie. Ma il giornalista collezionava alcuni impicci e scompariva nelle tenebre. Richiesta la perizia di Piero Mandrillo, studioso della poesia tarantina. Cincischiava di lasse poetiche, ma rimaneva ancora oscura la proprietà dell’opera. Si arrivava sino al 1960. Ben tre pubblicisti della stessa “Tribuna del Salento”. “Città di macerie “era ancora in ballo. Con Mandrillo si avanzava nelle tenebre: intanto sulla rivista di toponomastica, tale Aurelio Svelto faceva una bizzarra scoperta sul vico Borgia, così nomato perché imparentato con Lucrezia Borgia (?!). Boiata pazzesca! Risorgeva la “Città di macerie”. Pian piano Mandrillo, con le sue lasse poetiche, andava convincendosi di essere lui il vero compositore di “Città di Macerie” alla faccia di Nerio Tebano. Nel 1966 ritorna alla luce con “Città di macerie” tutta la compagnia alla faccia di Nerio Tebano.
E dunque: Nerio Tebano (1952), Giorgio Liberati (1953), Giuseppe Barbalucca (1955), Nerio Tebano (1960).
Riepilogo: Tebano Barbalucca. Si arrivava al 1976. L’ora della verità veniva per tutti, ma non per il democristiano e comunista Barbalucca, e tanto meno per la Taranto di “Città di macerie”. Su tutti i periodici Salentini giravano ormai molti apocrifi. Il sempre attivo critico letterario Piero Mandrillo, sospettava ormai di essere l’autore dell’enigmatico poemetto, in virtù di alcune “lasse poetiche” che a lungo aveva compulsato.
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Caro Alessandro, abbiamo voluto ricordare quelle figurine di ieri e forse anche di sempre. Le macerie sono eterne certamente la figura di Leogrande ci ricorda che, se non tutto, il meglio rimane. In giro c’è molta antropologia della scrittura, ai confini della antropofagia: voglia di mangiare lo scrittore. Anche se abiti sull’altro lato della strada, i compagni tengono la luce accesa.
Caro Alessandro, Il Maestro è nell’anima e nell’anima per sempre resterà. Ciao Amico, ovunque tu sia.