tag:blogger.com,1999:blog-62055832834939533642024-03-05T11:34:27.306+01:00NistrikòsIl blog di Roberto Nistri, storico e filosofo di TarantoRoberto Nistrihttp://www.blogger.com/profile/17114554653093766281noreply@blogger.comBlogger103125tag:blogger.com,1999:blog-6205583283493953364.post-44001378408110858952021-09-18T12:43:00.003+02:002021-09-18T12:43:43.364+02:00Paisielliana ovvero storia di un famoso monumento mai realizzato<p></p><h2 style="clear: both; text-align: center;"><span style="text-align: left;">Roberto Nistri<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh2WIDhA56gAA831o-CNINDtAi5kw_lUnqMqzu2WHpP_uE1L9_cNl_oLZXSJ7nffa6hrMEt1VQPpBxP5zjoyyhLk-XvlqfBuuaobINiBiA3r3YOHMnMLIwGgRHGFjfqJS0swiAxyHHq3fU/s2048/D9494F1E-05F4-4308-90C9-E9A53D4EC4C8.JPG" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="2048" data-original-width="1152" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh2WIDhA56gAA831o-CNINDtAi5kw_lUnqMqzu2WHpP_uE1L9_cNl_oLZXSJ7nffa6hrMEt1VQPpBxP5zjoyyhLk-XvlqfBuuaobINiBiA3r3YOHMnMLIwGgRHGFjfqJS0swiAxyHHq3fU/s320/D9494F1E-05F4-4308-90C9-E9A53D4EC4C8.JPG" width="180" /></a></div><br /></span></h2><p></p><h1 style="text-align: left;">Paisielliana ovvero storia di un famoso monumento mai realizzato</h1><p>in "Galaesus", XV (1990-91), Taranto 1992, pp. 135-153</p><p><br /></p><p><i>Ricordando Antonio Rizzo a dieci anni dalla sua scomparsa</i></p><h4 style="text-align: left;">1. Antiquaria</h4><p>La proposta per un monumento a Paisiello prese consistenza a Taranto a partire da un intervento di Saverio Magno, sulla “Voce del Popolo” del 21 febbraio 1886: “La vita di Giovanni Paisiello è una serie di glorie non interrotta. Da per tutto si ricorda questo sublime innovatore, da per tutto si erige una pietra, un simulacro per ricordare la sua fama: solo da noi, che avremmo più di ogni altro il dovere di tributargli le onoranze dovutegli, si rimane indifferenti e si cerca con l’abituale apatia di distruggere le più grandi tradizioni del passato (...). A Taranto non resta che riparare ad un torto (...) erigere un monumento che ricordasse ai posteri le virtù ed il genio del nostro concittadino”.</p><p>Come in seguito ebbe ad ironizzare Antonio Rizzo, era il tempo dei monumenti. L’Italia umbertina li sfornava a getto continuo, un modo come un altro di irrobustire la gracile Unità; qualche scultore s’era specializzato nella produzione in serie di Cavour, Garibaldi ed altri personaggi più frequentemente richiesti da scuole e amministrazioni. Anche a Taranto venne organizzato un comitato <i>ad hoc</i> e la procedura venne avviata con moto uniformemente ritardato. Sulla “Voce del Popolo” dell’11-12 giugno 1900, Ignazio Carieri scriveva da Catania per esprimere le sue “calorose esortazioni per le onoranze dovute a Giovanni Paisiello nella speranza che codesta benemerita Amministrazione Comunale voglia riprendere in considerazione tale pratica già abbastanza avviata e portarla a compimento”.</p><p>Ma l’era umbertina e quella giolittiana tramontarono senza che Taranto realizzasse “l’antica e nobile aspirazione”: “antica fu battezzata fin dalla nascita e poi ebbe qualche decennio per diventarlo sul serio, anche dal punto di vista della cronaca; quanto alla nobiltà era intrinseca alla proposta stessa”(1).</p><p>Paisiello dovette però subire una delle tante, tremende epigrafi dettate dal commendatore Alessandro Criscuolo: “Giovanni Paisiello - maestro di nuove armonie - imperò sul secolo guerresco - lo commosse alla potenza d’amore - lo trascinò alla vontà del pianto glorificando - armi - duci - trionfi di bellezza - terenziane gioie - dolore di vinti - pagane gesta - nazarene preci - nato di popolo - ei si nomò - dal re beffardo - il fastigio e l’oblio - dalla gloria attonita il lauro - dalla patria memore l’apoteosi - nel centenario della morte - novella epifania dell’immortale - il Comune decretò - pose” (2).</p><p>Con una variante l’epigrafe venne riportata sulla lapide, disegnata dall’architetto Cesare Bazzani, che venne scoperta l’11 dicembre 1916 in assenza delle previste autorità governative, trattenute a Roma a causa della situazione bellica. La commemorazione venne tenuta dal maestro Francesco Cilea, direttore del Conservatorio di Napoli. In quell’occasione ripartiva il progetto-monumento: Armando Lucifero interpellava Francesco Jerace, prospettando un intervento nella Villa Garibaldi, mentre il Bazzani prendeva contatto per lo stesso fine con lo scultore Canonica. Ma ogni progetto cadde nel nulla (3).</p><p>Ricorse il secondo centenario della nascita di Paisiello e l’idea del monumento tornò a fare la sua timida apparizione. Il solito comitato esumò dalla vecchia pratica il disegno del Canonica, Accademico d’Italia, al quale il Podestà di Taranto marchese Giovinazzi decise di commissionare l’auspicato busto. Poi venne la guerra, finì la guerra, si dissolse l’istituto podestarile e si dissolse il comitato ordinatore delle cerimonie paisielliane.</p><p>1954 - Tutti i lavori concernenti le opere pubbliche non avevano fatto un passo rispetto al 1939, ma il Consiglio Comunale a voti unanimi si fece un punto d’onore di innalzare un monumento a Paisiello, stanziando due milioni. Voto concorde delle destre e delle sinistre, del sindaco comunista De Falco e del consigliere democristiano Monfredi. Il Consiglio Provinciale, su relazione favorevole dell’assessore Monfredi, si associava e stanziava tre milioni. Nessuno si ricordava più del Canonica e il neocomitato invitava dieci illustri scultori a presentare bozzetti di monumento, trasformando <i>ipso facto</i> il comitato in giuria. Due artisti fecero sapere che prima di mettersi al lavoro volevano avere l’elenco dei componenti della giuria, il Messina fece sapere chiaro e tondo che lui aveva superato da un pezzo l’età degli esami, gli altri neppure risposero. Dopo questa lezioncina, il Comitato rinunciò a travestirsi da Giuria e si comprese che non c’erano vie di mezzo. O si bandiva un concorso garantito da una autorevole giuria o si affidava direttamente l’incarico ad uno scultore apprezzato dalla critica qualificata. Il sindaco si recò a Milano per contatti diretti, ma Manzù declinava l’incarico e le condizioni di Messina venivano considerate troppo onerose: pagamento di una somma d’invito e di una seconda somma all’atto della consegna del bozzetto (come era giusto). Il Comitato decise per il concorso nazionale.</p><h4 style="text-align: left;">2. Il concorso per il monumento a Paisiello</h4><p>Con la promozione delle due Amministrazioni congiunte, viene redatto il bando di concorso per il monumento a Paisiello, a cura di un comitato cittadino presieduto dal sottosegretario Gaspare Pignatelli: il sindaco De Falco, il presidente dell’Amministrazione Provinciale Diasparro, i segretari Cardone e Gonfiantini, il comm. Monfredi, il rag. De Marco, il sig. Caffio, l’ing. Peretto, il cav. Gennarini, il prof. Angarano, il gen. Cerbino, il prof. Conte, il dott. Ostillio, il dott. Federico Di Palma, l’avv. Ponzio, il rag. Costa, il comandante Piangiolino, l’ing. Roncisvalle, l’ing. Buonavolta, l’ing. Di Lullo, l’avv. Dino Rizzo, l’avv. Santovito, il rag. Gallitelli, il dott. D’Ammacco, l’arch. Speranza, l’ing. Clemente, il dott. Giovanni Acquaviva, il direttore del museo Degrassi, il direttore dell’Arsenale gen. Vallone, il fiduciario del Circolo di Cultura Temistocle Scalinci (4).</p><p>Comunque il “cervello” dell’operazione è il giornalista Antonio Rizzo, l’unico ad avere reali legami con figure di spicco della cultura nazionale, legami che si sono rafforzati durante le vicende del Premio Taranto (5).</p><p>Di fatto è Rizzo a ordinare la composizione della Giuria, che risulta di tutto prestigio: Cesare Brandi, Raffaele Carrieri, Pericle Fazzini, Ignazio Gardella, Virgilio Guzzi, Marco Valsecchi, Bruno Zevi. Il premio per il vincitore del concorso è di un milione, ai due artisti segnalati subito dopo mezzo milione e trecentomila lire. Ad altri quattro artisti segnalati duecentomila lire ciascuno. Le Amministrazioni si propongono di ordinare una mostra dei bozzetti, acquisendone così la proprietà artistica.</p><p>Il concorso ha un successo senza precedenti per numero e qualità di partecipazioni, con Mazzacurati, Franchina, Minguzzi, Fabbri, Leoncillo, Consagra: “La mostra dei migliori bozzetti se si realizzerà sarà la prima seria rassegna di scultura moderna ordinata in Puglia e forse in tutto il Mezzogiorno” .</p><p>Così Carrieri racconta la sua attività di esaminatore dei 120 lavori presentati: “Gli artisti giovani - intendo quelli d’animo e di mano più sensibili - s’erano allontanati dai ripostigli di teatro e dai negozi di musica per tentare di risolvere su un piano plastico e formale l’espressione del monumento. Una fatica notevole. Ma qualcuno doveva pur risolverla in uno stile che non fosse d’encomio o di commemorazione. Franchina, Agenore Fabbri, Leoncillo Leonardi, Minguzzi, Consagra, Calò, in altre occasioni avevano dato prove inconfondibili di serietà e d’invenzione. I loro bozzetti presentati a Taranto per onorare la memoria di Paisiello erano certo i migliori fra la lunghissima schiera di concorrenti. E quando diciamo ‘migliori’ è in rapporto alla soluzione strettamente stilistica” (7).</p><p>Non manca certo la paccottiglia in gesso: dalle casse continuano ad uscire ometti in parrucca che riposano fra pianoforti a coda e canne d’organo, in una iconografia da camposanto. Ma se il confronto è serrato, non riguarda certo il ciarpame cimiteriale: “La discussione è stata vivacissima” - ricorda Bruno Zevi - “Fino all’ultimo, sono stati in palio per il primo premio Nino Franchina e Leoncillo Leonardi. Con un brevissimo scarto ha vinto Franchina. Il secondo premio è stato naturalmente assegnato a Leoncillo, il terzo a Fabbri, mentre hanno ottenuto rimborsi Calò, Consagra, Salimbeni e Tot. L’area destinata al monumento è infelicissima: un’aiuola di piazza Castello, tra il palazzo del Municipio e il ponte girevole, di fronte al Castello Aragonese. Franchina, insieme all’architetto Sissa, ha compreso perfettamente la condizione urbanistica del monumento: l’ha concepito verticalmente, una forma affusolata in anticorodal, alta 10,50 metri, scattante da un piedistallo ascendente in cemento posto proprio in punta all’aiuola, in faccia al ponte girevole. Una grande scultura astratta, remotamente indicativa nelle lucide superfici e nell’ondulato profilo della perfezione musicale di Paisiello, ben visibile dalla passeggiata che costeggia il lato opposto del canale. Un oggetto splendente, che non ha nulla a che vedere con gli alberi dell’aiuola, con la sorda piazza, coi muti palazzi; ma che, appunto per questo, risolve il problema ponendosi al centro di un episodio urbano negativo” (8).</p><p>Il secondo premio tocca a Leoncillo e Chiarini, con una fontana di forma musicale, secondo moduli post-cubisti, decorata da un fregio in ceramica policroma (nelle travagliate vicende del Premio, la ceramica è destinata a sparire per opera di non si sa chi e non si sa dove) (9).</p><p>Mentre ferve l’allestimento della mostra, i giurati diffondono pareri del tutto lusinghieri sul valore dell’operazione. Così Marco Vaisecchi: “Una quindicina di bozzetti si son potuti scegliere per la mostra, interessanti per l’una o l’altra soluzione offerta, da quello di Franchina, nettamente astrattista, col suo fuso d’alluminio spiccato nell’aria senza alcuna concessione al simbolo tradizionale, a quello di Leoncillo che ha immaginato un largo altorilievo in ceramica colorata riflesso in una vasca d’acqua tra le piante, a quello di Fabbri che allude alla cavea di un teatro con pareti istoriate e una coppia di maschere settecentesche che danza il minuetto (…). Discussioni ce ne saranno certamente: consiglio di pubblicare in un fascicolo tutti questi migliori bozzetti perché servano di discussione anche fuori Taranto; e sarà un altro motivo di prestigio per questa città e i suoi coraggiosi amministratori” (10). Virgilio Guzzi scrive che, premiando il Franchina, la giuria s’è risolta “all’accettazione di un ideoplasma astratto che simbolicamente ‘evoca’ l’arte di Paisiello in un modulato, lucente ritmo” e che “il Franchina, il quale nella sua qualità di astratto si fonda sulla poetica dell’arte come musica, deve aver sentito che questa era per lui l’occasione unica per effondersi; ed ha difatti espresso quanto aveva dentro di meglio” (11).</p><h4 style="text-align: left;">3. …Tamquam non fuisset</h4><p>Nella sua conferenza d’inaugurazione della Mostra, Cesare Brandi deve presentare un monumento che è “una specie di fulmine astratto, solidificato all’ingresso della città vecchia”. Ma Brandi non terrà la conferenza né la mostra verrà inaugurata. Il 4 marzo il “Corriere del Giorno” annuncia: <i>Sospesa la premiazione dei vincitori del concorso</i>. Si rende noto che l’on. Pignatelli ha raccolto a Roma “voci” su presunte irregolarità: alcuni bozzetti non presentati in tempo, non tutte le opere sono state esaminate... Che cosa è accaduto? Lo stesso fronte pseudo culturale che negli anni precedenti ha affondato il Premio Taranto sta cominciando a lanciare siluri contro “una scultura troppo moderna, che la gente non avrebbe compreso”. Tutti i rappresentanti politici (eccezion fatta per i socialisti) vengono presi dal timore di essersi comportati troppo bene e di aver offerto alla città un’altra occasione per porsi da protagonista all’altezza dei tempi. Il sindaco De Falco viene bersagliato da Botteghe Oscure con telefonate che ricordano che il Partito non apprezza l’arte astratta e s’incomincia a capitombolare dalle stelle alle stalle.</p><p>Il “Corriere del Giorno” individua immediatamente il colpevole di tutto: “...emerse l’ingerenza nell’attività organizzativa del Comitato, di cui non faceva neppure parte, di tale Rizzo Antonio. È risultato addirittura che il Rizzo ha risposto direttamente e di sua iniziativa a lettere di partecipanti al concorso, concedendo finanche delle proroghe al termine di spedizione dei bozzetti: il Rizzo, nel corso delle riunioni del Comitato, affermò di aver avuto l’autorizzazione a far questo dal Sindaco, ma, su precisa richiesta del comm. Monfredi, componente del Comitato, il Sindaco negò nel modo più reciso di aver rilasciato tale autorizzazione (...). Un privato cittadino si è abusivamente intrufolato - e non si capisce a che titolo - nel Comitato promotore (...). Dispiace che ogni bella manifestazione artistica organizzata nella nostra città debba risolversi con strascichi incresciosi, che, guarda caso, hanno sempre il medesimo protagonista” (12).</p><p>Che il “tale Rizzo Antonio” abbia organizzato tutto il Concorso è cosa pacifica e non si vede chi altri avrebbe potuto farlo. Tutti i valorosi artisti che hanno partecipato e tutti i componenti della giuria hanno avuto in Rizzo il loro punto di riferimento, qualificato dalle grandi battaglie del Premio Taranto. Le piccole invidie di paese vengono fuori chiaramente dagli interventi di un certo Pupino, che proprio in questa fase sta conducendo sul “Corriere” un’aspra polemica retrospettiva sul Premio Taranto: “Chi ha compilato il bando di concorso? Chi ha composto la suddetta Giuria, che ricorda quella dell’avventuroso Premio Taranto per le sue debolezze artistiche e per i nomi di taluni membri?” (13).</p><p>II misterioso “intrufolato” viene additato alla pubblica opinione come il primo guastatore: “Con quel tale Rizzo Antonio come la mettiamo? Sembra assodato che egli ha fatto e disfatto come meglio ha creduto: non autorizzato né dal Sindaco né dal Comitato, ha tenuto la corrispondenza con gli scultori, ha chiamato la giuria (vedi ‘L’Espresso’ n. 11 p. 12, articolo di Bruno Zevi), ha concesso proroghe...” (14).</p><p>Lo stesso “Corriere” il 1° aprile incomincia a criticare il Sindaco, perché questi non nega recisamente di aver dato incarico al Rizzo, ma dichiara stranamente di averlo “autorizzato a tenere corrispondenza con gli artisti a titolo personale” (!). Insomma nei confronti di Antonio Rizzo non emerge alcun addebito, solo quello di essersi gratuitamente prodigato a favore del buon successo dell’iniziativa promossa dal Comitato.</p><p>Nella riunione di Comitato del 31 marzo propone l’annullamento del Concorso il sindaco De Falco, già presidente del Consiglio Comunale che approvò la deliberazione, presidente del Comitato cittadino, rappresentante in seno alla commissione esaminatrice dell’Amministrazione comunale, presidente della giuria, presidente della commissione di accertamento. Non si riesce a stabilire un valido motivo per deliberare l’annullamento, per il quale comunque votano tutti meno tre: i socialisti Peretto e Caffio, e il direttore della “Voce del Popolo” Dino Rizzo.</p><p>“La prima proposta e la più strabiliante” - così riepilogherà Antonio Rizzo - “fu avanzata dall’on. Pignatelli: espunto dal concorso Franchina, per la pretesa irregolarità della sua posizione, a guisa di primo dei non eletti sarebbe dovuto subentrare Leoncillo. Questa assurdità naufragò perché la posizione di Franchina era documentatamente regolare. E allora il sindaco <i>pro tempore</i> chiese l’annullamento del concorso da lui stesso promosso e bandito, perché in qualità di presidente del consiglio che lo aveva approvato a voti unanimi non sottopose il bando di concorso all’autorità tutoria, ragion per cui il premio assegnato a Franchina da una giuria da lui stesso, De Falco, presieduta, non impegnava per nulla il Comune. Il concorso era nullo, <i>tamquam non fuisset</i>, e lo sarebbe stato anche se lo avesse vinto Michelangelo” (15).</p><p>La notizia suscita scalpore in tutta Italia. Il 3 aprile Raffaele Carrieri scrive a Rizzo: ‘‘Caro Antonio, ciò che avviene a Taranto è proprio incredibile. C’è da arrossire di vergogna. Abbiamo compiuto il nostro dovere con assoluta serietà, competenza e probità. Il concorso pel Monumento a Paisiello è naufragato per insulse quisquilie rimosse da facinorosi incompetenti. Ho scritto a parte al sindaco. Salutami gli amici tutti. Ti stringo la mano con affetto il tuo Raffaele Carrieri” (16). Da allora Carrieri non volle più venire a Taranto.</p><h4 style="text-align: left;">4. Un certame ad alto livello</h4><p>La discussione, al di là dell’ambito locale, è già aperta sulla stampa nazionale: Virgilio Guzzi interviene sul quotidiano “Il Tempo”. Marco Valsecchi sul settimanale “Tempo”. Bruno Zevi sul settimanale “L’Espresso”. Sempre Zevi conduce sull’argomento una radioconversazione per il “terzo programma”. “II concorso nazionale per il monumento a Paisiello in Taranto sarà oggetto di violenti dibattiti nei prossimi mesi. Per esso è in gioco il problema dell’arte astratta, e inoltre quello della scultura monumentale (...). Ad ogni obiezione del cosiddetto buon senso provinciale bisognerà rispondere puntualmente: perché a Taranto si gioca l’avvenire dell’arte di quella regione. Se l’Amministrazione Comunale si lascia intimorire dalla cosiddetta opinione pubblica arbitrariamente interpretata da qualche gruppo di intellettuali retrogradi, e stimolata magari da qualche concorrente bocciato, Taranto tornerà nell’ombra del provincialismo. Bisogna perciò realizzare il monumento di Franchina, compiere fino in fondo un atto di coraggio. Un atto che inserirà Taranto nel <i>Baedeker</i> dell’arte italiana moderna” (17).</p><p>Contro il monumento <i>d’avanguardia</i> si sono scatenati tutti i teppisti della sottocultura tarantina che minacciano di abbattere di notte il monumento (definito <i>‘u tirabisciò</i> oppure <i>na ponde de tràpane</i>) nel caso venga in mente a qualcuno di realizzarlo per davvero (18).</p><p>L’intervento di Zevi viene brillantemente contestato dal commendatore Salvatore Spedicato: “La scottante verità è che l’arte astratta non può essere in nessun modo presa sul serio, malgrado i titanici sforzi di Bruno Zevi, se non da un microscopico gruppetto di agitati (...). L’arte astratta è un mostruoso feto partorito da una sparuta pattuglia di cerebrali. È un rompicapo” (19).</p><p>Su scala nazionale prendono posizione contraria al monumento del Franchina solo i giornali comunisti l’“Unità” e il “Contemporaneo”, e la rivista fiorentina “Il Ponte”. La rivista internazionale “L’Architettura” tratta nel fascicolo d’aprile “lo scandalo” di Taranto, denunciando al pubblico europeo e americano il tentativo di impedire l’edificazione del monumento. “Tutti i rigurgiti di una mentalità provinciale e retorica fanno bella mostra di sé per criticare l’opera vincitrice”, afferma l’autorevole rivista. E soggiunge: “Taranto è al bivio: se si arrende e non realizza il monumento, ricadrà in quell’inerzia coloniale dalla quale ha cercato di sollevarsi; se l’amministrazione e l’opinione pubblica avanzata riescono ad imporre l’attuazione del monumento, Taranto si innalzerà al livello della cultura moderna, nazionale ed europea”.</p><p>Un’altra rivista internazionale che si pubblica in Italia si occupa del concorso: “Civiltà delle macchine” (numero del maggio-giugno 1956). Nel testo italiano e nel sunto inglese vengono posti sul medesimo piano una scultura-struttura di Naum Gabo per la città di Rotterdam e il monumento a Paisiello di Nino Franchina e Ugo Sissa per Taranto. E anche uno dei più diffusi e autorevoli giornali letterari del mondo, “Les Nouvelles littéraries” di Parigi (n. 1495 del 26 aprile) pubblica nella pagina <i>regards sur le monde</i>, in apertura, una lunga cronaca d’arte dedicata quasi interamente all’iniziativa di Taranto. Scrive Jean Claude Ibert: “La scultura astratta divide nuovamente l’opinione dei critici. I commissari di questo concorso in effetti hanno assegnato il primo premio a Nino Franchina che, in collaborazione con l’architetto Ugo Sissa, presentava un bozzetto particolarmente audace. Si dice ora che si vorrebbe annullare questo concorso perché l’opera premiata sembra troppo moderna! Gli ambienti artistici sono in piena effervescenza, ciascuno sceglie la propria parte, si meraviglia e si indigna senza peraltro voler contestare il talento di Nino Franchina, che ha già dato prova di sé”. È la prima volta che uno dei maggiori giornali letterari di Parigi si occupa - e con parole di elogio - di una iniziativa artistica presa in Puglia.</p><p>In Italia è da segnalare un intervento sul n. 14 del “quindicinale di politica e di attualità” legato al Movimento Sociale Italiano, il “Roma”. Nell’articolo di Telesio Interlandi <i>Umanesimo e tecnicismo</i>, nel quadro della consueta censura contro il “culturame stanco e appassito” si insinua la stroncatura contro il monumento di Franchina, la botta contro la “scultura italiana capace di tradurre plasticamente in un cavatappi la musica di Paisiello”. Questa battuta del “cavatappi” ha girato molto, e andrebbe a tutto onore di Franchina se a inventarla fosse stato questo personaggio, l’Interlandi, fattosi apprezzare negli anni Trenta quale traduttore in italiano delle aberrazioni pseudoscientifiche dei razzisti hitleriani.</p><p>Nel numero di agosto del ‘56 la rivista “Architettura” interviene sull’argomento per la terza volta (dopo i fascicoli n. 5 e n. 7) con una lunga nota critica che esamina dettagliatamente tutti i più significativi bozzetti presentati: “Nella notte, trapelato il nome del vincitore, succedeva il putiferio. L’irritazione dei concorrenti bocciati, il provincialismo di alcuni membri del comitato promotore, l’ostilità verso l’astrattismo particolarmente vivo da parte dell’amministrazione comunale, facevano lega: con la scusa di irregolarità nella consegna dei bozzetti, si annullava il concorso e si eliminava la mostra. Brandi, indignato, rifiutava di tenere la conferenza e lasciava Taranto. È in atto una vertenza fra i vincitori del concorso e l’amministrazione comunale di Taranto: non v’è dubbio che malgrado il dispiacere che possono provare per il risultato, tutti gli scultori e gli architetti che hanno partecipato alla gara si schiereranno con Franchina e con i commissari. Se si ammette il principio che un’amministrazione comunale possa annullare un concorso giudicato da una commissione qualificata per tema che il bozzetto vincitore non piaccia, si costituisce un precedente grave per tutti.</p><p>A parte il lato giuridico, vediamo l’atteggiamento della critica. Guzzi, Valsecchi e Zevi hanno preso posizione decisa a favore del risultato. L’unica voce discorde è stata quella di Antonello Trombadori che su “Il Contemporaneo” ha sferrato un violentissimo attacco contro l’astrattismo, ‘negazione stessa di ogni dialettica di pensiero-sentimento nella personalità dell’artista e quindi di ogni libera fantasia creatrice’ (...) A che serve promuovere concorsi con giurie qualificate se poi i primi arrivati possono contraddirne le conclusioni? Ma c’è di più: è in gioco la cultura di Taranto; una città che ha tentato di sprovincializzarsi prima istituendo un premio per la pittura, poi indicendo il concorso per il monumento a Paisiello. La prima prova è fallita. Ora bisogna resistere”.</p><p>A Roma, alla galleria “Selecta” diretta da Carlo Cardazza, si apre una mostra di Franchina e, fra le opere esposte, raccoglie i consensi più lusinghieri proprio il famoso bozzetto. Nel catalogo di presentazione così si pronuncia il critico Lionello Venturi: “Il bozzetto del monumento di Paisiello a Taranto è un capolavoro. È una figura danzante, una figura musicale che sale senza materia, luce nello spazio, verso il cielo. È facile comprendere come mai una giuria d’intenditori, anche se contrari all’astrattismo, siano stati sedotti da quelle lievi curve aeree, e abbiamo premiato Franchina perché infine su una piazza d’Italia sorgesse un monumento adeguato alla nostra civiltà. Poi i politici, incontratisi come due schiere di ciechi nel sottosuolo, hanno trovato il pretesto per defraudare Franchina del suo diritto”.</p><h4 style="text-align: left;">5. La burla dei ciechi</h4><p>Le talpe non hanno nessuna voglia di uscire dal sottosuolo. Il 24 luglio del 1957 l’Amministrazione Comunale di Taranto viene autorizzata dal Consiglio Comunale a resistere nel giudizio intentatole dai vincitori del concorso, ormai definito “famigerato” dal “Corriere del Giorno” (20).</p><p>Nella sua relazione il vicesindaco Giuseppe Acquaviva dichiara che “manca assolutamente la legittimazione passiva del Comune, la cui deliberazione si limitava a nominare il comitato e ad erogare un contributo”. Cioè il Comune decide di difendersi assumendo di essere estraneo all’iniziativa (le “gravi irregolarità” sono già diventate una subordinata): il Comitato ha dunque millantato credito mettendo in giro i bandi in cui è detto che il concorso è bandito dal Comune? Ma del Comitato non facevano parte Sindaco, assessori, consiglieri comunali di maggioranza e di minoranza?</p><p>Interviene il socialista Luigi Ladaga che, esaminati i documenti della Commissione di inchiesta (cioè De Falco, Monfredi, Cardone e Gonfiantini che hanno indagato <i>sul proprio operato</i> in quanto membri del Comitato) e non individuando alcuna irregolarità, dichiara l’opportunità di una civile transazione con gli artisti (21).</p><p>Monfredi ribadisce le “molteplici irregolarità” da addebitarsi al Comitato di cui lui era parte e “pone in risalto la figura di quel tale Rizzo Antonio (ma non lo nomina) il quale, invitato dall’allora Sindaco e Presidente del Comitato organizzatore, De Falco, a collaborare con il Comitato stesso per una migliore riuscita del concorso (...) andò ben oltre il mandato ricevuto, commettendo una serie di scorrettezze [si è definitivamente appurato che l’“intrufolato” Rizzo aveva avuto un preciso mandato] (...) che tutti sappiano che soltanto un cittadino di Taranto ha infangato il nome della nostra città” (22).</p><p>Il socialdemocratico Quinto è per la “transazione” (23) mentre si dichiarano per la “resistenza” i democristiani De Pace e Leone. L’ex-sindaco De Falco interviene per “chiarire”, a modo suo, la situazione: “Come è sorta la questione? Prima ancora che nascessero le voci d’irregolarità, c’era stato un sollevamento cittadino (!) contro quel primo monumento astrattista. Da qui è nata tutta la questione. Se il monumento fosse stato magari un bel Paisiello a cavallo (?) io sono convinto che questa sollevazione non ci sarebbe stata e noi non saremmo venuti a conoscenza delle voci, e tutto sarebbe andato liscio. Do atto che il movente è questo, perché ho sentito gente ferocemente scagliarsi contro il monumento, fino al punto da affermare che se il monumento fosse stato eretto lo avrebbero demolito di notte” (24).</p><p>Contro la “resistenza” votano i socialisti, a favore democristiani, comunisti, monarco-missini.</p><p>Ma, mentre il contenzioso è ancora aperto, ecco il colpo di genio (quel genius loci che inconsciamente spadroneggia nelle vicende culturali della Taranto moderna); il senatore Pignatelli, lo scopritore delle “gravi irregolarità” mai documentate, d’accordo con il nuovo sindaco, il democristiano Monfredi, tira fuori l’arcaica deliberazione podestarile del 1959, incarica privatamente il vegliardo Pietro Canonica di riprendere il bozzetto, tenendo il Consiglio Comunale all’oscuro di tutto.</p><p>Fra il ‘58 e il ‘59 il Canonica, che anche nei suoi tempi migliori si è mosso sempre all’insegna del più vacuo accademismo, investe nell’opera le sue residue energie e muore dando gli ultimi tocchi al bronzo per Paisiello: “Risultato - una stele sormontata da un busto di Paisiello, con intorno un certo numero di figure ‘allegoriche’. La stele è stata rizzata non al Camposanto, dove una qualche occasionale giustificazione avrebbe trovato, ma in piazza Castello, dove non può far altro che simboleggiare le velleità culturali e i gusti artistici della Taranto che l’elettorato ha mandato al Municipio” (25).</p><p>Intanto il Tribunale dichiara che il Comune non faceva parte del Comitato, onde Franchina Leoncillo Sissa Chiarini devono rivolgersi al Comitato per farsi pagare i premi. Gli artisti, all’idea di doversela vedere con De Falco, Monfredi e compagnia, si ritirano in buon ordine, convinti che quando la cultura entra in Tribunale ha già perduto. Si è assodato che il bando di concorso è stato un bluff e le autorità hanno preso a gabbo gli artisti di tutta Italia dichiarando abusivamente che il concorso lo bandiva il Comune.</p><p>L’Amministrazione comunale può quindi pagare 15 milioni per il funereo busto di Canonica a Paisiello senza neanche interpellare il Consiglio Comunale, visto che si tratta di rendere esecutiva una delibera di venti anni prima, quella del defunto podestà Giovinazzi (si dovrebbe dedurre che i personaggi in questione avrebbero commesso una “grave irregolarità” nel non ottemperare alla delibera, quando hanno preso la fatidica decisione dei Concorso) (26).</p><p>Nella mattinata del 15 febbraio 1960 viene inaugurato a Taranto il monumento a Paisiello, un cimiteriale busto dovuto alla senile cattiva volontà del Canonica, opera che secondo Gaspare Pignatelli “figurerà in ogni tempo, per il nome del suo autore, tra le cose più insigni della Taranto moderna” (27).</p><p>Contemporaneamente sul lungomare di Genova si inaugura il primo monumento astratto dell’arte italiana: si tratta della <i>Commessa 20164</i> dello scultore - vedi caso - Nino Franchina, opera preparata - altro caso - nelle acciaierie dell’Italsider.</p><h4 style="text-align: left;">6. La storia infinita</h4><p>Nel 1967 Antonio Rizzo organizzò una mostra Paisielliana, che riscosse un grande successo di pubblico, quel pubblico che per la prima volta ebbe modo di vedere e di apprezzare il famoso bozzetto, sul quale tanti sprovveduti e incauti avevano discettato <i>senza mai averlo visto</i>. Così scrisse l’indomabile giornalista: “Era intenzione degli ordinatori della Mostra Paisielliana presentare al pubblico in una speciale sezione alcuni dei bozzetti più significativi inviati al concorso per il monumento a Paisiello nel 1956 (...). Questo proposito non è stato tuttavia realizzato perché i bozzetti, custoditi dal Comune di Taranto, come ebbe a dichiarare in una lettera al ‘Corriere del Giorno’ il sindaco Leone, sono andati tutti distrutti. Ridotti letteralmente in poltiglia, sia per l’ingiuria del tempo sia per altre cause meno naturali, perché l’usura non spiega come fasci di disegni siano stati fatti a pezzi. Si sono forse salvati dall’usura i bozzetti di Leoncillo e di Consagra, dei quali non si è trovata traccia, il che fa pensare che siano andati smarriti, con vantaggio di chi li ha trovati, perché al primo era allegata una splendida ceramica ed al secondo un bronzo, pezzi entrambi di notevole valore di mercato artistico. Si è salvato e dall’usura del tempo e dallo smarrimento il bozzetto vincitore almeno nella parte essenziale, la scultura di Franchina. Così la strage degli innocenti è risultata vana e il pubblico tarantino ha potuto finalmente assaporare il frutto proibito” (28).</p><p>Ma non per questo l’antica polemica ebbe modo di sedarsi. Ancora nel 1978 Pignatelli attaccava Rizzo, il quale aveva il dente avvelenato contro “i notabili della vita politico-amministrativa tarantina (fra i quali c’ero anch’io) che vollero fare allogare a Canonica il busto a Paisiello. scartando il busto (sic) di uno scultore di avanguardia accanitamente sostenuto dal Rizzo stesso” (29).</p><p>Tutta la vicenda dell’annullamento di un concorso nazionale si riduceva allo “scarto di un busto”! E nel 1984 l’ottimo Giovanni Acquaviva se ne uscì candidamente con la seguente sintesi storica: “Quando qualcuno, come il sindaco Angelo Monfredi, pensò che fosse doveroso ricordare ai tarantini con un monumento il grande Giovanni Paisiello, si trovò contestato ed insultato da qualche spirito nobile ma inquieto perché a <i>un normale e civile busto</i>, opera del Canonica, non aveva preferito il <i>cavaturacciolo</i> di Franchina” (30) [il corsivo è nostro].</p><p>Nel 1985 riprese la parola Nicola De Falco. Primo intervistato fra i sindaci tarantini del dopoguerra, rievocò i fatti con il consueto rigore (31): dopo aver rievocato la fama di jettatore legata al nome del musicista tarantino, riferì per la prima volta che un misterioso personaggio gli aveva profeticamente annunciato in anticipo il nome del vincitore del Concorso. Vinse proprio il Franchina, con 5 voti contro 4, ma non fu questo fatto a fare “aprire gli occhi” al De Falco, bensì la confidenza su alcune irregolarità fatta ad Angelo Monfredi da un funzionario del Comune. Mentre il <i>Presidente della Giuria</i> cercava di farsi un’idea della faccenda, partiva la contestazione da parte della opposizione democristiana: “però non dicevano che a loro il bozzetto del Franchina non piaceva; sapevano che, qualora avessero affermato una cosa del genere, sarebbero stati censurati e accusati di provincialismo e di incompetenza”.</p><p>Invece i dirigenti del Pci censuravano senza mezzi termini: “il responsabile del settore culturale del mio partito mi aveva telefonato per dirmi che quel bozzetto era qualcosa d’incomprensibile, che la gente non lo avrebbe mai accettato, che insomma bisognava trovare un’altra soluzione. Io mi sforzavo di far capire anche a lui che al traguardo di una di versa soluzione si poteva giungere lo stesso, percorrendo però un’altra strada: quella cioè della violazione di alcune norme del regolamento, violazione che in effetti c’era stata, senza per questo mettere in discussione la validità dell’opera di Franchina”. Secondo De Falco questi argomenti convinsero lo stesso scultore: “Noi non contestavamo il suo lavoro, ma l’insolita e criticabilissima procedura usata da alcuni membri del comitato organizzatore. Franchina capì”. Non si era mai sentito il Presidente di una giuria premiare un artista e poi dirgli di andarsene a casa e di far finta di niente, perché qualche membro del comitato (neanche della giuria) si era comportato male. Franchina capì proprio bene con chi aveva a che fare.</p><p>Sempre nel 1985 un gruppo di operatori culturali (fra cui il dirigente del circolo Italsider Giuseppe Francobandiera, l’architetto Mario Carobbi, il pittore Giulio De Mitri, il critico Franco Sossi, il segretario del vecchio Circolo di Cultura Temistocle Scalinci) organizzava un Comitato per l’erezione del Monumento di Franchina a Taranto, come riparazione al torto di trent’anni prima (32). Ma la scomparsa di Nino Franchina ha chiuso una volta per tutte la vicenda del Monumento a Paisiello: il cosiddetto “cavatappi” o “parafulmine” è entrato definitivamente nella storia della moderna scultura italiana come il più famoso dei monumenti non realizzati.</p><p>Eppure, se le storie degli uomini si concludono, la storia dello Spirito è eterna. Ed ecco che ci è capitato di leggere, tempo fa, l’illuminato parere del signor Stefano Milda: “quando trent’anni fa si volle fare un busto al grande musicista tarentino Paisiello (...) scoppiò il caso del <i>tirabusciò</i> di Franchina. Ora è da dire che Franchina sarà stato e sarà anche un buon artista, ma quello <i>sgorbio</i> [il corsivo è nostro] per ricordare un musicista del ‘700 proprio non ci azzeccava. Ma allora pontificava quel bello spirito di Antonio Rizzo il quale si divertiva a fare l’intellettuale in un mare di ignoranti” (33). In verità uno sgorbio non ci azzecca per ricordare un musicista di qualunque secolo... L’articolo in questione s’intitolava <i>Una storia da... riscrivere</i>. In omaggio al sig. Milda, è quello che, umilmente, abbiamo cercato di fare.</p><p><b>Allegato A</b></p><p>Seduta consiliare del 24 luglio 1957: intervento del socialista Ladaga</p><p>... Quale che sia il pronunziamento del Giudice, la partita del concorso, per quello che concerne il suo significato e il suo valore di arte e di cultura e, a petto di essa, la partita del costume intellettuale della classe dirigente tarantina, saranno ben lontane dall’essere definitivamente chiuse. Queste partite rimarranno aperte e a tenerle aperte contribuirà proprio il fatto che in Tribunale si sia dovuti giungere, tra le fredde norme dei codici e le sottigliezze della procedura. Diciamo questo perché nessuno si illuda di seppellire sotto la polvere di un fascicolo processuale un avvenimento di cultura quale il concorso per il monumento a Paisiello.</p><p>Il concorso ha rappresentato un momento importante nella storia dell’arte moderna. E se a taluno, anche in questo Consiglio, non facesse velo non so quale passione, basterebbero i nomi della giuria per garantire la serietà e l’impegno della scelta (...). Quel che conta è che, non avendosi la forza e, aggiungiamo, il coraggio e la capacità di condurre la battaglia sul piano culturale, pur di giungere allo scopo, si è grottescamente ripiegati sul terreno amministrativo e burocratico (...). La resistenza in giudizio, a nostro parere, espone l’Amministrazione al grave rischio di una sicura condanna sul piano artistico-culturale. E qui veniamo al secondo aspetto della questione: quello giuridico-amministrativo.</p><p>... Franchina e Leoncillo, è dimostrato, non chiesero e non ottennero proroghe: Franchina e Leoncillo, è dimostrato, presentarono i loro bozzetti nei termini previsti e indicati dal bando di concorso. La loro posizione nel concorso è stata riconosciuta pienamente regolare. Lo dice apertamente il primo verbale della nota Commissione di inchiesta (De Falco-Monfredi-Cardone-Gonfiantini) del 4 marzo 1956: “A questo punto la Commissione decide di prendere in esame la posizione dei concorrenti vincitori o segnalati, constatando quanto appresso: 1) concorrenti Franchina-Sissa, vincitori del 1° Premio. Non vi è documento di spedizione perché il bozzetto è stato consegnato a mano al Segretario del Comitato dott. Durante il giorno 31 gennaio 1956, come risulta dalla quietanza rilasciata lo stesso giorno dal personale addetto all’ufficio Economato (...); 2) concorrente Leoncillo Leonardi, vincitore del 2° premio. Dal documento di spedizione risulta che il bozzetto è stato spedito da Roma il 31 gennaio 1956”.</p><p>Resta da vedere l’assenza dei due commissari e l’esame non completo dei bozzetti concorrenti (...). Che cosa dice il verbale della prima riunione della giuria, quella del 28 febbraio? “La giuria ha proceduto ad un primo esame dei bozzetti presentati (si noti bene presentati perché, come successivamente ha fatto notare il prof. Zevi all’allora sindaco De Falco, basta il fatto che in un concorso i lavori siano presentati dall’organizzazione alla Commissione giudicatrice, perché essi lavori si intendano regolarmente in gara, comunque siano pervenuti) coi seguenti risultati: la giuria non ha ritenuto meritevoli di segnalazione ai fini dell’esposizione nella mostra in allestimento i bozzetti presentati dai signori (e qui un elenco di concorrenti). La giuria ha deciso di fare esaminare dai commissari Gardella e Zevi i bozzetti concorrenti sopramenzionati” (...). Il secondo verbale, quello del 29 febbraio firmato da tutta la giuria al completo, ivi compresi i commissari Gardella e Zevi, precisa testualmente: “La Commissione ha proceduto ad un secondo esame dei bozzetti presentati ed all’unanimità ha deciso di escludere dal novero dei premiabili o dei meritevoli di esposizione, i bozzetti presentati dai concorrenti (e qui un elenco di concorrenti)” (...). Nel secondo verbale della nota Commissione d’inchiesta del 9 marzo, Nicola De Falco si preoccupava onestamente di far verbalizzare quanto segue: (...) “Tutti i bozzetti pervenuti furono sottoposti all’esame della Commissione giudicatrice del concorso”.</p><p>... Vale la pena di notare che in seno alla Giuria, e ne fa fede il verbale della seduta conclusiva, si discusse se fosse il caso di rinviare ad un concorso di secondo grado Franchina, Leoncillo, Fabbri o Minguzzi. Ebbene, risulta che i due rappresentanti delle Amministrazioni banditrici del concorso si opposero sostenendo che una tale decisione avrebbe dato l’impressione che il concorso non fosse riuscito, mentre era riuscito alla perfezione, al di là delle più rosee aspettative.</p><p>Nessuno dei due rappresentanti delle Amministrazioni banditrici aprì il discorso su pretese irregolarità. E sarebbe stata quella la sede adatta e la decisione di rinviare ad un concorso di secondo grado, avrebbe potuto, tra l’altro, anche sanare queste pretesissime irregolarità. Non lo fecero, né sollevarono obiezioni riguardo il lavoro della Giuria che essi riconobbero rigorosamente e scrupolosamente svolto. Regolare il lavoro della Giuria, regolare la posizione di Franchina e di Leoncillo nel concorso. Come poteva quindi il Comitato, a maggioranza, annullare il concorso?</p><p><b>Allegato B</b></p><p>Seduta consiliare del 24 luglio 1957: intervento del socialdemocratico Quinto</p><p>... Si è discusso a lungo e in modo disordinato delle ragioni che consigliavano l’annullamento. Queste ragioni sarebbero: 1) mancanza, nella prima riunione, di 2 giudici su 9. Ma leggendo attentamente il verbale n. 1 della Commissione giudicatrice si apprende che la prima seduta della giuria fu dedicata alla mostra dei bozzetti che si sarebbe fatta o meno a seconda delle disposizioni delle Amministrazioni Provinciale e Comunale. Pertanto in quella seduta nessun artista fu eliminato dal gruppo dei concorrenti ai premi. 2) La giuria non avrebbe preso in considerazione tutti i bozzetti. A questo riguardo il consigliere De Falco fa mettere a verbale che tutti i bozzetti furono regolarmente visti, esaminati e discussi dai giudici. E lo dice De Falco, all’epoca sindaco di Taranto, presidente del comitato, componente e presidente della giuria, nonché - e questo mi sembra paradossale - componente della commissione d’inchiesta insieme a Monfredi, Cardone e Gonfiantini. De Falco, dunque, responsabile maggiore del comitato, perché Presidente, esamina il proprio operato quando diventa componente della commissione d’inchiesta. Dunque De Falco dichiara che tutti i bozzetti furono visti e noi non possiamo non credergli. Questa seconda scusa quindi cade. Alcuni concorrenti hanno avuto le proroghe ed altri no. Due soli artisti hanno inviato in ritardo i bozzetti e sono stati accettati. Gli altri ai quali erano state concesse le proroghe non hanno partecipato. Vedi Mascherini, Pancera, Greco, Mirko, ecc. Restano solo da esaminare i casi di questi due artisti che hanno inviato in ritardo i loro bozzetti e che sono stati accettati: Fabbri, 3° classificato e Salimbeni, segnalato per il rimborso di L. 200mila. Questi due artisti facevano parte del gruppo di circa 70 artisti di rinomanza nazionale ai quali fu fatto giusto, doveroso, insistente invito perché la loro adesione dava prestigio e valore al concorso stesso. Comunque il sindaco presidente del comitato, presidente della giuria, componente della commissione d’inchiesta non respinge i bozzetti ma tace. Tace quando arrivano i bozzetti in ritardo; tace quando si insedia la giuria della quale egli è presidente; tace quando Fabbri e Salimbeni entrano nella rosa dei possibili vincitori; parla però nella commissione d’inchiesta e fa annullare il concorso per una colpa che, a mio modesto avviso, è tutta colpa sua.</p><p>Queste le... ragioni che indussero i componenti il Comitato, su indicazione della commissione d’inchiesta, ad annullare il concorso. Ma il ridicolo viene dopo. Non si riesce a stabilire un motivo serio per annullare il concorso (...). Deciso l’annullamento Di Palma chiede: “e i motivi?”. Risponde Monfredi: “Per ora annulliamo, se poi i vincitori faranno causa, allora e solo allora diremo i motivi per l’annullamento”. Queste sono le cose scritte, queste dicono le cane depositate in Tribunale, queste parole leggeranno i giudici del Tribunale di Taranto. E noi facciamo una gran bella figura...</p><p><br /></p><p><b>NOTE AL TESTO</b></p><p>1. A. RIZZO, <i>Manzù e Messina interpellati per il monumento a Paisiello</i>, “Voce del Popolo”, 31 ottobre 1954.</p><p>2. A. CRISCUOLO, <i>Il libro delle epigrafi</i>. Ed. L’Italia meridionale, Lecce 1933, p. 61.</p><p>3. Cfr. D’ALESSIO, <i>L’epigrafe, la lapide e il monumento... futuro</i>, “Voce del Popolo”, 3 luglio 1954.</p><p>4. L’elenco dei nomi è desunto da “Voce del Popolo”, 11 giugno 1955 e “Corriere del Giorno”, 4 marzo 1956.</p><p>5. Per la storia del Premio Taranto e la fisionomia culturale di Antonio Rizzo, cfr. R. NISTRI - E. RIZZO, <i>Un giornale, una città</i>, Ed. Scorpione, Taranto 1987; R. NISTRI, <i>Le prime edizioni del Premio Taranto</i>, in “Cenacolo” N.S. II, 1990; D. CARONE (a cura di), <i>Ricordiamo il Premio Taranto</i>, Assess. comunale alla Cultura, Taranto 1991; A. PERRONE, <i>Storia del Premio Taranto</i>, Ed. Gruppo Taranto, Taranto 1992.</p><p>6. “Voce del popolo”, 21 gennaio 1956. Negli stessi termini si esprime il “Corriere del Giorno”, 14 gennaio 1956.</p><p>7. Cfr. AA.VV., <i>Taranto - Topografia e toponomastica</i>. Ed. Punto Zero, Taranto 1985, p. 149.</p><p>8. Cfr. “Civiltà delle macchine”. Anno IV n. 3, maggio-giugno 1956.</p><p>9. Cfr. A. RIZZO, <i>L’avventura tarantina dello scultore Leoncillo</i>, “Voce del Popolo”, 21 settembre 1968.</p><p>10. Cfr. AA.VV., <i>Taranto.</i>.. cit., p. 154.</p><p>11. Cfr. “Voce del Popolo”, 11 marzo 1956. Nello stesso fascicolo si pubblica un articolo di Renato Giani, postilla del saggio di G. MARCI BORI, <i>Franchina</i>, Ed. De Luca, Roma 1954.</p><p>12. Cfr. “Corriere del Giorno”, 6 marzo 1956.</p><p>13. Cfr. “Corriere del Giorno”, 4 aprile 1956. Sullo stesso giornale, le polemiche di F. M. Pupino sul Premio Taranto: 20 gennaio 1956, 23 marzo 1956.</p><p>14. Cfr. “Corriere del Giorno”, 11 marzo 1956. Anche il 30 marzo viene denunciata “la responsabilità di quel tale Rizzo Antonio, privato cittadino, il quale senza far parte del Comitato...”</p><p>15. A. RIZZO, Un impegno “d’onore” del Podestà “riesumato” venti anni dopo, “Corriere del Giorno”, 6 marzo 1979.</p><p>16. Cfr. AA.VV., <i>Taranto</i>... cit., p. 141.</p><p>17. Cfr. “Voce del Popolo”, 7 aprile 1956.</p><p>18. Cfr. N. CAPUTO, <i>Parola di sindaco</i>, Ed. Sedi, Taranto 1985, pp. 34-35.</p><p>19. Cfr. “Voce del Popolo”, 5 maggio 1956.</p><p>20. Cfr. “Corriere del Giorno”, 25 luglio 1957: contiene una relazione della seduta consiliare.</p><p>21. Cfr. “Voce del Popolo”, 3 agosto 1957. L’intervento di Ladaga viene da noi riportato in appendice.</p><p>22. Cfr. “Corriere del Giorno”, cit.</p><p>23. Cfr. “Voce del Popolo”, 10 agosto 1957. L’intervento di Quinto viene da noi riportato in appendice.</p><p>24 Cfr. “Voce del Popolo”, cit. <i>Dopo quasi trent’anni</i>, in <i>Parola di sindaco</i>, cit., De Falco afferma con chiarezza: “Affidai l’incarico di organizzare ogni cosa ad Antonio Rizzo che, oltretutto, aveva competenza ed esperienza sufficienti per portare a compimento ogni cosa nel migliore dei modi”. Quanto al senatore Gaspare Pignatelli, “fu lui a sconsigliarci di seguire la strada della trattativa privata e di bandire invece un regolare concorso” (p. 33). Dopo tre anni Pignatelli ha agito esattamente all’opposto.</p><p>25. A. RIZZO, <i>Lauri e spropositi per Paisiello</i>, “Voce del Popolo”, 20 febbraio 1960.</p><p>26. Sull’interrogazione socialista in Parlamento circa i 15 milioni, cfr. “Voce del Popolo”, 5 marzo 1960.</p><p>27. Cfr. “Corriere del Giorno”, 4 ottobre 1978.</p><p>28. Cfr. “Voce del Popolo”, 11 marzo 1967.</p><p>29. Cfr. “Corriere del Giorno”, 4 ottobre 1978. Il Pignatelli riprende la polemica sullo stesso giornale, in data 15 febbraio 1979.</p><p>30. G. ACQUAVIVA, <i>Storia di un monumento ad perpetuam memoriam</i>, “Nuovo Dialogo”, 4 maggio 1984.</p><p>31. Cfr. N. CAPUTO, <i>Parola di sindaco</i>, cit., pp. 32-37.</p><p>32. Cfr. AA. VV., <i>Taranto</i>...; cit. pp. 141-142.</p><p>33. Cfr. “Nuovo Dialogo”, 23 febbraio 1990.</p>Gianluca Lovregliohttp://www.blogger.com/profile/06546469526349421307noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6205583283493953364.post-8034186560195377592020-09-25T19:43:00.001+02:002020-09-25T19:43:19.050+02:00Volevamo tutto... e anche di più<h1 style="text-align: left;">Volevano tutto… e anche di più </h1><p><a href="https://drive.google.com/file/d/1x3GGqllV15h5sttEdgim4zQLh4Lh_VTP/view?usp=sharing">La radicalizzazione giovanile negli anni ’70</a></p><p><br /></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhBQY4GyoyMRtzi5W29cqESgT2mgyzPs8nduhQc83GGrTJl9RYAxcV_OuSyc29f_Pkbpp7PdZtffMGgHEIthSYdWalyX0G6AgjgQZ0MWMwvae7bQgPsRHCc-nIM0d1mUaI1SMnGPeYd1-S-/s1094/sc0006c877+copia.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="958" data-original-width="1094" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhBQY4GyoyMRtzi5W29cqESgT2mgyzPs8nduhQc83GGrTJl9RYAxcV_OuSyc29f_Pkbpp7PdZtffMGgHEIthSYdWalyX0G6AgjgQZ0MWMwvae7bQgPsRHCc-nIM0d1mUaI1SMnGPeYd1-S-/s320/sc0006c877+copia.jpg" width="320" /></a></div><br /><div><br /></div>Roberto Nistrihttp://www.blogger.com/profile/17114554653093766281noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6205583283493953364.post-49817999882265597902019-09-06T19:24:00.002+02:002019-09-06T19:24:12.624+02:00Recensione. Sai dove impiccano la notte? Dino De Mitri, La variabile del buio<h2>
Sai dove impiccano la notte? Dino De Mitri, La variabile del buio</h2>
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C’è voglia di poesia in questa città? C’è ancora voglia di raccontare storie? Dino De Mitri, libraio e scrittore, continua ad essere uomo libro per eccellenza, ma anche un incor<o:p></o:p></div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgeL5SKCDXvvdvQ3YB6gzsYMkRwArsf9x1nfZd_1qRCzn0HB-sil6izu0lohiC0KGbFEg4LR8Cji2YNVL3myl9Ol-egB48YdehlgtsRKEx26trL6IS1tTUrwkgpiosKqlA2p2SbCDJ-71M4/s1600/NZO.jpeg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="508" data-original-width="364" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgeL5SKCDXvvdvQ3YB6gzsYMkRwArsf9x1nfZd_1qRCzn0HB-sil6izu0lohiC0KGbFEg4LR8Cji2YNVL3myl9Ol-egB48YdehlgtsRKEx26trL6IS1tTUrwkgpiosKqlA2p2SbCDJ-71M4/s320/NZO.jpeg" width="229" /></a></div>
regibile incendiario di idee. Nella sua precedente operazione di scrittura, “Sai dove impiccano la notte ?”. Il borgesiano Didino sventagliava una raffica di proiettili come una “masculiata siciliana”: fuoco al cielo, per acchiappare una vita diversa tutta fatta di versi. Videoclips. Pulp, punk e trenodia Rokettara: libri ingordi che muoiono nella stupidità del tempo Cyber-poesia: blues al crocicchio del delta, fra mistich sbronze, esodo da un luogo che non sogna più nessuno-: Ossa assolate. Il nemico è dappertutto, è l’invisibile ovunque. Non disperdetevi. Il poeta è uomo di parola, diceva Giovanni Amodio! I branchi vanno via con la luna e lasciano una nenia che si fa luce tra le macerie. Didino, non fare il punto, tira una linea: tanto la saggezza non arriverà mai. Cumbà, noi siamo quelli della vecchia banda, comunisti vintage. game over siamo tutti sclerati.Siamo la banda Bonnot, il mucchio selvaggio e frikkia. .Craaaak abbiamo sempre voglia di dire: Andiamo!, Il Che è morto. Abbandonate il certo per l’incerto, partite per le strade...cani sciolti. Partecipammo alla Woodstock dei poeti a Castel Porziano, musica per vecchi camaleonti.avventurieri passivi, sfilandoci da una uscita laterale, in viaggio nella ‘ndrangheda sconosciuta. Cercavamo poemi che risalivano lentamente lungo fiumi scorrenti all’incontrario, alle sorgenti del niente. De mitri scrive ancora, fra lampi d’incerta memoria. Aspettando il treno e Baudelaire. Libro chiuso e fiore di marmo? Forse giace nascostaancora la vecchia biblioteca di Babele...è ancora lì. In via Cavour. Quando non c’è nessuno, di notte i libri parlano tra di loro e non è finita lì. Si raccontano ancora le storie dell’orda<br />
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d’oro e del mucchio selvaggio. Il nuovo romanzo di Dino De Mitri,” La Variabile del buio”, si presenta come la contronotte di Taranto: una città annientata da una strage di stato, di lunga durata e a norma di legge...ci sarà allegria anche in agonia . Libera nos a malo!<o:p></o:p></div>
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Fabrizio De Andrè, la città vecchia. Ma la scrittura di Dino De mitri è un autentico atto di guerra contro la poetica della vittimizzazione. Il suo urlo silenzioso viene da Allen Ginsberg, da Gregory Corso, da Lawrence Ferlinghetti e William Burroughs, padrino del Punk e dei ragazzi selvaggi, campione di quella controcultura che rimane ancora come un argine nei confronti della macchinizzazione seriale, De Mitri miscela abilmente le sue lasse con la grande musica classica. Howl e ancora howl. Fra memorie perdute e frequentazioni ospedaliere De Mitri è ritornato sulla strada, continuando con gaio cinismo ad amministrare o dissipare uno sterminato patrimonio di libri e vinili, fra stracci di pensieri, tutti arrapati di fumo: lo scritto è un lungo monologo che , voltato anche al maschile, vale la cantica di Molly, nell’eterno Ulisse. “Crollato sul letto, ogni notte raccatto la fine del mondo” : collezioniamo effetti personali, spilloni e malefici. Il’sola delle correnti: la verità è sepolta qua, come diceva uno dei tre paperini. E ancora poesia per i vecchi camaleonti! E bravo Dino de mitri, con la sua variabile del Buio. Ci vogliono costretti ad essere felici, ma noi stiamo bene ai confini del niente, dove impiccano la notte. <o:p></o:p></div>
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Un granchio stringe la gola. L’amicizia si saldava nelle occupazioni con i proletari di Lotta continua e l’assedio della polizia. Bardot prometteva un nido croccante di fumo. Le ombre combattevano intorno a noi: Dalli al cancro, dall! Ormai sappiamo come la storia sia andata a finire. .Quanto a noi, moriremo in bellezza baciando la polvere dei santi libri. “ Libera nos a malo”.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="font-family: Calibri; margin: 0cm 0cm 0.0001pt;">
Roberto Nistri, Taranto. 2018.<o:p></o:p></div>
Roberto Nistrihttp://www.blogger.com/profile/17114554653093766281noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6205583283493953364.post-4467765521198464872018-10-13T17:43:00.002+02:002018-10-13T17:44:41.229+02:00Una strada per l'utopia<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; margin-left: 1em; text-align: right;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiNB1RG4HWVuCGkDvAS7F6FUwmD6k7c36HbsLY4jdDxYeg8QYbUpoclwvrp6wNL8CJ-wzauN8q9FpMWvXxZndDTHaT61plEBAkWqrwVTrw35QPdweT6zAzvp2jhY0jWr-zbSsKlNEHNzL-1/s1600/IMG_5642.JPG" imageanchor="1" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="794" data-original-width="960" height="264" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiNB1RG4HWVuCGkDvAS7F6FUwmD6k7c36HbsLY4jdDxYeg8QYbUpoclwvrp6wNL8CJ-wzauN8q9FpMWvXxZndDTHaT61plEBAkWqrwVTrw35QPdweT6zAzvp2jhY0jWr-zbSsKlNEHNzL-1/s320/IMG_5642.JPG" width="320" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Disegno di Stefania Castellana</td></tr>
</tbody></table>
<h2>
Una strada per l’utopia di Alessandro Leogrande.</h2>
<div class="MsoNormal" style="font-family: Calibri; margin: 0cm 0cm 0.0001pt;">
Il Kilimangiaro è un monte coperto di neve alto 5.895 metri, e si dice che sia la più alta montagna africana. La sua vetta occidentale è chiamata dai Masai la Casa di Dio. Vicino alla vetta occidentale c’è la carcassa rinsecchita e congelata di un leopardo. Nessuno ha saputo spiegare cosa cercasse il leopardo a quell’altitudine. Forse cercava di andare oltre per trovare il suo Dio.</div>
<div class="MsoNormal" style="font-family: Calibri; margin: 0cm 0cm 0.0001pt;">
<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="font-family: Calibri; margin: 0cm 0cm 0.0001pt;">
Anche Alessandro cercava sempre di andare più su, ma la Signora Nera lo avvolse in un manto di freddo. Nella sua Taranto lo attende ancora una strada a lui intestata nella lunga marcia verso l’Utopia del giardino felice: <i>Starway to heaven</i>, dove si incontrano tutte le vite degli uomini speciali, quelli che nella Storia sono riusciti almeno una volta a sospendere la pena del vivere, aprendo almeno un varco nell’Eu topos: La casa della gioia. Non dobbiamo mai stancarci di raccontare: una città se non viene raccontata, si addormenta e si spegne.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="font-family: Calibri; margin: 0cm 0cm 0.0001pt;">
Diceva Ernesto De Martino: “Gli uomini hanno bisogno di Simboli e di Storie, che non devono morire come lacrime nella pioggia”.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="font-family: Calibri; margin: 0cm 0cm 0.0001pt;">
Finché ci sarà ancora una Storia, lungo il sentiero di Alessandro, noi vivremo.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="font-family: Calibri; margin: 0cm 0cm 0.0001pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="font-family: Calibri; margin: 0cm 0cm 0.0001pt;">
Roberto Nistri, 20 settembre 2018.<o:p></o:p></div>
Roberto Nistrihttp://www.blogger.com/profile/17114554653093766281noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6205583283493953364.post-21790604224771171482018-06-14T09:13:00.003+02:002018-06-14T09:51:04.830+02:00Dalle macerie. Un ricordo di Alessandro Leogrande<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhyofYD13oku_mpaJkXeVx6kMofP43O4x8r0sLDTq9zKQZXaDLYvejaQbsHNrYI7JUbTNvnhaKRLyFLof-QYXh_99aTgA8T4euoYjYalm87o_yJ_DQ3hgKHj4lnjtScJrHc3GwU3RKvvIA/s1600/DALLE-MACERIE-LOC..jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="1600" data-original-width="1131" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhyofYD13oku_mpaJkXeVx6kMofP43O4x8r0sLDTq9zKQZXaDLYvejaQbsHNrYI7JUbTNvnhaKRLyFLof-QYXh_99aTgA8T4euoYjYalm87o_yJ_DQ3hgKHj4lnjtScJrHc3GwU3RKvvIA/s400/DALLE-MACERIE-LOC..jpg" width="282" /></a></div>
<h2 class="MsoNormal" style="text-align: left;">
Dalle macerie. Un ricordo di Alessandro Leogrande</h2>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
di Roberto Nistri</div>
<div class="MsoNormal">
</div>
<div class="MsoNormal">
Lo scorso venerdì 1 giugno 2018, a Palazzo di città, veniva
presentato un volume collettivo dedicato all’opera e alla memoria di Alessandro
Leogrande, il maggiore scrittore tarantino. Sfogliando le pagine del volume
“Dalle macerie”, ritornava alla memoria una piccola battaglia culturale fra i
due mari, che doveva suscitare un certo scalpore sulla stampa cittadina: la
questione dei cosiddetti neo-spartani. Per Alessandro oggetto di una necessaria
puntualizzazione storiografica, per lo scrivente la necessità di non mettere in
campo altre perniciose burle che i tarantini hanno giocato, contro se stessi,
magari imbambolando anche ministri e senatori vogliosi di passerelle.</div>
<div class="MsoNormal">
Agli inizi del secolo nuovo, l’amico Alessandro rimaneva
perplesso di fronte all’improvvisa </div>
<div class="MsoNormal">
passione dei tarantini per i culti Spartani: “La cultura è
sempre rivolta al futuro, se vuole essere </div>
<div class="MsoNormal">
vitale, anche quando recupera i fili più o meno sotterranei
che legano il futuro al passato, non dovrebbe farlo con astrusi revanscismi o
passatismi… Un vagheggiamento rivolto non all’Atene dei filosofi e dei
tragediografi, ma alla Sparta grigia e militarista, che in Grecia riscuote
successo solo presso i fanatici nazisti di “Alba dorata” (Corriere del
Mezzogiorno del 23 Agosto e 21 novembre 2014).</div>
<div class="MsoNormal">
Il mito di Sparta era stato coltivato da Hitler come
luminoso esempio di Stato costruito su base razziale. Non si capisce a quale brand
mondiale della “svolta” tarantina facessero riferimento il candido ministro della
Cultura Franceschini e il presidente del senato Grasso che si sono illuminati a
cavalcione di una malaugurante Cometa Spartana. (cfr. “Quotidiano” del 25
novembre 2014) Tutto questo nel mentre si discuteva sulla soppressione della facoltà
di Beni culturali nella cosiddetta Università di Taranto. La nouvelle vague neo-spartana
seduceva i due illustri ospiti che scoprivano un “brand-volano per una città sofferente”,
brandizzando la nobile Urbs “Taranto città Spartana, esempio per tutti”. De chè,
boh… (“Quotidiano” del 25 novembre 2014).</div>
<div class="MsoNormal">
Annuciazione, annunciazione! Meno male che non segue mai la
manutenzione. In omaggio al film “Trecento”: erano già pronti in cantiere il
logo lambda da appiccicarsi ovunque, scudi rotanti e luminosi, statua bronzea di
Taras, galee spartane e gondole con parco tematico. Mammoccioni in vetro
resina, attrezzistica per body building rugginosa. Vecchi peplum e Maciste. Giustamente
Alessandro indicava l’autentico privilegio di Taranto come punto d’incontro fra
Oriente e Occidente, altro che il kitsch folklorico e strapaesano con
genealogie farlocche e fondali di cartongesso in stile finto antico, con un
residuale Museo spartano da nessuno accreditato. Sangue Spartano e piedigrotta cataldiana.
La erezione di un falanteo bronzo al centro di piazza Garibaldi. Come si dice,
una erezione non si discute. <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Blunt und
boden</i>, terra e sangue. Gloria al pesce strunzo. Pacchianate etiliche e tricche
ballacche. Tanto tutte le salme finiscono in gloria. Quanto all’ossessione identitaria,
rimane pur sempre la fucina del razzismo. All’epoca don Tonino Bello pregava:
"che la Puglia (Apulia, terra senza porte) si pieghi come arca di pace e non
arco di guerra”.</div>
<div class="MsoNormal">
“Macerie” è il dolente titolo del volume collettivo che gli
amici hanno voluto dedicare al nostro maggiore scrittore tarantino. Antonio
Rizzo nel secolo scorso e il nostro contemporaneo Alessandro Leogrande
rimangono senza dubbio le figure più esemplari della cultura tarantina.
Purtroppo, negli anni lunghi della monocultura statalmilitare e di quella
siderurgica, rimane solo l’eredità di un sottobosco mitomane e inconcludente,
dalla Accademia dei Terroni agli Spartani fanfaroni.</div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
* * *</div>
<div class="MsoNormal">
Mi sia permesso, di ricordare una curiosa tenzone poetica fra
due mari che molto divertiva il nostro buon amico. Il dolente Titolo del volume
collettivo che gli amici hanno voluto dedicare alla memoria del Maestro
Alessandro Leogrande, “Macerie”, ci ha fatto tornare con la memoria a un titolo
simile, risalente agli anni Settanta. Nel 1972 il poeta Nerio Tebano pubblicava
a Napoli un vecchio Poemetto in prosa: “Città di Macerie”. Incipit: “Era
crollata la mia casa, la mia Città. Era crollata la mia casa, la mia città era
fatta macerie…” Nel 1953. A un certo punto sulla stampa spuntavano tre poemetti,
due di essi a firma di Tebano, il terzo firmato da Giorgio Liberati.</div>
<div class="MsoNormal">
Dalla “Città di macerie” si faceva avanti il giornalista
Barbalucca nel 1953. Nel 1955 toccava al poeta Barbalucca, la rivendicazione di
Città di macerie. Ma il giornalista collezionava alcuni impicci e scompariva
nelle tenebre. Richiesta la perizia di Piero Mandrillo, studioso della poesia
tarantina. Cincischiava di lasse poetiche, ma rimaneva ancora oscura la
proprietà dell’opera. Si arrivava sino al 1960. Ben tre pubblicisti della
stessa “Tribuna del Salento”. “Città di macerie “era ancora in ballo. Con Mandrillo
si avanzava nelle tenebre: intanto sulla rivista di toponomastica, tale Aurelio
Svelto faceva una bizzarra scoperta sul vico Borgia, così nomato perché imparentato
con Lucrezia Borgia (?!). Boiata pazzesca! Risorgeva la “Città di macerie”.
Pian piano Mandrillo, con le sue lasse poetiche, andava convincendosi di essere
lui il vero compositore di “Città di Macerie” alla faccia di Nerio Tebano. Nel
1966 ritorna alla luce con “Città di macerie” tutta la compagnia alla faccia di
Nerio Tebano.</div>
<div class="MsoNormal">
E dunque: Nerio Tebano (1952), Giorgio Liberati (1953), Giuseppe
Barbalucca (1955), Nerio Tebano (1960).</div>
<div class="MsoNormal">
Riepilogo: Tebano Barbalucca. Si arrivava al 1976. L’ora
della verità veniva per tutti, ma non per il democristiano e comunista
Barbalucca, e tanto meno per la Taranto di “Città di macerie”. Su tutti i
periodici Salentini giravano ormai molti apocrifi. Il sempre attivo critico
letterario Piero Mandrillo, sospettava ormai di essere l’autore dell’enigmatico
poemetto, in virtù di alcune “lasse poetiche” che a lungo aveva compulsato. </div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
* * *</div>
<div class="MsoNormal">
Caro Alessandro, abbiamo voluto ricordare quelle figurine di
ieri e forse anche di sempre. Le macerie sono eterne certamente la figura di
Leogrande ci ricorda che, se non tutto, il meglio rimane. In giro c’è molta
antropologia della scrittura, ai confini della antropofagia: voglia di mangiare
lo scrittore. Anche se abiti sull’altro lato della strada, i compagni tengono
la luce accesa.</div>
<div class="MsoNormal">
Caro Alessandro, Il Maestro è nell’anima e nell’anima per
sempre resterà. Ciao Amico, ovunque tu sia.</div>
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Gianluca Lovregliohttp://www.blogger.com/profile/06546469526349421307noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6205583283493953364.post-51291512832564563402018-05-27T11:49:00.001+02:002018-05-27T11:49:19.490+02:00Moro rapito e Taranto. Una testimonianza<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhbwbZ6LxC-0uvyABQx1xYKZzV7uifGnakLGAE80Bb5ZNodSIkYhAmFQdGx4BKkv99FP-vfLUEQNhALxG3PsF8VNV2DANMwwSBmkcHC7VaGesMNM7UfRuj902elOakFZUpRQJFZeV4AXz5b/s1600/image003.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="381" data-original-width="531" height="229" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhbwbZ6LxC-0uvyABQx1xYKZzV7uifGnakLGAE80Bb5ZNodSIkYhAmFQdGx4BKkv99FP-vfLUEQNhALxG3PsF8VNV2DANMwwSBmkcHC7VaGesMNM7UfRuj902elOakFZUpRQJFZeV4AXz5b/s320/image003.jpg" width="320" /></a></div>
Perché in via Caetani, fra Botteghe Oscure e Piazza del Gesù?<br /><br /><div>
Per una banale svista topografica, che ha oscurato il luogo dove è stato trovato il cadavere. Via Caetani non aveva a che fare con quel sito ove si trovano due brevi strade, le vie Celsa e dell’<i>Ara Coeli</i>, che si addentra nel Ghetto ebraico. Di altro rilievo era <b>Palazzo Caetani</b>, che doveva far scattare il nome dell’illustre Maestro di origine russa, Igor Markevic, considerato con sospetto come il Misterioso “intermediario”.<br /><br /><div>
Comunque qualcuno aveva capovolto con un colpo di coda una trattativa nella quale erano stati coinvolti i servizi segreti di mezzo mondo. Markevic aveva vissuto in un mondo di emigrati russi, apolidi, diplomatici e spie, massoni e banchieri nella Firenze occupata dai nazisti, partigiani, ma anche una Monaco della principessa Grace Kelly con i suoi strani intrighi. Igor veniva coccolato dall’artista Jean Cocteau che lo iniziava al suo ordine cavalleresco per la fondazione di un governo mondiale. Il <i>dominus</i> di Palazzo Caetani era riuscito a conciliare opposti interessi e fazioni anche sulla scena internazionale. Noi mangiamo pane e stelle, diceva.<br />Markevic non era un partigiano inquadrato militarmente, ma i suoi rapporti di contiguità con la Resistenza sono provati.<br /></div>
<div>
Il mondo di Igor era sempre effervescente. Un ginepraio inestricabile: perfino roberto Sandalo, il terrorista di Prima Linea, sospetto di essere un infiltrato dei servizi segreti. Rimaneva l’imbroglio del rapporto Moro-Caetani. Il Sismi indagava sull’appartamento, ma venivano fermati da ordini superiori. Entrava in scena il giornalista Pecorelli, ma veniva fatto fuori. La Renault era tenuta a Palazzo Caetani, secondo l’ordine dei Cavalieri di Malta.<br /></div>
<div>
La rivista satirica “Il Male”, rilancia su Palazzo Gaetani. La maga Ester profetizza che gli imputati del Processo 7 aprile vengono liberati in capo a 2 anni. Intanto la caccia al Grande Vecchio. Altrove abbiamo già ricordato le figure di Giorgio Conforto e della figlia, ospitante i brigatisti. Grande frequentazione della loggia del "Libero Pensiero Giordano Bruno”. Giuliana Conforto, l’avvocato Edoardo De Giovanni, e l’agente americano Peter Tompkins, Tutti studiosi dei Misteri Egizi.</div>
<div>
<br /></div>
<div>
Lo scrivente aveva già iniziato i suoi studi per un libro su <a href="http://nistrikos.blogspot.it/p/bibliografia.html">Giordano Bruno</a>, poi dato alle stampe. Fra i vari cacciatori di “Grandi vecchi”, spiccava la bella figura di Ambrogio Donini. Docente illuminato di Storia del Cristianesimo. Presso l’università di Bari. Diplomatico, entrato nel partito comunista dopo la promulgazione delle leggi eccezionali, si trasferiva negli Stati Uniti, insegnando ad Harvard. Rientrato in Italia, diventava membro del Consiglio mondiale della Pace. Nel 1973 veniva insignito dal Soviet sapremo fell’URSS. Era naturalmente un “uomo di ferro”, come si diceva un tempo. Era un generoso gentiluomo che promuoveva gli studi degli allievi più indigenti. Con il suo assistente, Antonio Moscato, che ricordo con affetto, sempre presente a Taranto con la prima organizzazione Autonoma per l’unità operaia.<br /></div>
<div>
Donini era certamente uno stalinista della vecchia guardia, detto anche “kabulista. Un trozkista e uno stalinista che la voravano con grande rispetto reciproco. Certamente era legato a uomini come Rodano e Secchia, morto per avvelenamento nel 1973. Fiero avversario di Togliatti, frequentava giovani extraparlamentari ma, a differenza di Secchia, che era sempre in attesa dell’ora x. Non è un caso che giovani compagni secchiani si ritrovassero come attivi gappisti in Toscana, come ai vecchi tempi del concertista Igor e dei gap fiorentini. L’inquietante codi Gradoli derivava addirittura dai Rosacroce. Si parlava anche di Prodi, della Fabian Society e della Round Table.<br /></div>
<div>
Già Pecorelli aveva annusato ombre di Gladio. A palazzo Caetani c’era una stanza segreta che che avrebbe dovuto accogliere Moro, ormai instradato verso la salvezza. E invece Moro fu fatto entrare non nell’auro dei Cavalieri di Malta, ma nel bagaglio di una Renault rossa. Una voce era uscita dal coro.</div>
<div>
<br /></div>
<div>
Giunti a questo punto chiudiamo lo schematico riassunto e rinviamo a eccellenti pubblicazioni: Giovanni Fasanella e Giuseppe Rocca con Giovanni Pellegrino, <i>Segreto di Stato. La verità da gladio al caso Moro</i>. Il misterioso intermediario. Igor Markevic e il caso Moro.</div>
</div>
Roberto Nistrihttp://www.blogger.com/profile/17114554653093766281noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6205583283493953364.post-36268556630726411002018-04-19T17:30:00.002+02:002018-04-19T17:30:41.751+02:00Fascismo e antifascismo a Massafra e in terra jonica<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgghtCrfd_NFjh1dMDJmGx2jcwT98SGN4yx8mDzspIzR0ozlrYymJUG6v_sOn7q3Op-UyxZ5letU283NOpV9HZ23pcmF2tjvJgtkB9SNSAHZ-PWLIQZUrRMntZzyUTmvX7AIfQ5K6Ff7Yk/s1600/Schermata+2018-04-19+alle+17.28.18.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="894" data-original-width="630" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgghtCrfd_NFjh1dMDJmGx2jcwT98SGN4yx8mDzspIzR0ozlrYymJUG6v_sOn7q3Op-UyxZ5letU283NOpV9HZ23pcmF2tjvJgtkB9SNSAHZ-PWLIQZUrRMntZzyUTmvX7AIfQ5K6Ff7Yk/s640/Schermata+2018-04-19+alle+17.28.18.png" width="449" /></a></div>
<br /></div>
Gianluca Lovregliohttp://www.blogger.com/profile/06546469526349421307noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6205583283493953364.post-59990013747059900022017-09-20T18:45:00.004+02:002017-09-20T19:01:44.959+02:00La romanza sporca dei due mari. Il primo romanzo di Roberto Nistri!<h2>
<b>La romanza sporca dei due mari</b></h2>
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E' già disponibile nelle migliori librerie il primo romanzo di Roberto Nistri, dal titolo La romanza sporca dei due mari. Personaggi probabili ed altri meno, si agitano in un quadro onirico ma troppo reale, nella terra tra i due mari. Continui colpi di teatro fanno gustare questo romanzo come un sogno ininterrotto...<br />
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<b>Roberto Nistri</b>, <i>La romanza sporca dei due mari</i>, Scorpione editrice, Taranto 2017, ISBN 9788880994190<br />
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<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgTlZ3MS8LOE6ittc16myOdua2QA2V7-e_J4FDn9vA3SNNIOy8PCu0qi_N-fy1xWf7cKO3XJ9nKuD5l14VnyLBf4Z2hVtGit6nl09my8Rt9NiabudvfQ-Px2U0WYI96jlyrDhZzZfgXALDc/s1600/Copertina+romanzo.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="620" data-original-width="442" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgTlZ3MS8LOE6ittc16myOdua2QA2V7-e_J4FDn9vA3SNNIOy8PCu0qi_N-fy1xWf7cKO3XJ9nKuD5l14VnyLBf4Z2hVtGit6nl09my8Rt9NiabudvfQ-Px2U0WYI96jlyrDhZzZfgXALDc/s400/Copertina+romanzo.png" width="285" /></a></div>
Roberto Nistrihttp://www.blogger.com/profile/17114554653093766281noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6205583283493953364.post-65474741849155615892017-05-01T19:06:00.000+02:002017-05-01T19:06:08.646+02:00Giordano Bruno. Per non dimenticare!<!--StartFragment-->
<br />
<h2>
Bruno. Per non dimenticare!</h2>
di Roberto Nistri<br />
<br />
<br />
<div class="MsoNormal">
Il 17 febbraio 2017, “Gli<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Amici della Ragione” hanno doverosamente onorato la memoria
del grande martire del Libero Pensiero, il <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>filosofo meridiano e Cittadino dell’Universo, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Giordano Bruno, che, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>distruggendo il castello di carta dei Tolemaici e il <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>cielo delle stelle fisse, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>spalancava per la scienza i sentieri
infiniti <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>di un Universo senza
limiti, aprendo la strada al grande Galileo, che traduceva <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Bruno, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>senza
citarlo. Nato sotto una stella vagabonda, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>la sua <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>felice eresia lo rendeva uccello di
bosco della Filosofia, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>lo spingeva
a battere tutte le strade <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>d’Europa,
ben accolto da tutti gli spiriti nobili e perseguitato dagli stolti <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>abitatori del cielo asinino: scomunicato
e perseguitato da tutti gli inquisitori <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>dell’epoca: cattolici, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>luterani e calvinisti.</div>
<div class="MsoNormal">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Solo, contro il
“Vangelo armato”, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Bruno perseguiva
invece il sogno umanista del tollerante e <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>civile conversare dei popoli, ricercando l’Unione nella
Molteplicità . <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Nessun capo è
assoluto, solo la diversità ci salva. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Non inginocchiarti di fronte all’Unità, ricerca invece l’Unione
nella fraternità…L’inaudita cosmogonia bruniana, l’Universo infinito che <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>conferisce pari dignità a tutti i
centri, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>ognuno <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>dei <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>quali portatori <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>di
responsabilità <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>e <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>titolari a pieno diritto di umanità. </div>
<div class="MsoNormal">
Nel mondo capovolto e incendiato dalle guerre di religione, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Bruno promuoveva la grande riflessione etica
della modernità europea, che doveva trovare compimento nella kantiana
riflessione <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>sul nesso
Emancipazione e Responsabilità. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Cercava di promuovere , <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>in coerenza con una cosmogonia che non
conosce limiti <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>e censure, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>muraglie <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>e prigioni, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>che
possono appagare solo i piccoli tiranni, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>propagandisti, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>dell’ignoranza e della paura. Il filosofo accende una lampada
nel buio, ma è solo contro tutti i vessilliferi del Vangelo armato.</div>
<div class="MsoNormal">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Negli anni a
venire frate <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Giordano abiterà
tuttavia <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>fra le pagine dei grandi
scienziati. </div>
<div class="MsoNormal">
Come ha scritto Koyrè, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>si deve essenzialmente a Bruno e Galilei l’ l’affermarsi
impetuoso della scienza moderna. La più <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>grande e bella
avventura: <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><i>ad ventura</i><span style="font-style: normal;">, verso le cose future.</span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>La <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>danza delle stelle di cui lui si inebriava…
come Einstein avrebbe sognato di volare a cavalcioni di un raggio di luce. </div>
<div class="MsoNormal">
Gli eretici si affacciano sempre sull’orlo del precipizio. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Ma quale grande scrittore non si è innebriato nelle pagine bruniane,
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>a partire <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>da <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Marlowe, che <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>nel
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Faust vedeva <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Bruno fuggire da una prigione sul dorso
di un drago. Si pensi alle scritture <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>di <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Leopardi, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>di Joyce, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>di <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Brecht di <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Gadda, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>che amorevolmente <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>chiamava Bruno “ l’abbruciato”. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Vale per tutti la speranza bruniana<i>: <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Ai venturi…</i></div>
<div class="MsoNormal">
Certamente Bruno , come i veri profeti, rimane sempre <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>un disturbatore del quieto vivere, che infastidisce <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>il piccolo uomo che non vuole pensieri,
pauroso di mettere il naso fuori dalla <i>nigra spilonca. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>In Umbra lucis…</i><span style="font-style: normal;"> Bruno appartiene a pieno</span><i> </i><span style="font-style: normal;">titolo <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>all’ Illuminismo. Nella cosmogonia bruniana, non vi è alto o
basso, centro o periferia. Ogni<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>individuo, tra infiniti centri irriducibili, è parimenti portatore di
umanità e titolare di una incoercibile soggettività. Una società è felice
quando tutte le diversità sono ugualmente rispettate. Non idolatrare l’ottusa
Unità, ricerca invece l’unione nella </span><i>Varietas.</i><span style="font-style: normal;"> Si tratta di una grande riflessione etica che trova
pieno compimento nella riflessione Kantiana. Valga il motto dell’Illuminismo: </span><i>Sapere
Aude! </i><span style="font-style: normal;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Abbi il coraggio di conoscere! <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
Non chiudere gli occhi, ma tienili ben aperti. Alza in alto <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>lo sguardo verso gli infiniti mondi , <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>per uscire dallo stato di minorità, di
dipendenza. Ogni individuo, in <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>quanto
centro irriducibile di infiniti centri , comprende che nell’infinito universo
tutti i centri hanno pari dignità: nessuno è esentato e ciascuno ha il suo
carico di responsabilità: tale è il senso di una autentica democrazia. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
Sentirsi padrone delle proprie decisioni. Non rimanere <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>sotto tutela… Giordano Bruno rimane
Maestro di Anarchia, come ha chiarito Aldo Masullo. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><i>L’Archè,</i><span style="font-style: normal;"> <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>il principio assoluto, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span><i>l’auctoritas</i><span style="font-style: normal;">, è sempre la grande impostura. Nell’infinito, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>l’ordine umano è sempre Anarchico. L’ Essere
padrone della propria sorte… La meravigliosa caparbietà dei sognatori…<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Il pensiero in fumo, la lingua tagliata. La vittima
annientata.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
Il martirio di
Bruno, il rogo a Campo de’fiori, rimane la più esemplare tragedia del fanatismo.</div>
<div class="MsoNormal">
Vergogna perpetua per i carnefici della verità, i silenziatori del canto della
Ragione.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Venerdì 17 febbraio 2017. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Roberto Nistri</div>
<!--EndFragment-->
Roberto Nistrihttp://www.blogger.com/profile/17114554653093766281noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6205583283493953364.post-69267551326347368362017-05-01T18:55:00.001+02:002017-05-01T18:56:42.693+02:00Odoardo Voccoli, un tarantino, ribelle per la libertà (1877-1963)<!--StartFragment-->
<br />
<h2>
Odoardo Voccoli, un tarantino, ribelle per la libertà
(1877-1963)</h2>
<div class="MsoPlainText">
<o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
di Roberto Nistri<br />
<br /></div>
<div class="MsoPlainText">
<i>© Roberto Nistri 2017. Tutti i diritti sono riservati.</i><br />
<br /></div>
<div class="MsoPlainText">
<o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
L'antropologo Ernesto De Martino diceva che gli uomini
hanno fame di simboli e di storie.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
Per inciso, proprio in questo periodo, il bravo
giornalista Alessandro Leogrande, ex studente del Liceo Archita, sta curando un
programma radiofonico sulla terza rete, illustrando le vite di alcuni uomini
speciali: quelli che per primi si sono fatti avanti, spendendosi per una
generosa utopia.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
Ci sono storie di vite speciali: personaggi che, pagando
in prima persona , hanno combattuto la sopraffazione e la tirannide, cercando
di migliorare l'umana condizione, resistendo, senza mai arretrare di fronte al
pericolo, senza mai dimettersi dal mestiere di uomo. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Oggi
raccontiamo la bella storia di Odoardo Voccoli, fiero oppositore di fronte alla
prima e alla seconda Guerra mondiale. E questo in una città come Taranto, che
prosperava in tempo di guerra e si immiseriva in tempo di pace. Nello scenario
della grande storia, Odoardo era uno di quelli che non mollavano mai, militando
dalla parte giusta, mentre la dittatura nazifascista incendiava il mondo.
Ricordiamo questo personaggio che ha vissuto controcorrente, pagando in prima
persona, assieme ai suoi familiari con la meravigliosa caparbietà dei
sognatori.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Nato a Castellaneta
nel 1877, Odoardo era figlio di un impiegato delle Ferrovie, di cultura
liberale e mangiapreti , come si diceva nell'epoca risorgimentale. Non mancava un
antenato prete , ma iscritto alla Carboneria. Odoardo aveva vissuto una
giovinezza felice, correndo a cavallo nel paesaggio omerico di Castellaneta,
esplorando terre boscose e grotte profonde, in compagnia di un giovinotto dal
nome molto impegnativo, anche lui studente a Taranto: si chiamava Rodolfo
Alfonso Raffaele Pierre Filibert Guglielmi che , emigrando a New York, avrebbe
continuato a galoppare nella leggenda, con il nome immortale di Rodolfo
Valentino. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Invece la
famiglia di Odoardo si trasferiva al Borgo in via Anfiteatro. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Il padre
prendeva a lavorare come contabile in una Farmacia, permettendo così al
figliolo di progredire negli Studi Classici presso il Liceo-Ginnasio Archita,
con buon profitto fino al conseguimento del diploma.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Per il
ragazzo Odoardo, decisamente formativi furono quegli anni, nell'istituto dove
si sarebbero addestrate intelligenze vigorose, come lo storico Vito Forleo e l'astrofisico
Luigi Ferrajolo. L'idolo di Odoardo rimaneva sempre il liber'uomo Ugo Foscolo:
Questo ch'io serbo in sen sacro pugnale, io alzo e grido a l'universo
intero...Un Ortis letto essenzialmente in chiave libertaria e anticonformista. Ma,
a cambiare per sempre la vita del giovane Voccoli, doveva essere un insegnante
di filosofia e cultore di antropologia: Emilio Lovarini: un agguerrito
socialista, romagnolo di Cesena, che faceva circolare i testi fondamentali del
Socialismo, intrattenendosi spesso con gli allievi, sul "Materialismo
storico". <o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Stava per
aprirsi il secolo nuovo, il Novecento. Odoardo iniziava a lavorare come
scritturale presso il Tribunale di Taranto e a 19 anni si iscriveva alla
Sezione locale del Partito Socialista.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Nel 1898 in
tutta Italia, e anche a Taranto, scoppiavano i moti per il caroviveri, repressi
odiosamente da Re Umberto, con cannoneggiamento contro gli affamati. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Nel 1902, Voccoli
assisteva al primo grande sciopero dell'Arsenale di Taranto: uno scontro
durissimo fra operai e militari con la baionetta in canna. Il territorio veniva
completamente militarizzato, con il sopraggiungere, addirittura, di due Corazzate:
"Varese" e "Garibaldi". <o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText">
Nel 1910, un altro episodio traumatico: i
molluschicultori, danneggiati per l'inquinamento delle acque, organizzavano una
piccola protesta . Presso la Caserma Rossarol, attuale sede della Università, una
improvvisa salva di fucileria, doveva concludersi con un eccidio: tre morti e
numerosi feriti. Odoardo ormai, anche fuori di Taranto, era già un dirigente riconosciuto
della Camera del lavoro e organizzatore dei portuali. Una figura ormai di primo
piano nel movimento, che tuttavia non reputava disdicevole una capatina al
Cafè-chantant.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>In un
rapporto prefettizio del 1905 si legge: "Non v'ha sciopero o movimento
operaio nel quale non sia uno dei promotori". Uno spirito allegro, ma
anche un fiero combattente contro la Camorra, nel "fronte del porto"
di Taranto, ma anche di Brindisi. Per la conquista di un onesto lavoro, <o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
si doveva anche battagliare a colpi di pistola e di
uncini. Organizzando i portuali anche a Savona, Genova e Brindisi, Voccoli aveva
conquistato ormai un certo prestigio, ma anche un tenore di vita che gli permetteva
di vivere decorosamente in una palazzina di sua proprietà, con la fedele compagna
Maria Assunta D'Auria, con i figli Libero Ribelle, Clara Vera Fede, Libertà, Idea
Proletaria Vindice e infine, Wservodol Lebedintseff, detto Todol. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
Ma, con la fine della guerra e la mancanza di commesse
statali, l'ondata di disoccupazione era travolgente. Odoardo doveva affrontare i
terribili moti per il caroviveri: la grande prova del fuoco. La la
cittadinanza, in assenza di forniture militari, era ridotta alla fame: saccheggi
nei mercati, otto cittadini uccisi dalle forze dell'ordine! Un lavoratore morto
ammazzato veniva traslato in corteo lungo il ponte girevole. Erano le fiamme
del " Biennio Rosso": pronto purtroppo a colorarsi di Nero: il
cosiddetto diciannovismo! A Taranto si registrava la latitanza di ogni civica
istituzione. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
Con la Camera del Lavoro, Voccoli e i socialisti,
senz'altro non colpevoli dello sfascio istituzionale, dovevano farsi carico di una
situazione degenerata. I commercianti , in testa i "Grandi Magazzini
D'Ammacco", portavano nelle mani di Odoardo le chiavi dei loro magazzini, sperando
di salvare la "roba". Divampato lo sciopero generale, i cittadini ormai
facevano affidamento solo nella Camera del lavoro. Ma in tutta la città, come
nel resto del paese, doveva venire anche allo scoperto la grande paura dei
padroni e padroncini, che ne volevano vendetta, del Governo e dei politicanti
dell'epoca. I facinorosi non mancavano, lo Stato non sembrava in grado di
proteggere la proprietà e garantire la sicurezza. I signorotti si decidevano ad
allargare i cordoni della borsa, prezzolando squadracce e mazzieri.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
Il Regio governo, perpetuamente allo sbando, non era minimamente
in grado di prospettare ampie misure riformatrici. Era l'ora siderale dei
peggiori farabutti : gli imprenditori della paura.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
La regola aurea: seminare il terrore , per candidarsi poi
come salvatori della Patria.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Accendere
l'incendio e poi travestirsi da pompieri!<o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
Pronto a tutto e capace di niente, Il Re Vittorio, detto
Sciaboletta, apriva le porte agli squadristi di Mussolini, scendendo uno ad uno
tutti i gradini della indegnità, sino a firmare le vergognose leggi razziali.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
Dopo la Marcia su Roma, i fascistissimi fratelli Giusti
assalivano La Camera del Lavoro e colpivano con bombe a mano la palazzina di
casa Voccoli, in via Cugini... Un primo operaio assassinato doveva essere Raffaele
Favia, dei Cantieri Tosi. Il fascista Casavecchia lanciava una bomba verso un
gruppo di comunisti e intanto veniva arrestato il Comunista Millardi.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
Già nella semiclandestinità Odoardo era delegato a
Livorno, nel 1921, partecipando alla fondazione del Partito Comunista d'Italia.
Nel 1926 partecipava al Congresso Internazionale a Lione e il 20 giugno veniva
arrestato, e così la sua compagna. "Quanto più l'avversario mostra di
voler usare la mano pesante, l'ingiustizia fa più grande un'anima libera e
fiera".<o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Per Voccoli
il socialismo non è stata la ballata di una sola estate, la bandiera degli anni
verdi.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>La
ribellione era ormai un imperativo categorico che legava indissolubilmente la
battaglia per il lavoro alla rivendicazione dei diritti civili, secondo la lezione
liberal-democratica ricevuta dal genitore. Era anche necessario difendere la
città proletaria, mantenendo quel piccolo embrione di organizzazione di classe
con le cui sorti Odoardo aveva identificato la sua scelta di vita: " la
città "più Rossa" del Mezzogiorno...<o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Scattavano
le leggi speciali e Odoardo veniva condannato a 12 anni e mezzo di carcere
duro, tre anni al figlio Todol per la minore età. Il carcerato confortava la
compagna Assunta : "Mia adorata e sventurata Assunta, dodici anni sono un
po' troppi, vero? Di una cosa puoi essere sicura, della serenità con la quale ho
ascoltato la sentenza. Il primo e migliore giudice è la mia coscienza. I deboli
si accasciano. Chi viene colpito per la sua fede non deve impallidire dinanzi
alle conseguenze che gli derivano dall'aver troppo amata la sua idea...Spero di
essere additato come uomo di carattere, che non piegò mai dinanzi a qualunque avversità...<o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
Anno dopo anno, giorno dopo giorno, ai carcerati veniva
sempre offerta quella domanda di Grazia, quel "Pentimento", che
poteva rimettere in sesto tante famiglie sofferenti, considerando che non vi era
lavoro per i familiari che non avevano la tessera del Partito.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Ovviamente
Voccoli, come altri compagni, rifiutava sdegnosamente qualunque Grazia,
guardando con disprezzo il "pentito" che poteva ritornare in
famiglia. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
Intanto scriveva e organizzava una piccola scuola nel
carcere. Quelli come noi, diceva: non mollano mai.Nel '29 veniva arrestato il
figlio Libero Ribelle. Non mollare! Fino all'ultimo giorno, in carcere scriveva
i suoi quadernetti, che riusciva a far circolare all'esterno fra i compagni. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
Con qualche accorgimento si potevano trasmettere alcune
informazioni: Trascriveva per esempio<o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Il Principe di
Machiavelli, usando in sostituzione la parola "Partito" <o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
La famiglia era ridotta alla fame, ma non veniva meno la
solidarietà dei compagni ancora in libertà, come il nobile Carducci, che non faceva
mancare il suo sostegno. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Per le
famiglie dei carcerati, già si attivava il "Soccorso Rosso", con
collette fra i compagni.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Nel 1932, in
occasione del Decennale, veniva concessa una amnistia: si celebrava in carcere
il matrimonio civile, testimone il nobile Carducci Artenisio Ernesto: buon
sostenitore della Causa. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
Nel 1934, a seguito della delazione di uno spione
dell'OVRA, si tornava in carcere: 4 anni di reclusione per Voccoli e e per i
Fratelli Mellone morti in galera.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText">
Una militante di grande rilievo, dirigente del
"Soccorso rosso" , si prodigava per alleviare economicamente
l'indigenza della perseguitata famiglia Voccoli. Anch' essa attivista nel primo
nucleo storico socialcomunista, era stata condannata pure lei a lunghi anni di
carcere, ma rimaneva fiera combattente partigiana fino alla caduta del
fascismo. Il suo nome era una bandiera: Antizarina Cavallo. Si trattava di una
militante del primo nucleo torinese. Voccoli avrebbe conservato in Archivio il
suo ultimo saluto: "Ciao a tutti, compagni miei, continuate a lottare anche
per me".<o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText">
Una sola ferita non si rimarginò mai nel cuore di Odoardo:
la perdita del figlio più sfortunato, quel Wservodol , detto todol, il figlio
tubercolotico morto di stenti nella solitudine del carcere. Commuovente il suo
ultimo saluto al padre: " Muoio sicuro di non aver menomato il nome che
con fierezza ed orgoglio ho portato. Tuo Todol". I compagni in libertà
riuscivano ad organizzare un funerale clandestino, notturno, fischiettando
l'internazionale con uno striscione sul feretro:<o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>"I
compagni di Taranto". Nell'amnistia del Decennale, Odoardo veniva
scarcerato, ma il Tribunale Speciale lo condannava per altri quattro anni di
reclusione per cospirazione. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
Nel '34, a seguito a seguito della delazione di una spia
dell'OVRA, sempre di più erano i compagni carcerati. In effetti si stava stava
riorganizzando il fronte Antifascista. Nel marzo del '34, Odoardo era di nuovo
carcerato. Anno dopo anno, un giorno dopo l'altro veniva offerta al prigioniero
Voccoli la domanda di grazia, che gli avrebbe spalancato subitamente le porte
della libertà.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Ma lui non
sarebbe mai uscito a capo chino. Il figlio Libero Ribelle, posto in cella d'isolamento
veniva condannato al confino, serbando"cattiva condotta politica". <o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
Dopo la caduta del fascismo, Odoardo sarà il primo
sindaco repubblicano del dopoguerra, unanimamente stimato dai suoi concittadini.
Quelli come noi non mollano mai, diceva...<o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText">
La riconquista del nostro passato collettivo dovrebbe
essere tra i primi progetti per il nostro futuro.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
(Umberto Eco) Per Approfondire: Roberto Nistri e
Francesco Voccoli, Sovversivi di Taranto, <o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
Sedi Edizioni, Taranto 1987.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
Roberto Nistri. 16 febbraio 2017. Relazione ANPI. Liceo
Archita Taranto.<o:p></o:p></div>
<!--EndFragment-->
Roberto Nistrihttp://www.blogger.com/profile/17114554653093766281noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6205583283493953364.post-13300300794448776572017-05-01T18:49:00.004+02:002017-05-01T18:50:45.316+02:00Ieri come oggi: il trionfo del filo spinato<br />
<h2>
Ieri come oggi: il trionfo del filo spinato</h2>
<!--StartFragment-->
<br />
<div class="MsoPlainText">
di Roberto Nistri</div>
<div class="MsoPlainText">
<o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText">
già edito in "Galaesus". Studi e ricerche del Liceo Archita di Taranto, n. XXXIX, pp. 92-99</div>
<div class="MsoPlainText">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText">
Nel vortice<o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Il 27 gennaio 1945, lungo la pianura
innevata, si vedevano avanzare i carri dell'Armata Rossa.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>I sovietici spalancavano i cancelli di
Auschwitz, simbolo per eccellenza dei campi di sterminio . Iniziava
l'interminabile<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>conta dei sommersi
e dei salvati. Fra i sopravvissuti: ebrei ma anche deportati politici,
testimoni di Geova, portatori di handicap, omosessuali, zingari<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>(sinti e rom). Il 28 gennaio 2015 a
Taranto veniva conferita la medaglia d'onore a Vittorio Caroli per aver
mantenuto fede al proprio giuramento durante la deportazione. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Gli angloamericani aprivano i campi
di Bergen-Belsen, Buchenwald, Dachau, Mauthausen e Majdanek. Avveniva la
scoperta dei sottouomini, dei materiali per esperimenti. Al seguito delle truppe
erano presenti operatori cinematografici di grande valore come Bernstein e
Hitchcok. La loro preoccupazione era quella di documentare quante più prove
possibili sull'infamia dei campi di morte, ben prevedendo le future
manifestazioni di scetticismo o addirittura di negazionismo circa gli
indicibili orrori che erano finalmente sotto gli occhi di tutti. Bernstein
diceva: "sosterranno che sono solo trucchi di cinema". Notabili ed
ecclesiastici del luogo venivano spinti a chinarsi presso i corpi
martoriati,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>eppure in seguito
tanti si sarebbero rifiutati di guardare in quello schermo (scene conservate
per anni nel War Museum di Londra)<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>ma Alfred Hitchcok avrebbe detto: "Il ricordo di quel film non mi
ha mai abbandonato". Per forza! In quel film era in nuce tutta la sua
straordinaria storia cinematografica. Gli bastava ruotare la cinepresa dalla
baracche dei deportati verso i circostanti luoghi ameni di villeggiatura come
Ebensee. Tutt' in torno si vedevano le linde casette di famigliole felici e
indifferenti, che venivano chiamate a sfilare nei lager. L'innocente vita dei
"volenterosi carnefici di Hitler": da una parte il lieto pasto
quotidiano, dall'altra le continue emissioni di fumo nel campo. Fra questi due
poli si distende la mai finita storia del complice in "buona fede". <o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Testimonianza di Ferdinand Holl , ex
prigioniero politico e kapò del campo di concentramento di Neuengamme: "I
prigionieri venivano spogliati completamente ed entravano nel laboratorio uno
dopo l'altro. Io dovevo tenere ferme le loro<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>braccia, mentre un medico ci strofinava sopra qualche goccia
di iprite, il cosiddetto gas mostarda, che provocava terribili ustioni.
Dovevano aspettare in piedi con le braccia aperte anche dieci ore, forse più,
finchè le ferite da bruciatura non iniziavano a ricoprire tutto il corpo,
progressivamente raggiunto dai fumi del gas. Il primo morto veniva
dissezionato, i suoi organi interni erano stati completamente erosi" (dal
resoconto della stenografa Vivien Spitz durante il processo ai medici dal '46
al '47, che definivano le loro cavie umane "materiali" o conigli. Le
prove erano ineccepibili: i nazisti avevano fedelmente registrato per iscritto,
con foto e filmati, gran parte delle loro atrocità. Nel campo femminile di
Ravensbruck si trapiantavano da una prigioniera all'altra sezioni di ossa,
muscoli e nervi per verificare se i tessuti si rigeneravano. Una sedicenne
polacca venne operata sei volte. I prigionieri venivano infettati
deliberatamente per sperimentare ipotetici vaccini. Gli zingari venivano
sterilizzati in massa.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>La
scrittrice Jennifer Teege ha ricordato un discorso di suo nonno Amon Goth nel
campo di Plaszow: "Io sono il vostro Dio. A Lubecca ho eliminata 60mila
ebrei, ora è il vostro turno". Ordinò che una ebrea,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>sorpresa a rubare una patata, fosse
gettata viva nell'acqua bollente e data ai maiali.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>L'esperienza del dolore<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>non si può trasmettere, avrebbe detto
Pietro Nenni, la cui figlia aveva trovato la morte ad Auschwitz . Non si poteva
fare nulla? Altrochè:<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Il re danese
CristianoX<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>indossava la stella di
Davide come segno di supporto e solidarietà con gli ebrei danesi,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>che soffrivano la persecuzione nazista
durante l'occupazione. Re Boris di Bulgaria si era rifiutato di sottoscrivere
le leggi razziali. Il vicepresidente del suo parlamento faceva salvare 48.000
ebrei bulgari. Leggi che invece erano state sottoscritte a cuor leggero dal
vile re savoiardo: nel 1939 venivano allontanati da tutte le scuole italiane
docenti e studenti ebrei. Non ci fu un preside in tutta Italia, una maestra che
si ribellò. Veniva ordinata l'espulsione degli stranieri ebrei, inclusi quelli
che avevano la cittadinanza. Si registrava il sostegno entusiasta di Agostino
Gemelli, fondatore e rettore magnifico dell'Università cattolica del Sacro
Cuore. Per quelli che non lasciavano l'Italia veniva creato il campo di
concentramento di Ferramonti di Tarsia<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>(Cosenza). Seguivano disposizioni che portavano sempre nuovi divieti tra
i quali: essere portieri in case abitate da ariani; esercitare il commercio
ambulante; esercitare l'arte fotografica; commerciare libri; vendere oggetti
usati; vendere articoli per bambini; raccogliere lana per materassi; essere
titolari di esercizi pubblici di mescita di alcolici; gestire scuole da ballo e
di taglio; vendere oggetti di cartoleria; raccogliere rifiuti; gestire agenzie
di viaggio; condurre autoveicoli di piazza; pubblicare avvisi mortuari e
pubblicitari; inserire il proprio nome negli elenchi telefonici; essere
affittacamere, detenere apparecchi radio; essere insegnanti privati; accedere
alle biblioteche pubbliche, fare la guida e l'interprete, allevare colombi
viaggiatori... su tali discriminazioni gli italiani si sono costruiti una
memoria di comodo, presentandosi sempre come vittime, mai come persecutori. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>La proposta di Furio Colombo di
indicare il Giorno della Memoria il 16 ottobre 1943, giorno del rastrellamento
degli ebrei nel ghetto di Roma voleva far risaltare il carattere di delitto
italiano e non solo tedesco dell'Olocausto. Arrivava un treno merci di 18
vagoni, ammassava 1.022 persone che avevano il torto di essere italiani
sbagliati, di sangue ebreo. Una donna incinta aveva le doglie, chiedeva aiuto.
Lei e il suo piccolo soffocarono nel sangue e nello schifo prima di arrivare ad
Auschwitz. Non è vero che fummo semplici esecutori, magari un po' restii, di un
genocidio pensato e voluto altrove. Pendevano delle taglie sulla "razza
maledetta": 5 mila lire per ogni maschio, 3mila<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>per le femmine, mille per un bambino. L'onore di pochi
giusti non cancella il disonore di una nazione, che per sette anni almeno, ha
fatto propria una follia che ha prima isolato, poi spogliato di ogni bene e
diritto, e infine infierito su una minoranza di 40 mila esseri umani, di cui
più di 7mila morti nei lager, colpevoli di ebreitudine (Gad Lerner, Un mondo
senza noi).<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Altro che Italiani
brava gente. Ci furono i "giusti", ma dietro la cattura di ogni ebreo
ci furono almeno altrettanti italiani implicati: prefetti, questori,
poliziotti, carabinieri, compilatori di liste, delatori della porta accanto,
ferrovieri, che dichiararono gli ebrei "stranieri": fra il 1943 e il
'45 li stanarono casa per casa, li arrestarono, li depredarono dei beni, li
rinchiusero nei campi, rendendosi colpevoli di genocidio (Simon Levis
Sullam,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>I carnefici italiani).<o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Quanto ad Hitler, la sua
guerra contro gli ebrei, era persa in partenza: da quando aveva fatto
annientare i centri studi di Fisica della Germania, diretti da eccellenti
studiosi ebrei, che immediatamente erano emigrati negli<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Stati Uniti<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>(lo stesso doveva accadere nell'Italia di Enrico Fermi,
Dulbecco, Rita Levi Montalcini) . Su 20 premi Nobel dati ai tedeschi, undici li
avevano presi gli ebrei e tra quelli illustri c'era anche Einstain. Quando il
ministro Rust chiese a Hilbert se fosse vero che l'istituto di matematica aveva
sofferto dell'espulsione degli ebrei, la risposta fu lapidaria:" Non ha
sofferto, non esiste più". Sembrava che l'ottuso tiranno avesse un conto
in sospeso nei confronti degli uomini di scienza. Si ricorda che a 14 anni, in
un istituto a Linz in Austria, avesse come<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>compagno di<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>scuola un ragazzo che doveva farlo innervosire non poco: il grande genio
ebreo Wittgenstein, il logico e matematico che avrebbe in seguito decriptato i
codici segreti del Reich, comunicandoli anche all'Unione Sovietica.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Anche le frustrazioni della
malariuscita artistica del giovane Adolf dovevano spingerlo ad odiare la grande
arte delle avanguardie pittoriche,<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>che lui condannava come "degenerate". Per le bizze del
despota,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>il Reich avrebbe anche
perso la straordinaria cinematografia<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>(UFA) che si sarebbe trasferita in massa ad Hollywood, in quella
fabbrica dei sogni che il genio ebraico aveva creato. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Contro il regno degli assassini,
armi imbattibili si stavano forgiando nello spirito della libertà, anche
semplici matite capaci di demolire il Moloch. Venivano impugnate nel 1938,
quando in Germania si scatenava la notte dei cristalli, mentre in Italia venivano
varate le leggi razziali. In quell'anno usciva negli Usa un fumetto disegnato
da due giovani emigranti ebrei, Shuster e Siegel: dall'antica mitologia
ebraica, nella figura del Golem protettore e giustiziere,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>nasceva Superman. Si ritornava alla
storia di un esodo senza fine. L' avventura : un popolo è consapevole che
finirà distrutto con tutto il suo pianeta (Kripton). Lo scienziato Jor-El salva
il figliolo Kar El sparandolo in un vascelletto nello spazio,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>verso la Terra,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>dove verrà accolto da due anziani
terrestri. Dotato di grandi poteri vivrà sempre come un diverso, amato ma anche
temuto, straniero impossibilitato ad integrarsi. Ritornava la storia del
piccolo Mosè, salvato dalle acque, un tipo tosto, dotato di grandi poteri. Era
il primo di una squadra speciale speciale di Supereroi, caricati per combattere
il regno del male: a tempo a tempo nasceva nel '43 Capitan America, e poi Iron
man e via disegnando. Ebbene, nella lunga marcia verso Berlino, ogni soldato
americano aveva nel suo zaino una razione di cibo, un pacchetto di sigarette e
un fumetto dei Super eroi: i due piccoli disegnatori ebrei erano tornati a casa
da vincitori.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>La memoria sofferente del
Padre, sopravvissuto allo sterminio di Hitler, doveva essere onorata<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>nel dopoguerra, con lo<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>splendido fumetto<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Maus di Art Spiegelman. Un corpo a
corpo fra padre e figlio, difficile e quasi impossibile, perché l'esperienza
non si può trasmettere. Spiegelman è<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>l'autore che più di ogni altro ha contribuito ad elevare lo status del
fumetto da semplice mezzo di intrattenimento a fenomeno culturale,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>in grado di toccare le realtà più
complesse e dolorose. Steven Spielberg ha raccolto e conservato un immenso
patrimonio memoriale nella Shoa Foundation. Una impresa iniziata da
ragazzetto,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>imparando a leggere i
numeri dai sopravvissuti dell'Olocausto che gli facevano vedere i loro
tatuaggi. Una identità inondata di mortalità, di atti di odio indicibili, ma
anche pervasa di indomabile resistenza. Il nipote del generale Kammler,
architetto delle camere a gas, è il<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>sociologo Tilmann, che da sempre studia i fenomeni di violenza tra gli
adolescenti, perché alcuni uomini accettano di farsi sottomettere e si
conformano, perché torturano e umiliano il prossimo. I dossier Usa sul nonno
risultano ancora secretati per occultare il ruolo del nazista reclutato<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>nella fase della guerra fredda.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Nella<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Giornata della memoria, alle elezioni in Grecia, si è
affermato<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>come terzo partito
quello dei neonazisti di Alba Dorata. In Italia hanno preso a circolare gruppi
musicali come "99 Fosse" (con la F). <o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Ma i tedeschi quanto vogliono
ricordare il loro crimine contro l'umanità? 81 su cento desiderano lasciarsi la
Memoria alle spalle. Lo rivela un sondaggio della fondazione Bertelsmann. 58 su
cento sperano che di Shoa non si parli più. I dati coincidono con un presente
in cui i nuovi nazionalisti xenofobi di Pegida riempiono le piazze all'est. Del
resto già dal 1949 l'Fdp aveva chiesto uno stop alla denazificazione ("la
Repubblica"<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>27 gennaio 2015).
Urge riflettere sul rapporto che ci deve essere tra la Memoria e la Storia: se
la prima tende a sbiadire la seconda deve invece fondarsi su una rigorosa
analisi dei fatti, per poter comprendere i legami di causa ed effetto. Se
l'emozione dovesse prevalere, quella Memoria sarà destinata a dissolversi. Solo
la Ragione è l'alternativa ad Auschwitz. Solo conoscendo e riconoscendo con
chiarezza, potremo superare "La Repubblica del dolore", come ha
scritto lo storico<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Giovanni De
Luna,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>nel suo testo edito da
Feltrinelli. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText">
Gli inizi: Duemila anni di giudeofobia<o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Le razze non esistono, ma il
razzismo c'è e fa male. E' ricorrente come imposizione di un gruppo su un altro
gruppo,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>ritenuto inferiore e/o
dannoso.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Si può auspicare il suo
annientamento (genocidio) o la distruzione della sua cultura (etnocidio).
L'anticamera del razzismo è l'ostilità attiva verso lo straniero (
xenofobia).<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>La più spontanea
manifestazione<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>è sempre la stessa:
"via gli stranieri". Gli spacciatori di paura sono sempre al lavoro.
Invece l'incontro-scontro fra culture delinea un campo di compatibilità e
conflittualità non facile da padroneggiare, soprattutto nel quadro di vistosi e
inarrestabili processi migratori, affrontati non tanto con strumenti
scientifici quanto con vecchie mitologie e superstizioni. Anche la democrazia,
che pure ha un raggio d'influenza mai registrato nel passato, sembra mostrare
la sua fragilità, è in difficoltà, non riuscendo a riconvertire il consumismo
in umanesimo, vivendo in bilico tra universalismo e localismo. Una democrazia
che tenga fede al suo nome implica tolleranza e apertura verso gli altri, ma se
non è in grado di offrire reali chance di vita e opportunità all'altro, la
democrazia si suicida.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>E' oggi
difficile, anche per buona creanza, una dichiarazione esplicita di razzismo, ma
è diffuso un certo razzismo pop di sottopancia. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>L'antisemitismo non lo ha certo
inventato Hitler. Durante tutto l'Ottocento era in diverse forme circolante
nelle culture politiche<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>di destra
ma anche di sinistra. Partendo dalla cultura della cristianità,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>sia cattolica sia protestante, era
incistata<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>l'idea di una
colpa collettiva, che il nazifascista , l'uomo delle pulizie, si sentiva in
obbligo di annientare nella figura dell'impuro, del non ariano. L'antica
ostilità dei cristiani nei confronti degli ebrei ovviamente non derivava da una
concezione razziale. Si trattava di una prevedibile concorrenza fra una antica
religione e una nuova (considerata una eresia dell'ebraismo). Gli ebrei ai
tempi di Giulio Cesare erano ben insediati a Roma con una "carta dei
diritti".<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Non facevano
proselitismo in quanto l'ebreo era semplicemente un nato da madre ebrea. Il
proselitismo cristiano che spaccava le famiglie e sembrava irriguardoso nei
confronti dell'Imperium pareva<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>invece una grande anomalia da cancellare. Le cose dovevano cambiare con
la coniugazione fra religione cristiana e potere imperiale. A quel punto si
rafforzava una giudeofobia legittimata dalla accusa antica e bislacca di
deicidio. La persecuzione doveva<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>rafforzarsi nel corso dei secoli ma, a differenza di quella
nazista,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>mirava alla conversione e
non alla soppressione. Certamente la chiesa cattolica ci mise di suo nel
seminare zizzania. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Ancora oggi qualcuno continua ad
esaltare la "tolleranza" di Costantino, il vero padre
dell'antisemitismo. L'undici dicembre 321 veniva emanato il Codex Judaeis, la
prima legge penale antiebraica. L'editto di Milano riconosceva il cristianesimo
come<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>religio licita e
"collante" politico più efficace dei vecchi culti. L'editto
definiva<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>la superstitio<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>ebraica "secta nefaria",
" feralis, " e formalizzava l'accusa di deicidio: quel
Costantino<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>che per tutta la vita
aveva conservato il titolo pagano di<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>pontifex maximus. Successivi imperatori dovevano ridurre ulteriormente i
diritti degli ebrei, privati delle sinagoghe e sepolti in luoghi lontani. Nel
fondamentale Concilio di Nicea del 325 si perveniva alla unificazione nelle
stesse mani del potere temporale e di quello religioso. Con Teodosio il cerchio
si chiudeva con la proclamazione del cristianesimo come religione di stato,
perseguitando ogni altro culto, l'ebraismo compreso. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>S. Giovanni Crisostomo nel IV secolo
si sarebbe preoccupato di mettere in giro la voce degli ebrei che sacrificavano
i bambini. Già il quarto Concilio Laterano aveva ordinato agli ebrei di portare
dei vestiti che li distinguessero: un cappello giallo per gli uomini, un velo
per le donne. Più praticamente Hitler avrebbe adottato la stella di Davide per
tutti. Nel 1215 papa Innocenzo III escludeva gli ebrei da qualunque
associazione professionale: potevano esercitare solo pratiche proibite per
cristiani e musulmani: cambiovalute e soldi in prestito, attività alle quali
facevano ricorso poveri contadini a rischio di esproprio, ma anche potenti e
sovrani. Naturalmente chiunque dovesse restituire<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>soldi all'ebreo, non provava per lui molta simpatia. Nel
1555 si arrivava alla bolla infame di Paolo IV che istituiva il
"serraglio" per gli ebrei condannati a vivere di sole "arti
strazziarie vel cenciariae" . <o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Si aggiunga che l'ebreo era
sempre considerato un diverso, uno "strano",<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>ma anche dotato di un oscuro potere.
Gli spiriti semplici temono ls scienza, ciò che non conoscono .<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>In epoche in cui anche i potenti erano
analfabeti, l'ebreo era l'uomo del libro, con la testa sempre fra strani rotoli
di carattere magico. Lo stesso Hitler odiava massimamente l'ebreo, al punto da
annientarne completamente la stirpe fino all'ultimo neonato, ma ne aveva paura
ed era affascinato da quei poteri oscuri di cui cercava in tutte le maniere di
appropriarsi. L'aggressività mascherava sempre un umiliante complesso di
inferiorità. Gli uomini piccoli odiano ciò di cui hanno paura.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>L'ebreo, spesso dal popolino
confuso con l'eretico e lo stregone, era il perfetto capro espiatorio,
addirittura un portatore di peste, che si poteva impunemete allontanare o
sopprimere. Solo nel concilio Vaticano II,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Nostra aetate, scompariva la preghiera<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>pro perfidis judeis, volta alla
conversione dei maledetti deicidi.<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>La misteriosa onnipotenza ebraica veniva sempre più enfatizzata dalle
varie agenzie poliziesche,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>che
fabbricavano a ripetizione documenti farlocchi come i "Protocolli dei Savi
di Sion". Ci si convinceva che dietro tutti i grandi sommovimenti, dalla
rivoluzione americana a quella francese a quella russa, gli ebrei avessero
manovrato nell'ombra. In realtà proprio la vita nel ghetto aveva conferito
all'ebraismo un forte senso di identità ma anche la capacità di muoversi su
scala globale.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Un caso
limite rimane<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>quello
dell'antisemitismo in assenza di ebrei. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Valga l'esempio della città di
Taranto: dopo la promulgazione delle leggi razziali, gli ebrei presenti in
città si contavano sulle dita di una mano. Eppure i professionisti del razzismo
fecero carriera nelle scuole, nei giornali, nel pubblico impiego, addirittura
riscrivendo una storia adulterata della presenza ebraica sul territorio,
manifestando entusiasmo per la distruzione della ultima traccia di una antica
presenza semita: il vicoletto Giuda, doveva scomparire grazie al colpo di
piccone mussoliniano.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText">
Appendice:<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>Aprile 2015.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Tra
superficialità, errori e ingiustizie che seguirono la fine della guerra,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>andrebbe riconsiderata<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>la riabilitazione del giurista Gaetano
Azzariti , che aveva contribuito alla redazione delle leggi<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>razziali presiedendo<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>il "tribunale" incaricato di
applicarle. Il ministro Palmiro Togliatti lo riabilitava così pienamente che
nel 1957 Azzariti diventava addirittura presidente della Corte costituzionale.
Poteva capitare che la giustizia veniva sacrificata alla
"pacificazione". Una delle tante scorciatoie pericolose. Il suo busto
di razzista e antisemita suscita le rimostranze del rabbino Giuseppe Laras e
dello<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>storico Riccardo
Calimani, che assieme ad altri cittadini indignati,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>ne hanno richiesto la rimozione.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Per il momento non è stata neanche concessa alla stampa la
visione del verbale della cancelleria della Corte. Sull'argomente esiste ormai
una corposa pubblicistica.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText">
Appendice 2: Maggio 2015.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
<br /></div>
<div class="MsoPlainText">
La distruzione della cultura, operata dagli
ultrafondamentalisti islamici, richiama spontaneamente il rogo nazista di oltre
25mila libri,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>il 10 maggio del
1933. Un mese dopo veniva bruciato il parlamento tedesco e iniziava la grande
caccia alle streghe: un rituale con tutti i parafernali del nazismo: bande
musicali, fiaccolate, rituali purificatori. Il ministro Goebbels annunciava:
"Uomini e donne di Germania, l'era dell'intellettualismo ebraico sta
giungendo alla fine. Da queste ceneri rinascerà la fenice di una nuova
era". Nel rogo scomparivano anche i colori sognanti di Klimt, Chagall,
Klee. In fondo i nazisti avevano creato la lista fondamentale della cultura,
che veniva conservata nel cuore di quanti ,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>a prezzo anche della vita, avrebbero operato per una
autentica rinascenza democratica.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
Questi paradigmi vanno riconsiderati, comparando gli
immigrati agli ebrei ebrei in fuga dalle persecuzioni naziste. Levi ci
ammonisce è affidata solo ai sopravvissuti, i salvati. La voce dei
"sommersi", delle migliaia di morti annegati. Dal gorgo non è tornato
mai nessuno per raccontare la propria morte.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoPlainText">
<br /></div>
<!--EndFragment-->
Roberto Nistrihttp://www.blogger.com/profile/17114554653093766281noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6205583283493953364.post-167455889395355592017-05-01T18:40:00.003+02:002017-05-01T18:40:35.191+02:00Crimini di pensiero<h2>
Crimini di pensiero</h2>
di Roberto Nistri<br />
<br />
Testo edito in "Galaesus" Studi e ricerche del Liceo Archita di Taranto, n. XXXIX 2015/16, pp. 223-224<br />
<br />
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Il 26 gennaio 2016,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>in occasione della “Giornata della
Memoria”, organizzata dal Liceo “Archita”,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>abbiamo presenziato ad un <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>impegnativo dibattito <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>su una tematica ardua e scabrosa,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>concernente le responsabilità del filosofo tedesco
Heidegger, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>di fronte alla tragedia
del nazismo e della Shoà. L’iniziativa è stata molto partecipata, con
qualificati interventi letterari e musicali. Benedetto Croce giudicava
Heidegger indecente e servile, ma <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>il filosofo Francesco Alfieri, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>scrupoloso esegeta del <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><i>corpus</i><span style="font-style: normal;"> heideggeriano, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>ha offerto ben altra interpretazione. Il
punto cruciale riguardava i <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>cosiddetti<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>“quaderni
neri”, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>di recente pubblicati per
esteso , che a detta di molti studiosi, chiariscono definitivamente la
fisionomia di un tedesco decisamente nazista e certamente antisemita: una
adesione profonda e non opportunistica al <span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span><i>Fuhrer Prinzip?</i><span style="font-style: normal;">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Si è aperta una<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>seria discussione. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Il
professore Alfieri ha messo in campo tutta la sua sapienza filologica per liberare
Heidegger da fraintendimenti più o meno maleintenzionati. Il dibattito si è
prolungato a lungo con giovani studenti che, in barba al disfattismo
governativo, sono ancora avidi di umanesimo e filosofia. </span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Come dirigente della “Associazione
Nazionale Partigiani”, lo scrivente esprime le sue perplessità <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>nei riguardi di una fluviale difesa
d’ufficio del filosofo contestato, le cui responsabilità nel <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>dopoguerra venivano riduttivamente
applicate alla figura del “simpatizzante”. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Troppo poco per un grande accademico, convinto di essere lui
il vero Fuhrer. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>A <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>lungo i colleghi avevano scherzato sul
suo “viaggio a Siracusa”, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>in
riferimento al viaggio di Platone, speranzoso di <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>governare filosoficamente il Tiranno. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Analoga speranza avrebbe coltivato
Gentile nei confronti <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>di
Mussolini. </div>
<div class="MsoNormal">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Certo è che Heidegger non ha mai manifestato dubbi: è rimasto
un<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>acerrimo nemico della libertà e
della democrazia, un nazista convinto, con appesa al petto una decorazione con
la croce uncinata, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>un antisemita di qualità: gli ebrei si
sarebbero autodistrutti in quanto <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>“vessilliferi
del <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>paradigma calcolatorio!” Una
originale rievocazione del “complotto giudaico”. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Il filosofo si sarebbe anche preoccupato di cancellare dal
suo <i>opus magnum</i><span style="font-style: normal;"> la dedica al suo maestro
ebreo<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Husserl, non partecipando neanche
al suo funerale.</span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<b><span style="mso-spacerun: yes;">
</span>Crimini di pensiero <o:p></o:p></b></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Nel corso della giornata, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>solo l’assessore Liviano ha
espresso poche ed acconce parole nei riguardi della Vittima Assente. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Se nel pubblico fosse stato presente un
discendente di un lontano perseguitato travolto dal vortice infame, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>avrebbe avvertito la propria estraneità
in un tempo ormai senza memoria e senza testimoni. La filosofia più che mai
deve ancora misurarsi con lo sterminio. </div>
<div class="MsoNormal">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Per quanto ci riguarda, negli anni Sessanta ci siamo fatti i
nostri quindici minuti di passioncella per il mago di Messkirch,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>con il suo<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>“esserci”, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>il <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span><i>Dasein</i><span style="font-style: normal;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>e l’</span><i>’in der welt sein</i><span style="font-style: normal;">, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>lasciando
poi senza rimpianti la </span><i>Selva Nera</i><span style="font-style: normal;">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>per accasarci
nella più felice <span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span><i>Rive
Gauche</i><span style="font-style: normal;">. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Il partigiano Pietro Chiodi ci aveva presentato un
esistenzialista ateo, mentre il piccolo sciamano era legato ad una vecchia
teologia negativa, un neoplatonismo appetibile per uno spiritualismo cristiano
sempre in lotta contro la razionalizzazione scientifica e il “disincantamento
del mondo” (Weber). <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>L’incantatore <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>nemico della matematica, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>aveva
dichiarato: “ io sono un teologo cristiano!”. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Coltivava un
pensiero misticheggiante, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>costellato di promesse abissali con il supporto di <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>fantasie occultiste : un dinamico
pusher, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>spacciatore di principi
barbarici e di eccitazioni accademiche,<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>come la “risveglianza dell’Esserci tedesco alla sua grandezza”. Uno
scalpellare il nulla, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>moltiplicando le iperboli con linguaggio doppio, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>sentenzioso e allusivo. Una <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>parrocchiale custodia del Graal , tutta
permeata dal <span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span><i>Fuhrer
Prinzip ,</i><span style="font-style: normal;"> una zuppa d’orzo come quella
propinata da Frau Elfride, della quale il filosofo era ghiotto . Karl
Lovith,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>il correttore delle bozze
di </span><i><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Essere e tempo</i><span style="font-style: normal;">,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>doveva
diventare<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>il suo critico più
implacabile: occorreva rompere l’incantesimo di una sterile<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>imitazione da parte di una massa di
adepti sovraeccitati. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Secondo
Thomas Bernard, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>il </span><i>Guru</i><span style="font-style: normal;"> <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>è
stato capace di mettere nel sacco una intera generazione di studiosi, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>propinando<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>una broda esoterica che ha annegato nel Kitsch la filosofia.
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Aggiungiamo anche le <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>scopiazzature dal libro dell’ultrarazzista
italiano Julius Evola, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span><i><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>La rivolta contro il </i><span style="font-style: normal;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span><i>mondo
moderno. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span></i><span style="font-style: normal;">Decisiva l’opposizione dell’anti Heidegger: <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>il filosofo ebreo Robert Nozick</span><i>.
</i><span style="font-style: normal;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Chi oggi sarebbe disposto a seguire
i “Pastori dell’Essere”<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>e
l’antropologia della “Radura”, misurandosi non<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>con il nulla ma con il vuoto, con tutta la sua forza di
risucchio? <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Franco Volpi, lo studioso italiano che
più si è avvicinato a Heidegger, ha considerato ormai irricevibile il suo
lascito: sperimentazioni linguistiche che implodono in funambolismi e infine in
vaniloqui. Volpi ci esorta a rimetterci in cammino non su presunti “ Sentieri
dell’essere”, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>ma sul <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><i>Sapere Aude</i><span style="font-style: normal;"> <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>dell’illuminismo<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>radicale.</span></div>
<!--EndFragment-->
Roberto Nistrihttp://www.blogger.com/profile/17114554653093766281noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6205583283493953364.post-4965696627266941832016-05-03T18:53:00.000+02:002016-05-03T18:53:07.990+02:00La farmacia del diavolo<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
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<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjgWc38LSdcBIUU4_CPPeN9oWFrzPspvm886j8pnmkyiUufKVMIQjmoBIz4Wbau3DA0Tkz39tDckKVb81OV4w_rS9Y21Wid3jzcgGRnZopjrL_bC5ycE6NPWSQiIdfC1zMccSf0xokvT00/s1600/streghe.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="241" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjgWc38LSdcBIUU4_CPPeN9oWFrzPspvm886j8pnmkyiUufKVMIQjmoBIz4Wbau3DA0Tkz39tDckKVb81OV4w_rS9Y21Wid3jzcgGRnZopjrL_bC5ycE6NPWSQiIdfC1zMccSf0xokvT00/s320/streghe.jpg" width="320" /></a></div>
<h2 class="MsoNormal" style="text-align: left;">
La farmacia del diavolo</h2>
<br />
<h3 class="MsoNormal" style="text-align: left;">
di Roberto Nistri, in<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>“Galaesus”, n.21, pp. 295-297,<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>Taranto, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>1998.</h3>
<div class="MsoNormal">
</div>
<div class="MsoNormal">
<i>© Roberto Nistri 2016. Tutti i diritti sono riservati.</i></div>
<br />
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Il rituale
immaginario del Sabba costituisce il pezzo forte della credenza nella
stregoneria: non appena un giudice ha tra le mani una strega, l’obiettivo che
si prefissa è quello di far confessare <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>la partecipazione al Sabba, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>il che equivale ad <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>una sentenza di morte. Gli inquisitori annotano
con cura le modalità dell’accoppiamento con il diavolo: “La baciava e amava
meglio di suo marito, anche se lo trovava sempre decisamente freddo” (Mandrou,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><i style="mso-bidi-font-style: normal;">I
magistrati e le streghe</i>). Veniva trascurato un fatto strano: l’amplesso
produceva dolore causato dalla penetrazione: “esse sostengono che gli organi
virili dei demoni sono talmente grossi e duri che è impossibile introdurli
senza provare un dolore atroce” (Remy<i style="mso-bidi-font-style: normal;">, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Daemonolatreia</i>). Il coito era accompagnato
dalla sensazione di acerbo dolore e orrore, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>a causa del seme del caprone, che essa sentiva
gelido come ghiaccio (Guaccio, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Compendium
maleficarum</i>). Si tratta di una costante in tutte le testimonianze rese
dalle povere allucinate: sintomo di primaria importanza per spiegare la
meccanica del Sabba, come intuisce<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>Freud, che nel 1897 Scrive a Flies: “Se arrivassi soltanto a sapere,
perché nelle loro confessioni, le streghe dicono sempre che lo sperma del
diavolo è freddo”. </div>
<div class="MsoNormal">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>L’origine di
questo sintomo, come anche del tipico “volo a cavallo della scopa”, è ormai del
tutto chiarita da una vasta letteratura scientifica<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>(ricordiamo almeno gli studi di Ioan Couliano
e Paolo A. Rossi, che hanno ben esplorato il laboratorio del Sabba). <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Unguento,
unguento,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>mandami alla noce di
Benevento, supra acqua et</i><span style="mso-spacerun: yes;"> </span><i style="mso-bidi-font-style: normal;">supra vento et supre ad omne maltempo</i>.
Questa formula, ripetuta in tutte le versioni dei racconti sulle streghe, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>che si davano convegno sotto il magico noce,
evocava con forza immaginativa il rituale preparatorio al volo notturno . </div>
<div class="MsoNormal">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Nel Cinquecento
è Paracelso il primo ad intuire la composizione dell’unguento satanico: sugna,
resina, fiori di canapa, rosolaccio e semi di girasole, ma è solo con il Della
Porta che si prende piena coscienza del rapporto fra le sostanze
neuropsicoattive contenute nell’unguento e il delirio indotto (P. A. Rossi). Il
medico napoletano assiste alla preparazione di un unguento che una vecchia
contadina si spalma sul corpo, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>strofinando
la pelle fino ad arrossirla, per poi cadere in un sonno profondo. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Al suo risveglio la “strega” sostiene di aver
attraversato mari e motagne, mentre in realtà si è appisolata in cucina. Della
Porta indica alcuni ingredienti interessanti: <i style="mso-bidi-font-style: normal;">l’aconitum, napellus</i>, detto ( Il veleno del lupo)<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>e l’<span style="mso-spacerun: yes;"></span><i style="mso-bidi-font-style: normal;">atropa
belladonna</i> (donna sta per Domina) <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>piante ricche di alcaloidi fra cui la
scopolamina, l’ <i style="mso-bidi-font-style: normal;">iosciamina</i> e <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>l’<i style="mso-bidi-font-style: normal;">atropina</i>.
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Si tratta di veleni vegetali molto
attivi, che a medi dosaggi provocano modificazioni neuropsicologiche. Il grande
Giordano Bruno ci ha lasciato nel <span style="mso-spacerun: yes;"></span><i style="mso-bidi-font-style: normal;">De Rerum
principiis</i> la ricetta di un brodo psicoattivo a base di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">coriandro</i>, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">alio, hyoscyamo cum</i> <i style="mso-bidi-font-style: normal;">cicuta…
et sandali rubro et papavere nigro… Con un simile beverone può scoppiare il
Pandemonium, </i>cioè la festa di tutti i diavoli!</div>
<div class="MsoNormal">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>All’inizio del
‘900 vennero approfonditi gli studi su quegli unguenti. Il<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Teirlink, come ingredienti psicoattivi
usava<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Datura Stramonium (o “erba del diavolo”) <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>e Hioscyamus niger</i> “Poco dopo essermelo
applicato, mi parve di volare <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>attraverso
un tornado… feci sogni assai vividi di treni velocissimi e di meravigliosi
paesaggi tropicali”. L’<i style="mso-bidi-font-style: normal;">hyoscyamus</i> o
giusquiamo - derivante da culti celtici -<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>ancora oggi viene fumato nelle campagne romane,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>contro il mal di denti: ribattezzato erba di
Santa Apollonia, che venne martirizzata con l’estrazione violenta di tutti i
denti. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Datura,
Giusquiamo, Atropa e Mandragora,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>a bassi
dosaggi danno euforia , alterazioni spazio-temporali e vividezza nelle
percezioni sensoriali, mentre ad alte dosi compaiono dilatazione della pupilla,
allucinazioni e delirio.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Effetti
psichici sono indotti anche da altre piante tipiche del corredo stregonesco:
Cicuta con paralisi motoria e eccitazione convulsiva.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>il Verbasco e la Valeriana producono
sedazione. Morella e Dulcamara provocano allucinazioni, vertigine, paralisi
dell’attività motoria e respiratoria. Digitale produce disorientamento
spazio-temporale, il Salice induce forme stuporose e sindrome maniacale. Nelle
ricette è ricorrente la <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Cannabis indica</i>.
Il libro di cucina delle streghe (dette anche <i style="mso-bidi-font-style: normal;">herbariae</i>) è zeppo di orride <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>bambolate: grasso di bambino non battezzato, sangue di pipistrello, ossa di morti… Non si
deve invece sottovalutare la presenza del rospo che, baciato al punto giusto,
si trasforma in principe: il punto giusto s’individua in ghiandole cutanee
contenenti <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Bufotenina</i> che,
succhiata,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>induce stati allucinatori.
Molto vari sono gli effetti che possono produrre i composti ritrovati nella
pelle degli anfibi, come si può leggere nell’aureo libretto di Albert Most (<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Rospi psichedelici</i>, Edizioni Nautilus).
In molte lingue o dialetti il rospo viene associato al fungo allucinogeno (vedi
Alice). In cina l’Amanita Muscaria si chiama fungo-rospo mentre a Treviso <i style="mso-bidi-font-style: normal;">l’Amanita pantherina</i> è chiamata <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Fongo</i> <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Rospèr.</i><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Silvio Pagani ha
studiato <i style="mso-bidi-font-style: normal;">delicatessen</i> come<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><i style="mso-bidi-font-style: normal;">la
Psilocybe semilanceata. </i></div>
<div class="MsoNormal">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span></i>A
proposito di funghi, quando Hofmann scoprì l’acido lisergico (LSD nella <i style="mso-bidi-font-style: normal;">claviceps purpurea</i>, fungo crittogamico
che infesta la segale in fase di crescita, si sovvenne di strani fenomeni di
allucinazione collettiva che si verificavano di frequente fra i contadini che
si nutrivano di pane di segale. A questo punto ce n’è abbastanza per chiarire
l’esperienza del “volo”. Ma perché a cavallo di una scopa? E l’amplesso del
diavolo? I nomi di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">pixidariaee</i> o <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><i style="mso-bidi-font-style: normal;">baculariae</i>
affibbiati alle streghe, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>rivelano quanto
importanti fossero nelle loro pratiche la scatola di un unguento e il manico di
una scopa. Giordano da Bergamo dice esplicitamente che esse montavano a cavallo
di un bastone spalmate di unguento. Ebbene, per assorbire attraverso la pelle
gli estratti delle solanacee “le zone del corpo più sensibili sono le ascelle
e, nelle donne per assorbire attraverso la pelle gli estratti delle solenacee
“le zone del corpo più sensibili sono le ascelle e, nelle donne, la vulva” (Couliano).
Data l’alta probabilità di infezione,<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>infiammazione e vaginite di ogni ordine e grado, la sofferenza fisica si
traduceva sul piano fantasmatico in un rapporto doloroso con un partner dotato
di un organo grosso e scaglioso. L’evaporazione dell’unguento, invece,
produceva la famosa sensazione di “freddezza”. <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Sic transit gloria diabuli.</i> Questa è la banale verità, ben diversa
da quella che condusse al rogo migliaia di povere disgraziate.</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
Bibliografia<br />
<div class="MsoNormal">
Oltre ai testi citati, C. Corvino, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Credenze stregoniche e interpretazioni farmacologiche</i> a cura di<i style="mso-bidi-font-style: normal;"> </i>M. Di Rosa, 1990. <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Pozioni stupefacenti</i> in “Medio Evo, 7 agosto 1997.</div>
</div>
Gianluca Lovregliohttp://www.blogger.com/profile/06546469526349421307noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6205583283493953364.post-10278631271395977592016-04-09T19:20:00.002+02:002016-04-09T19:21:55.909+02:00Dove affiggere il Manifesto per Taranto di Roberto Nistri<!--StartFragment-->
<br />
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<h2 style="text-align: left;">
Dove affiggere il
Manifesto per Taranto di Roberto Nistri</h2>
</div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<h3>
Intervento
di Fabio Caffio</h3>
</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "palatino linotype";">Ha
ragione Piero Massafra nel dire che il Manifesto<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>di Roberto<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Nistri<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>andrebbe affisso in una qualche <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>cattedrale laica che a Taranto non si sa
dove sia.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "palatino linotype";">Purtroppo
la mancanza di un nucleo<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>di
persone<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>impegnate nel culto del bene
della Città è da secoli il limite della nostra Taranto, sempre interessata<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>al contingente, a volte anarchica,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>spesso non costruttiva ed incapace di
andare oltre lo sberleffo del<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><i>ce'
te la face f</i></span><span style="font-family: "palatino linotype";">a'.
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Forse Nistri ci direbbe che
l'unica eccezione a questo stato di cose -derivante da chissà quali
caratteristiche genetiche- può ritrovarsi nel periodo magnogreco del governo
illuminato di Archita. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "palatino linotype";">A
scorrere la storia millenaria di Taranto si ritrova in effetti una capacità di
autolesionismo<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>ed un'inerzia<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>nell'azione che non ha eguali altrove. Basti
ricordare<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>il traumatico passaggio
dalle Due Sicilie al Regno d'Italia in cui la Città tardomedievale<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>e<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>la zona dell'attuale Borgo fu<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>quasi distrutta e stravolta in nome dell' affarismo di pochi e dello
sviluppo tumultuoso delle opere di difesa e cantieristica militare. Altro
scempio fu quello<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>urbanistico<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>commesso dopo la costruzione
dell'Italsider, quando le Amministrazioni comunali<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>autorizzarono una massiccia ed insensata cementificazione
edilizia nelle vie del Borgo. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "palatino linotype";">In
aggiunta, Taranto appare ora -come è stato detto- una Città popolata da apolidi
che, non avendo memoria di una <i>patria comune</i></span><span style="font-family: "palatino linotype";">, sono privi di un metro per
giudicare il presente. Ancora una volta<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>la colpa di questo va ricercata nella mancanza di un nucleo fondante di
cittadini interessati al bene comune. Ma anche nel fatto che la Città appare
drammaticamente preda dell'attivismo dei Comuni del suo entroterra e della non
nascosta logica colonizzatrice di Bari e Lecce cui fa comodo l'ignavia
tarantina. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "palatino linotype";">A
ragionare con il parametro del <i>cui prodest, </i></span><span style="font-family: "palatino linotype";">potrebbero formularsi molte ipotesi maliziose
sui perchè<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>dell'inarrestabile
precipitare della crisi dell'ILVA, dei mancati dragaggi dei fondali del
porto,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>della chiusura del terminal
container ("provvisoriamente" trasferito a Bari), dello strano
maleficio che impedisce al <i>District Park</i></span><span style="font-family: "palatino linotype";"> di decollare, dell'ultradecennale
chiusura "per lavori" del glorioso Museo Archeologico Nazionale dalle
cui ceneri è nato un MarTa apparentemente migliore ma di fatto depotenziato, della
subdola soppressione per "accorpamento" della Soprintendenza, della
liquidazione del <i>Corriere del Giorno</i></span><span style="font-family: "palatino linotype";">, dall'<i>editto barese </i></span><span style="font-family: "palatino linotype";">contro l'operatività dell'aeroporto
di Grottaglie. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "palatino linotype";">Su
chi contare, allora? <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "palatino linotype";">Certo
sarebbe auspicabile un <i>primo cittadino </i></span><span style="font-family: "palatino linotype";">che conosca bene i mali della Città
e si batta con energia ogni giorno e, soprattutto, in momenti come questi in
cui le risorse finanziarie del CIS Taranto sono ancora in attesa di essere impegnate
in progetti concreti. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Insomma un
Tarantino di <i>alto profilo</i></span><span style="font-family: "palatino linotype";">
come quel Francesco Trojlo che nei suoi dieci anni di governo municipale evitò
la lottizzazione della Villa Beaumont-Peripato e la "privatizzazione"
del Mar Piccolo. Un Cataldiano il quale non abbia timore di giudicare la sua
Città senza<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>ricorrere a verità di
comodo, e si concentri su settori come le attività produttive legate al mare,
le potenzialità turistiche, le sinergie con il Materano, le condizioni di vita
al quartiere Tamburi, l'arredo e l'igiene urbana, i parcheggi, il riuso delle
aree militari non più necessarie alla Difesa, la valorizzazione del Mar Piccolo.
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Inoltre ci vorrebbero <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>politici combattivi che contrastino,
nell'Amministrazione regionale, le pulsioni egoistiche dei capoluoghi vicini e
spronino il Governatore ad agire<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>in modo <i>super partes</i></span><span style="font-family: "palatino linotype";">
anche <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>nell'interesse di Taranto. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "palatino linotype";">Dove
affiggere dunque il <i>Manifesto</i></span><span style="font-family: "palatino linotype";">
di Nistri ? Escluso per ora il Palazzo Municipale, avendo il Palazzo del
Governo una <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>funzione per così dire
statica, non udendosi più le voci autorevoli del soppresso Dipartimento della
Marina, della trasferita Soprintendenza <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>e del nascosto Liceo Archita ma solo una pluralità di coristi
spesso non coordinati tra loro, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>essendo
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>l'Arcivescovado una sede sì
autorevole ma diversa da quella dei tempi del grande Monsignor Capecelatro, non
resta che pensare alla Dogana del Pesce di Piazza Fontana sopravvisuta con la
pensilina liberty. Luogo magico della Tarentinità <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>che per millenni è stato l'ingresso della Porta Napoli, l'approdo
di pescatori e cozzaruli, il ritrovo di una popolazione operosa e paziente. Lì
è il Mar Piccolo, di lì si vedono le ciminiere dell'ILVA, il triste scafo di
Nave "Vittorio Veneto, i resti desolati dei Cantieri Tosi. Ma lì c'è
ancora la vita pulsante di molluschicolturi e marinai che attendono da decenni il
riscatto della loro condizione di precarietà e subalternità in attesa di essere
nuovamente posti, con regole chiare e moderne da rispettare, al centro della
vita economico-sociale della Comunità. Se lo faremo, quelli tra noi che sono <i>senza
patria </i></span><span style="font-family: "palatino linotype";">cominceranno
a capire cos'è veramente Taranto !<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<!--EndFragment-->
Roberto Nistrihttp://www.blogger.com/profile/17114554653093766281noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6205583283493953364.post-68380310003845615992016-04-03T19:47:00.001+02:002016-04-07T13:34:22.740+02:00Era bello quando c'era Totò! Intervento di Piero Massafra sul Manifesto per Taranto<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; margin-left: 1em; text-align: right;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgshNHPKhPSEzNiaqhICbDP8jweTVXUuFLzIdQzxaqKpSWIdrLpJTSrIn1o2T-jI8bf8WdUF2kI0yf34pQ3puW2KeiuxDWHbg3y8XNOqmweJjFrkGfZob2-S9ZSi_kpC_TcRqDGaV5ttWY/s1600/toto.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="214" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgshNHPKhPSEzNiaqhICbDP8jweTVXUuFLzIdQzxaqKpSWIdrLpJTSrIn1o2T-jI8bf8WdUF2kI0yf34pQ3puW2KeiuxDWHbg3y8XNOqmweJjFrkGfZob2-S9ZSi_kpC_TcRqDGaV5ttWY/s320/toto.jpg" width="320" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Italiani! Inquilini! Coinquilini!</td></tr>
</tbody></table>
<h2 style="text-align: left;">
Era bello quando c'era Totò!</h2>
<h3 style="text-align: left;">
di Piero Massafra</h3>
<i>Intervento di Piero Massafra sul "<a href="http://nistrikos.blogspot.it/2016/04/manifesto-per-taranto.html">Manifesto per Taranto</a>" lanciato da Roberto Nistri su "La Gazzetta del Mezzogiorno"</i><br />
<br />
A Roberto Nistri, e altri.<br />
<br />
Scusate quanto segue, ma c'è il ... salvivico clic! Comunque, era bello quando c'era Totò!<br />
<br />
Condivido tutto di quanto Roberto Nistri p<span class="text_exposed_show">ropone
nelle sue 10 "tesi teologiche" e però credo non ci sia in questa
ridicola città una cattedrale laica su cui affiggerle (Lutero fu
fortunato ad avere intorno gente operativamente ... incazzata). <br /> </span><br />
<span class="text_exposed_show">Devo citare, per dar forza e merito al suo intervento, un recente
documento ovviamente ormai obliatissimo appena dopo tre anni, benché
approvato e forse anche adottato dal supremo sinedrio cittadino.
Trattasi del bel dossier stilato "costi a carico" da un aperto manipolo
di cittadini che per far candidabile la citta a capitale europea della
cultura... bla bla bla, mise insieme cose in cui le proposte di Nistri
sono ampiamente rappresentate e che in altro pianeta avrebbero
mobilitato le più consolidate sagome di cemento armato.</span><br />
<span class="text_exposed_show"><br /> Ma si va avanti così. Le cose ormai precipitano, parlando con fermo ottimismo! <br />
Fino a qualche tempo fa eravamo solo imbelli, poi si è passati
all'invenzione pallonara e carnascialesca, ora è la fase di "Taranto,
togli tu che tolgo io", tanto "e che mi chiamo Pasquale io...".<br />
Allora, perché - mi rimproverava un amico - insudare sino alla tosse per
la questione sovrintendenza? E perché (mi chiedo io) la "classe
dirigente" continua a non chiedere ragione a quanti, consapevoli e
informati, nulla hanno fatto perché cessino le diverse misteriose
sparizioni di succulente porzioni di Taranto? Forse dilaga una
inarrestabile infezione che rende tutto banale e secondario, tranne (ma
solo momentaneamente) "madonna" ILVA , dai fumi all'euro conditi! </span><br />
<div class="text_exposed_show">
<br />
Ma torniamo al perché dell'insudare per la Sovrintendenza. Per quanto
mi riguarda, lo faccio per la "storia", ma attenzione non c'entrano i
soliti Greci, Romani e papuasici; sì, per la storia, l'ultima che m'è
rimasta e credo poi sia l'unica storia palpabile e ammonitrice; lo
faccio per loro, per i morti miei, indecorosamente sepolti dove
giacciono. <br />
Si tratta di un residuo, molto residuale, conato di amor
civico indirizzato a "confortare", come dicevo, quei poveri baluba dei
nostri antenati che (da fine '800) approdati forse da pochi giorni in
riva dei due mari, sentirono di doversi "integrare", ma all'altezza.
Qualcuno andava "strologando" che dove stavano erigendo le loro piccole
case e i loro iniziali miseri opifici, un tempo era fiorita, solare e
distesa, una grande-colossale città della grande storia. E nello
squallore (la fotografia documenta senza pietà!) del nostro primo
novecento sudista, vollero proteggere i discendenti e pensarono (pensa
un po') che l'unico asse prestigioso, l'unico cardine non corroso,
l'unico sistema per fare di Taranto una cosa decente e "internazionale"
fosse da rintracciare nella memoria della classicità e, pur in una
città di semiplebe, tra pecore vaganti, capre, capanne, straccioni,
mendicanti e denutriti fantasmi residenti nel centro storico, ebbero il
coraggio di volere un LICEO, un MUSEO e una SOVRINTENDENZA, convinti
anche che l'idea di un'Italia davvero unita, potesse prevedere che il
Sud, e persino Taranto città "cagionevole", fosse abilitata a meritare
un istitiuto culturale di grande prestigio, anche internazionale. <br />
<br />
Noi, ormai senza capre per strada, ma per questo non meno caproni,
ufficialmente savi e colti come siamo, liquidiamo per manco di denaro
l'università. I nostri eletti poi (quasi tutti) non si degnano, non dico
di impedire, ma almeno di informare i propri sudditi - "votatori" delle
future programmate sparizioni di quanto nei secoli si è costruito.
Penseranno forse non si tratti di pensate e amate costruzioni, ma di
cumuli e cataste di chiacchiere e scartoffie di un inutile passato. <br />
<br />
Com'era bello quando era possibile almeno sbottare "adda venì Baffone",
o citare Totò, sempre pronto a "buttarsi a sinistra", ma saggiamente
"qualunquista".</div>
</div>
Gianluca Lovregliohttp://www.blogger.com/profile/06546469526349421307noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6205583283493953364.post-57555153662833958912016-04-03T18:03:00.000+02:002016-04-03T20:04:18.229+02:00Manifesto per Taranto.<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhXtJ-_gzcRQXf-4DB-WbVyT66K-x0KTlsPATaA-nx5WVWHrzmqN-SGUQj93n_faFmx7HZP9Xa0uaVDHzA0tHPcT90m9FljeGEwfxzI9aG1sKllfJXxDjEmjTa33MaWTXgF-OykeOs6qN0/s1600/Taranto+dall%2527alto.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhXtJ-_gzcRQXf-4DB-WbVyT66K-x0KTlsPATaA-nx5WVWHrzmqN-SGUQj93n_faFmx7HZP9Xa0uaVDHzA0tHPcT90m9FljeGEwfxzI9aG1sKllfJXxDjEmjTa33MaWTXgF-OykeOs6qN0/s1600/Taranto+dall%2527alto.jpg" /></a></div>
<h2 style="text-align: left;">
Manifesto per Taranto. Il decalogo è questo</h2>
<h3 style="text-align: left;">
di Roberto Nistri</h3>
<div style="text-align: left;">
<i>pubblicato in “La Gazzetta del Mezzogiorno” di domenica 27 marzo 2016</i><br /><br /><b>Manifesto per Taranto.</b><br /><br />1) Il futuro di Taranto affonda le sue radici nel passato: la Città deve trarre la sua linfa dal mare; le attività di pescatori, mitilicoltori, operatori marittimi e portuali vanno valorizzate e protette dall'incuria e dall'ignavia di chi ha interesse a trascurarle ed ostacolarle.<br /><br />2) Il <b>Mar Piccolo</b> è un bene comune di grande rilievo storico, paesaggistico e biologico senza il quale Taranto non sarebbe quella che era e può ancora essere. Cozze ed ostriche devono nuovamente diventare un'eccellenza produttiva tutelata da marchio DOP. A questo fine va considerato che la bonifica dei due Seni è senz'altro non più rinviabile, ma prima bisogna valutare gli effetti negativi sull'ecosistema derivanti dalla rimozione degli strati superficiali dei fondali. Essenziale è invece individuare e neutralizzare le fonti costiere inquinanti ancora attive di tipo industriale, militare e fognario. Marina militare ed Aeronautica militare dovrebbero inoltre favorire uno sviluppo degli usi civili del bacino. Le rive del Mar Piccolo vanno inoltre protette dal degrado e liberate da strutture abusive; nel quartiere Tamburi deve essere realizzato il progettato lungomare adiacente via Galeso.<br /><br />3) La <b>Marina militare</b> è ancora al centro della vita della Città che con essa ha un rapporto cementato da una storia comune. In una prospettiva moderna delle relazioni con il territorio non più legata a logiche ottocentesche, la Marina militare deve tuttavia cedere alla Città, oltre alla Banchina Torpediniere, aree e manufatti non più utili ad esigenze militari e non suscettibili di privatizzazione. In particolare l'Arsenale deve aprirsi alla cittadinanza destinando una propria struttura a sala comunale per concerti, spettacoli e conferenze e consentendo la vista del Mar Piccolo attraverso appositi varchi del Muraglione.<br /><br />4) La <b>grande industria</b> siderurgica, che riveste un fondamentale ruolo economico a livello nazionale e locale, deve confrontarsi in modo aperto con i problemi ambientali eliminando i guasti prodotti da scelte miopi o quantomeno colpose, e garantendo che la salute della popolazione non subisca ulteriori danni. Le ciminiere devono scomparire dal panorama del Mar Piccolo, i parchi minerali vanno interrati, il <b>Quartiere Tamburi</b> va rapidamente riqualificato dopo anni di vacue promesse e progetti, l'assenza di rischi sanitari va monitorata giorno per giorno con protocolli certificati e trasparenti.<br /><br />5) Nulla giustifica l'incuria in cui continua ad essere tenuta la <b>Città Vecchia</b> in attesa di una fantomatica «rigenerazione urbana». Ma intanto si deve cominciare dalle piccole cose, emanando un regolamento edilizio sulle caratteristiche delle facciate degli edifici, riposizionando il basolato in via Duomo, eliminando ponteggi e puntelli arrugginiti se non più necessari, abbattendo gli edifici pericolanti privi di pregio architettonico, rinnovando la segnaletica in modo da ridare la perduta identità a vicoli, postierle e piazzette, favorendo con canoni agevolati il riuso di botteghe ed abitazioni. Gli immobili che si affacciano su via Garibaldi vanno restaurati e riportati alle loro caratteristiche originarie.<br /><br />6) La continua emorragia di attività commerciali del <b>Borgo</b> è frutto, oltre che della crisi, di una colpevole politica di creazione di centri commerciali: tale tendenza va bloccata vivificando il Borgo dal punto di vista delle attività sociali, dell'arredo urbano e dell'istituzione di nuovi parcheggi. Da questo punto di vista non è più tollerabile né l'assurda inerzia nel restauro del Palazzo degli Uffici, né l'incomprensibile abbandono del progetto di costruzione di un Teatro Comunale nell'ex Cinema Fusco. Positiva appare invece la scelta di reinsediare gli Uffici comunali nell'ex Mercato Coperto, anche se va considerato che ciò ha comportato di fatto la rinuncia a riportare alla luce parti dell'Anfiteatro Romano esistente nel sottosuolo.<br /><br />7) L'archeologia tarantina ha ancora molto da dire e dare alla Città. Quando finalmente il <b>MarTa</b> sarà nuovamente operativo, bisognerà allargare l'area espositiva utilizzando nuovi edifici (quali l'ex Convento S. Antonio o un'ala del restaurando Palazzo degli Uffici) per esporre le collezioni confinate nei depositi e per illustrare in modo multimediale l'assetto urbano della Città Magnogreca e Romana ed in particolare quello delle tombe a camera non visitabili e della struttura delle mura arcaiche. Di fatto l'obiettivo dovrà essere quello di dar vita ad un Grande MarTa.<br /><br />8) Il <b>Castello Aragonese</b> rappresenta un modello di positiva interazione tra Città e Marina Militare. Esso può però diventare anche un contenitore per collezioni di reperti medievali. In esso potrebbe anche trovare finalmente posto la nave romana che, dopo il recupero degli anni Sessanta, giace in un torrione del Castello. Lo stesso modello potrebbe essere adottato per creare un museo della marittimità tarentina in alcune officine dismesse dell'Arsenale militare.<br /><br />9) Il Regno delle Due Sicilie ha cessato di esistere nel 1860 assieme alle sue Intendenze di Bari, Terra d'Otranto e Capitanata. La Regione Puglia dovrebbe quindi essere ora un'entità che assicuri un'equilibrata governance di tutta la Regione, Taranto compresa. Non è perciò accettabile che Lecce e Bari cerchino di diventare di nuovo sedi di antistoriche Intendenze Borboniche che accentrino uffici e competenze a danno di Taranto in settori come l'<b>archeologia </b>ed il <b>porto</b>.<br /><br />10) Taranto, quale capoluogo della Provincia dello Jonio, deve dialogare con il suo <b>entroterra </b>ove si concentrano eccellenze umane, produttive, agricole e culturali, sempre più emergenti sulla scena tarentina. La Città deve però guardare anche ad occidente verso Matera, il Metapontino e la Calabria Jonica riscoprendo legami antichi e comunanza di interessi attuali.<br /></div>
</div>
Gianluca Lovregliohttp://www.blogger.com/profile/06546469526349421307noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6205583283493953364.post-74010628610523931842016-03-18T20:47:00.000+01:002016-03-18T20:47:04.359+01:00«Taranto rinasce con i provinciali» Nistri: il mancato rapporto fra città e hinterland è stato la grande occasione perduta<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
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<h2 class="MsoNormal" style="text-align: left;">
«Taranto rinasce con i provinciali»</h2>
<h3 class="MsoNormal" style="text-align: left;">
Nistri: il mancato rapporto fra città e hinterland è stato
la grande occasione perduta</h3>
<div class="MsoNormal">
<i>Articolo pubblicato in: La Gazzetta del Mezzogiorno di Lunedì 18 gennaio 2016, p. VI</i></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
di Fulvio Colucci</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
«L’idea del libro mi è venuta ricordando l’anziano contadino
della provincia che mi chiedeva sempre: “<i>e tu, a ci appartieni?</i>”. Lo storico
Roberto Nistri ama ironizzare con graffiante leggerezza sugli episodi della
storia, grandi o piccoli che siano. Così, rievocando il passato, trovano spazio
le uova di Martina Franca «arrivavano freschissime » e mille altri aneddoti di quella
galassia, finora poco esplorata dal punto di vista storiografico, delle
relazioni (mancate) fra la città e il suo hinterland. «Una incerta appartenenza
» è il titolo dell’ultimo libro dell’intellettuale tarantino edito da Scorpione
(10 euro). «Analizzo un periodo importante: dal 1860 al 1914, con un occhio
particolare alla Belle Époque. Nei suoi ultimi lavori la Taranto del passato
diventava occasione per riflettere sul futuro, in particolare rispetto alla
vicenda siderurgica. Le pagine di “Una incerta appartenenza” rappresentano,
invece, una cesura con quel filone narrativo. «Ho chiuso con la dimensione tarantino-siderurgica.
Ho travasato a sufficienza due mari in un bicchiere. Ritenevo inutile accanirsi
sul “paziente”. Mancava, invece, la dimensione del racconto storico sulle relazioni
fra la città e la provincia. Un grande punto di debolezza per Taranto, una grande
occasione perduta».</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<b>Perché?</b></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
«Quando si dice: occorrono alternative alla siderurgia si dimentica
che esistevano ben prima della nascita delle acciaierie. A Taranto e in
provincia. Penso all’agricoltura e al commercio. Al porto mercantile. Nel libro
analizzo storicamente la situazione al momento dell’arrivo della Marina Militare,
quando tutto cambia. S’impone l’industria pesante e la politica si adatta, chinando
la testa. Penso alle figure dei sindaci dell’epoca, ridottesi a gestire
finanziamenti a pioggia arrivati dallo Stato, grazie ai buoni uffici del sottosegretario
alla Guerra Federico Di Palma. Avrebbero potuto, invece, tessere relazioni con
i Comuni vicini: Martina Franca, Manduria, Massafra erano realtà economicamente
vivaci. La mancanza di rapporti ha nuociuto di più alla città».</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<b>In che modo?</b></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
«Perché i Comuni della provincia hanno continuato a fare da
soli mantenendo la propria vivacità. Taranto si è intorpidita nelle sorti
progressive della Marina e poi dell’acciaio. E ha fatto propria quella visione
di cui parlava Enrico Presutti, il funzionario tecnico del governo Giolitti che
due secoli fa stese una specie di “planimetria economica” del territorio.
Presutti scriveva, guardando alle trattative tra proprietari terrieri e rappresentanti
sindacali dei braccianti: “I padroni non considerano i contadini uomini come
loro”. Ecco, questo concetto può estendersi alla borghesia tarantina, borghesia
del mattone, i palazzinari che fuori dal circuito degli espropri terrieri e
della cementificazione, non hanno saputo elaborare un’idea di città. Essi non
vedevano solo il proletariato e il sottoproletariato cittadino fuori dalla
sfera “umana”, ma anche gli abitanti della provincia. Quest’errore pesa sulle
spalle di Taranto in modo decisivo».</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<b>Che intende col termine provincia vivace?</b></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
«Oggi se provi a portare il nome di un intellettuale come Cacciari
o di un architetto come Renzo Piano a Taranto rischi di non vedere nessuno all’incontro.
Diversamente, in provincia, il fermento culturale è palpabile e se porti un nome
importante troverai le sale piene. Sembrano dettagli, ma non lo sono. Aggiungo
che “Una incerta appartenenza” scandaglia la storia dei Comuni del Tarantino
rilevando la presenza di fatti e personaggi importanti, per esempio nella
storia del movimento socialista, tra gli anarchici. Se la città e i centri
minori avessero avuto una coscienza dell’identità e del destino comune, la
storia sarebbe andata diversamente e Taranto non avrebbe vissuto quel torpore secolare
cui facevo cenno».</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<b>Ma è possibile riconnettere le identità?</b></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
«Io provo a sfidare dal punto di vista culturale la mia
città in questo senso. Per me è possibile far nascere una “quarta Taranto”
integrando, finalmente, la comunità tarantina e l’hinterland. Però attenzione:
il mio è un discorso di principio. Non ho un piano operativo. Il libro rappresenta
un contributo culturale e spero ne seguano altri, sempre nell’ottica degli studi
storici. Certo non possiamo insistere con la storia della Città vecchia».</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<b>Ma come? L’Isola è vista da tutti come il futuro.</b></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
«Dall’Isola si può tirar fuori poco, facciamocene una
ragione. Ammesso poi che arrivino risorse consistenti. La sua fragilità, a
partire dal tessuto urbano, è evidente. Come la tela di Penelope, la Città vecchia
un giorno si fa e l’altro si disfa. Mancano le idee e non si può piroettare
funambolicamente sul filo teso fra Sparta e Matera».</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<b>Torna ad essere duro con chi propone lo sviluppo alternativo?</b></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
«No io parlo sulla base della storia e dei dati di fatto.
Una “quarta Taranto” potrebbe nascere da un nuovo intreccio fra città e
provincia, insisto a dirlo. Una specie di trasfusione di sangue dall’hinterland
per troppi anni penalizzato dalla città e dalla divorante monocultura, prima militar-industriale
e poi siderurgica. Io mi auguro che, saltando l’impianto delle Province, gli
attuali amministratori dei Comuni, a partire dal sindaco di Taranto, possano riflettere
su un rinnovato contesto di rapporti fra le città: vocazioni artistiche come quelle
di Massafra, Manduria, Grottaglie o Martina Franca non vanno sottovalutate.
Travasando le energie provinciali è possibile rigenerare la città. Del resto
sono proprio gli abitanti dei Comuni più piccoli che hanno fatto grandi le
città. Penso a Milano, per esempio, che si dice sia stata costruita dai
bergamaschi».</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<b>È stato faticoso scrivere «una incerta appartenenza»?</b></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
«È stata una operazione difficile, certo. Ho provato a
tracciare una mappa ma era impossibile ricostruirla del tutto. Prima accennavo
alla speranza di altri studi storici che seguano questo solco appena tracciato.
Per trovare altre carte a Taranto e negli altri Comuni, ricostruire il passato,
rendere giustizia alla memoria storica e guardare al futuro con una
possibilità». </div>
</div>
Gianluca Lovregliohttp://www.blogger.com/profile/06546469526349421307noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6205583283493953364.post-74892604686828976952016-03-17T20:30:00.002+01:002016-03-17T20:30:46.059+01:00Nostalgia di noi, i soggetti<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<h2 style="text-align: left;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEin9d5kZXrsgPl9Bb0bsHknv60ZFcI7s7EZcoMPeeUbAsw2TB8Uf6VlrreGjKy3RA2P-HbClR0OkavEEowLcnxGs-6NGjGJSvGVZcomqFCcb_AdkYTn0_ZrNQA4ESUrVyX75t7Us83sQBY/s1600/Heidegger3.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEin9d5kZXrsgPl9Bb0bsHknv60ZFcI7s7EZcoMPeeUbAsw2TB8Uf6VlrreGjKy3RA2P-HbClR0OkavEEowLcnxGs-6NGjGJSvGVZcomqFCcb_AdkYTn0_ZrNQA4ESUrVyX75t7Us83sQBY/s1600/Heidegger3.jpg" /></a></div>
Nostalgia di noi, i soggetti </h2>
di Roberto Nistri<br />
Nuova edizione. Febbraio 2016 <br />
<br />
<br /> <i>© Roberto Nistri 2016. Tutti i diritti sono riservati.</i><br /><br /> Il 26 gennaio 2016, in occasione della “Giornata della Memoria”, organizzata dal Liceo “Archita”, abbiamo presenziato ad un impegnativo dibattito su una tematica ardua e scabrosa, concernente le responsabilità del filosofo tedesco Heidegger, di fronte alla tragedia del nazismo e della Shoà. L’iniziativa è stata molto partecipata, con qualificati interventi letterari e musicali. Benedetto Croce giudicava Heidegger indecente e servile, ma il filosofo Francesco Alfieri, scrupoloso esegeta del corpus heideggeriano, ha offerto ben altra interpretazione. Il punto cruciale riguardava i cosiddetti “quaderni neri”, di recente pubblicati per esteso , che a detta di molti studiosi, chiariscono definitivamente la fisionomia di un tedesco decisamente nazista e certamente antisemita: una adesione profonda e non opportunistica al Fuhrer Prinzip? Si è aperta una seria discussione. Il professore Alfieri ha messo in campo tutta la sua sapienza filologica per liberare Heidegger da fraintendimenti più o meno maleintenzionati. Il dibattito si è prolungato a lungo con giovani studenti che, in barba al disfattismo governativo, sono ancora avidi di umanesimo e filosofia. <br /><br /> Come dirigente della “Associazione Nazionale Partigiani”, lo scrivente esprime le sue perplessità nei riguardi di una fluviale difesa d’ufficio del filosofo contestato, le cui responsabilità nel dopoguerra venivano riduttivamente applicate alla figura del “simpatizzante”. Troppo poco per un grande accademico, convinto di essere lui il vero Fuhrer. A lungo i colleghi avevano scherzato sul suo “viaggio a Siracusa”, in riferimento al viaggio di Platone, speranzoso di governare filosoficamente il Tiranno. Analoga speranza avrebbe coltivato Gentile nei confronti di Mussolini. <br /><br /> Certo è che Heidegger non ha mai manifestato dubbi: è rimasto un acerrimo nemico della libertà e della democrazia, un nazista convinto, con appesa al petto una decorazione con la croce uncinata, un antisemita di qualità: gli ebrei si sarebbero autodistrutti in quanto “vessilliferi del paradigma calcolatorio!” Una originale rievocazione del “complotto giudaico”. <br /><br /> Il filosofo si sarebbe anche preoccupato di cancellare dal suo <i>opus magnum</i> la dedica al suo maestro ebreo Husserl, non partecipando neanche al suo funerale. <br /><br /> <b>Crimini di pensiero</b> <br /><br /> Nel corso della giornata, solo l’assessore Liviano ha espresso poche ed acconce parole nei riguardi della Vittima Assente. Se nel pubblico fosse stato presente un discendente di un lontano perseguitato travolto dal vortice infame, avrebbe avvertito la propria estraneità in un tempo ormai senza memoria e senza testimoni. La filosofia più che mai deve ancora misurarsi con lo sterminio. <br /><br /> Per quanto ci riguarda, negli anni Sessanta ci siamo fatti i nostri quindici minuti di passioncella per il mago di Messkirch, con il suo “esserci”, il <i> Dasein</i> e l’<i>in der welt sein</i>, lasciando poi senza rimpianti la Selva Nera per accasarci nella più felice Rive Gauche. Il partigiano Pietro Chiodi ci aveva presentato un esistenzialista ateo, mentre il piccolo sciamano era legato ad una vecchia teologia negativa, un neoplatonismo appetibile per uno spiritualismo cristiano sempre in lotta contro la razionalizzazione scientifica e il “disincantamento del mondo” (Weber). L’incantatore nemico della matematica, aveva dichiarato: “ io sono un teologo cristiano!”. Coltivava un pensiero misticheggiante, costellato di promesse abissali con il supporto di fantasie occultiste : un dinamico pusher, spacciatore di principi barbarici e di eccitazioni accademiche, come la “risveglianza dell’Esserci tedesco alla sua grandezza”. Uno scalpellare il nulla, moltiplicando le iperboli con linguaggio doppio, sentenzioso e allusivo. Una parrocchiale custodia del Graal , tutta permeata dal Fuhrer Prinzip , una zuppa d’orzo come quella propinata da Frau Elfride, della quale il filosofo era ghiotto . Karl Lovith, il correttore delle bozze di Essere e tempo, doveva diventare il suo critico più implacabile: occorreva rompere l’incantesimo di una sterile imitazione da parte di una massa di adepti sovraeccitati. Secondo Thomas Bernard, il Guru è stato capace di mettere nel sacco una intera generazione di studiosi, propinando una broda esoterica che ha annegato nel Kitsch la filosofia. Aggiungiamo anche le scopiazzature dal libro dell’ultrarazzista italiano Julius Evola, La rivolta contro il mondo moderno. Decisiva l’opposizione dell’anti Heidegger: il filosofo ebreo Robert Nozick. <br /><br /> Chi oggi sarebbe disposto a seguire i “Pastori dell’Essere” e l’antropologia della “Radura”, misurandosi non con il nulla ma con il vuoto, con tutta la sua forza di risucchio? Franco Volpi, lo studioso italiano che più si è avvicinato a Heidegger, ha considerato ormai irricevibile il suo lascito: sperimentazioni linguistiche che implodono in funambolismi e infine in vaniloqui. Volpi ci esorta a rimetterci in cammino non su presunti “ Sentieri dell’essere”, ma sul Sapere Aude dell’illuminismo radicale.</div>
Gianluca Lovregliohttp://www.blogger.com/profile/06546469526349421307noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6205583283493953364.post-36875017916276649032016-01-06T21:49:00.002+01:002016-01-06T21:49:30.050+01:00Presentazione del libro Una incerta appartenenza di Roberto Nistri<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi0okSjqkAebMZuBHNfVbmM6rqp3NI2Eqbmd9r0BKEccn94VdpP9FNz6Bvli08o7_1ALXPCyHBkbEN8Y_OIj1l3onXqV9Xyl5Enc-BI95S3rtRkYzmnhcrTAA6u9QRv2KNnpCANqDG4kX8/s1600/LOCANDINA+NISTRI+%255B1280x768%255D.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi0okSjqkAebMZuBHNfVbmM6rqp3NI2Eqbmd9r0BKEccn94VdpP9FNz6Bvli08o7_1ALXPCyHBkbEN8Y_OIj1l3onXqV9Xyl5Enc-BI95S3rtRkYzmnhcrTAA6u9QRv2KNnpCANqDG4kX8/s640/LOCANDINA+NISTRI+%255B1280x768%255D.jpg" width="451" /></a></div>
<br /></div>
Gianluca Lovregliohttp://www.blogger.com/profile/06546469526349421307noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6205583283493953364.post-48350005516941953912015-11-13T07:37:00.000+01:002015-11-13T07:37:15.689+01:00Quando ricordare la guerra non è vuota retorica<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
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<h2 class="MsoNormal">
Quando ricordare la guerra non è vuota retorica</h2>
<br />
<h2 style="text-align: left;">
</h2>
<div style="text-align: left;">
</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
di Roberto Nistri</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
in: La Gazzetta del Mezzogiorno di <span style="mso-spacerun: yes;"></span>venerdì 23 ottobre 2015</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
La giornata di studi del <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>4 ottobre, promossa dalla benemerita
Associazione degli «Amici dei Musei», curata nei dettagli dalla presidente
Annapaola Petrone Albanese, ha supplito
egregiamente alla latitanza delle istituzioni municipali. Per una volta, la
città di Taranto ha onorato seriamente il sacrificio di tanti concittadini che
hanno consumatole loro vite in quel conflitto che non si è mai esaurito e che,
a tutt’oggi, ci rende ancora eredi e sudditi della pestilenza bellica, che
continua ad ingrassare e onorare i mercanti di cannoni e i produttori su larga
scala di sua maestà, il filo spinato.</div>
<div class="MsoNormal">
Quel feticcio supremo della guerra
infinita, il simbolo par excellence della reclusione universale, che moltiplica
muri e trincee nella generale omologazione fra carcerati e carcerieri. La
memoria storica della sciagurata deflagrazione, causata da un sabotaggio, della
corazzata «Leonardo da Vinci» nel Mar Piccolo di Taranto nella notte del <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>2 agosto 1916 doveva comportare la morte di
227 membri dell’equipaggio e 21 ufficiali.</div>
<div class="MsoNormal">
Senza le paccottiglie retoriche che
nel passato hanno ammorbato la locale memorialistica cittadina, relatori
esperti come l’ammiraglio Ermenegildo Ugazzi, Comandante Marina Sud, e gli
ammiragli Fabio Caffio e Fabio Ricciardelli della Fondazione Michelagnoli,
hanno presentato una ricostruzione accurata ma non pedante di quella tragica
vicenda. Questo in virtù anche di un affascinante documentario d’epoca: Morte e
resurrezione di una nave. Appassionante anche la relazione dell’architetto
Augusto Resta sulla pregevole operazione di restauro del busto di Leonardo da
Vinci, posizionato nella Villa Peripato a ricordo del tragico evento.</div>
<div class="MsoNormal">
Nel
passato non sono mancate al riguardo le corbellerie toponomastiche. Sul finire
degli anni ’50, in una rassegna del Comune di Taranto, non mancavano topiche
gustose. Per esempio, a cercare informazioni sul perché di una «rampa Leonardo
da Vinci», si incappava in una strana minibiografia dell’illustre personaggio:
«Perfezionò le conche, iniziò lo sparo (sic!) dei mortai grandinifughi, costruì
molti canali lombardi, studiò il volo degli uccelli in relazione all’aviazione (?)
e fondò la dottrina (!) del moto ondoso».</div>
<div class="MsoNormal">
Messo a posto l’ingegnere Leonardo, la
giornata di studi si concludeva con grande soddisfazione dei presenti per il
risanamento del busto rivolto a Mar Piccolo, pur rimanendo come sempre perplessi
di fronte alla enigmatica epigrafe posta a suo tempo dal magniloquente
Criscuolo: <i style="mso-bidi-font-style: normal;">La codardia nemica distrusse
la nave il valore l’italico impero</i>. Tre complementi oggetto distrutti dalla
codardia nemica.</div>
</div>
Gianluca Lovregliohttp://www.blogger.com/profile/06546469526349421307noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6205583283493953364.post-79128073316974029352015-11-13T07:22:00.000+01:002015-11-13T07:22:20.316+01:00Le due città e una tarantola<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
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<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; margin-left: 1em; text-align: right;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhA84gPkWToD6pr5uyeouNkaUdxOLeFAEGYfPB-4axq9iTlH4CAiG5DUMyHlFFx_NKPAhd_jrqLk37iDciLxNobdR5Ok33aOedvYl299wJoiDHwuFfFVXgAkeyXOPxRQF5hF9R9yibhM8I/s1600/16_image.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhA84gPkWToD6pr5uyeouNkaUdxOLeFAEGYfPB-4axq9iTlH4CAiG5DUMyHlFFx_NKPAhd_jrqLk37iDciLxNobdR5Ok33aOedvYl299wJoiDHwuFfFVXgAkeyXOPxRQF5hF9R9yibhM8I/s320/16_image.jpg" width="320" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><br /></td></tr>
</tbody></table>
</div>
<h2 class="MsoNormal">
Le due città e una tarantola</h2>
<br />
<h2 style="text-align: left;">
</h2>
<div style="text-align: left;">
</div>
<div class="MsoNormal">
<span style="mso-spacerun: yes;"></span>di
Roberto Nistri</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<i>© Roberto Nistri 2015. Tutti i diritti sono riservati.</i></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Mi trovavo a
frequentare<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>per la prima volta la città
di Lecce verso la metà degli anni ’60, ospitato da Adolfo Buja,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>ex compagno di banco al liceo “Archita”<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>di Taranto, che si era trasferito in terra
salentina .<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>In quel tempo entrava in
funzione il primo altoforno dell’Italsider,<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>ma questo<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>non<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>angustiava minimamente quella <i style="mso-bidi-font-style: normal;">my generation</i> che, per ultima, aveva
avuto il privilegio di vedere il cielo di Taranto non trafitto dalle ciminiere.
Nessuno avrebbe mai potuto sospettare che, nell’anno di disgrazia 2013,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>il Comune di Lecce dovesse manifestare serie
preoccupazioni per i fumi tossici provenienti da Taranto. Il soggiorno leccese
doveva risultare molto istruttivo per lo scrivente: Rino Buja,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>grande erudito locale, mi illustrava fatti e
misfatti della città, senza fare alcun cenno al tarantismo e alle sue
ritualità. Avrei in seguito compreso che, in quel periodo, la musica
tarantolata non godeva di particolare fortuna nella cultura borghese cittadina.
Non per questo la tradizione si era esaurita. Una vivace testimonianza del
tarantismo nel decennio precedente veniva offerta dall’erudito Giovanni
Antonucci in una lettera al tarantino Cosimo Acquaviva il 26 novembre 1950: “Io
ebbi uno zio dalla vita alquanto irrequieta, tutto preso da velleità di canto e
di essere un violinista. Quando qualche <i style="mso-bidi-font-style: normal;">tarantolare
</i>era colta dalla frenesia del ballo, lo si chiamava perché mettesse in
pratica le sue doti musicali: io bambino di 7 od 8 anni correvo cogli altri a
vedere la scena che svolgevano in qualche casa a piano terreno e colle porte
aperte” (1).</div>
<div class="MsoNormal">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>A dire il vero la<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Città<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>Barocca , considerata arretrata e sonnolenta, era abbastanza snobbata
dai tarantini, che in quella fase stavano vivendo l’ebbrezza della grande
mutazione industriale. Anche lo scrivente , dopo aver frequentato qualche salotto
<i style="mso-bidi-font-style: normal;">old fashion </i>e fascistino<i style="mso-bidi-font-style: normal;">,</i> in cui era tabuizzato l’argomento Jo
Staiano (il primo trans che si era fatto onore nel felliniano <i style="mso-bidi-font-style: normal;">La dolce</i> <i style="mso-bidi-font-style: normal;">vita</i>)<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>pensò bene di
ritornare di corsa fra i due mari, con tutto l’affetto e la simpatia per la
“Bella addormentata”.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Sembrava una città
in bilico fra magia e deserto che sarebbe piaciuta al <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><i style="mso-bidi-font-style: normal;">flaneur</i>
Roger Caillois, il cercatore dei “demoni meridiani” della tradizione
folclorica, che nella sua Guida Blu aveva rievocato anomalie e sregolatezze,
come vetrine che esponevano pipistrelli-vampiro appesi a testa in giù, “simili
da lontano a ombrelli di seta neri riposti in buon ordine”. </div>
<div class="MsoNormal">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Si
ritornava<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>a frequentare Lecce nei
paraggi del ’68, quando vi erano abboccamenti fra i combattivi universitari
baresi e tarantini e gli ammuinati studenti leccesi che, quanto a
contestazione, stavano un po’ scarsi. Eppure proprio in quel contesto avevamo
la fortuna di conoscere fugacemente la Rina Durante che, come ha scritto Ilaria
Marinaci,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>era riuscita a vedere prima
degli altri il Salento del futuro , fondando il canzoniere Grecanico Salentino
, contribuendo alla riscoperta del griko e analizzando fenomeni identitari come
il tarantismo. Accanita masticatrice di tabacco, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>avrebbe
scritto anche uno splendido racconto Intitolato<span style="mso-spacerun: yes;">
</span><i style="mso-bidi-font-style: normal;">La Luce</i>, sulla acciaieria di
Taranto (Manni, 1996). Alessandro Leogrande ha tracciato un bellissimo profilo
di Rina Durante, proprio a partire dall’esperienza del ’68 e dintorni: <i style="mso-bidi-font-style: normal;">La liana arborea e la fine dell’utopia</i>,
in “Galaesus”, Taranto, 2014. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>“Vado
cercando musiche e musicanti per le terre dei padri…nel paese dell’Eco che mi
hanno detto risuonare di suoni”, canti notturni di suonatori erranti, fra
risentimento e sfinimento …</div>
<div class="MsoNormal">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Protagonista
autorevole di quella stagione di “radiose utopie”, per tirare su i<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>ragazzi che,<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>a partire dalle facoltà occupate, non trovavano una fabbrichetta ove
distribuire qualche volantino, la Durante faceva una mossa geniale simile a
quella di Galilei, quando puntava verso le stelle quel cannocchiale che tutti
consideravano solo un oggetto di trastullo. La <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>signora Rina ebbe la bella pensata di far
entrare nell’Università alcuni suonatori di musica di tradizione, che all’epoca
rimediavano qualcosina fra matrimoni e compleanni:<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>nell’Ateneo doveva fare furore il Toto di
Calimera. La mossa galileiana della Durante era<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>straordinaria: si apriva una storia e peccato che, nella anticopernicana
Taranto di ieri e di oggi, nessuna testa pensante sia stata capace di una
simile genialata.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Le due città
continuavano ad avere storie divaricate,<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>ma era Lecce che iniziava ad incrementare passo dopo passo il proprio <i style="mso-bidi-font-style: normal;">sex appeal</i>.</div>
<div class="MsoNormal">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Intanto nel
1971, avendo a lungo frequentato la casa di Alfredo Maiorano, avevamo avuto
modo di apprezzare in anteprima la ricchezza del suo repertorio etnografico,
potendo<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>anche<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>seguire la sapiente cura esercitata da
Antonio Rizzo e Alberto Cirese, nell’allestimento della grande mostra sulle
tradizioni popolari,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>che doveva
costituire un vero primato nell’Italia meridionale. Sulle tristi vicissitudini
del costituendo Museo, la storia è nota. L’infelice gestione, da parte degli
amministratori, della donazione di don Alfredo, era già un segnale
inequivocabile dell’inarrestabile declino di una cultura cittadina ormai slegata
dalla propria storia.</div>
<div class="MsoNormal">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Nel 1984 usciva
il film di Giuseppe Schito, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Il ragazzo di Ebalus</i> (1984): si
raccontava di un giovane terrorista in crisi che, in fuga da Milano, cercava
l’aiuto dei compagni dell’Italsider di Taranto. Braccato sia dai poliziotti che
dai brigatisti, veniva ospitato da un vecchio contadino, reincarnazione di
quell’agricoltore di Corico (l’attore Cucciolla) <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>che, incontrando Virgilio sotto le torri della
rocca di Ebalo, lo introduceva alla magia del mondo contadino, volta a
sconfiggere la cultura della violenza. Casualmente proprio in quel periodo
seguivamo a Taranto il processo alla colonna tarantina di “Prima Linea”,
scrivendone qualcosa in <i style="mso-bidi-font-style: normal;">A sud del
Sessantotto</i>. Erano gli anni di una svolta epocale, traumatica. Le cose
stavano cambiando. Con l’esaurirsi della Vertenza Taranto, la città e la grande
fabbrica correvano ormai, senza alcuna consapevolezza,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>nel tunnel del declino. Qualcuno armeggiava
attorno a serrature che chiudevano male sull’infinito (Aragon).<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>I più morivano per attacchi di scetticismo.
Invece la barocca “città del sonno” veniva risvegliata dal “folk revival”
salentino e poi baciata dal più che principe Edoardo Winspeare . <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Le
raccoglitrici di tabacco salentine, rimaste inceppate negli ingranaggi di una
mobilità sociale negata, non danzano più cercando di schiacciare con il piede
quel ragno immaginario che era il simbolo del loro mal di vivere. Nuove
generazioni hanno fatto della taranta un emblema identitario trasversale. Da
zavorra del passato a risorsa per il futuro, da relitto folklorico a bene
culturale. Una nuova patria culturale, avrebbe detto Ernesto<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>de Martino, da ricordare a 50 anni dalla morte.
Egli fece del tarantismo l’emblema di un Meridione dell’anima, come ha scritto
Marino Niola.</div>
<div class="MsoNormal">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Le “spose di San
Paolo” non roteavano più la testa e non si arrampicavano sull’altare della
barocchissima cappella di Galatina, ma i turisti giungevano a frotte in cerca
di buone vibrazioni. Come ha scritto Marino Niola, l’ombra dell’Aracne
mediterranea non ha mai abbandonato questi luoghi: “ Resta tra le spighe del
grano e le foglie del tabacco come una cifra nascosta, che si rivela nei
bagliori visionari della campagna abbacinata dal sole e risorge nel riverbero
bizantino del tramonto, quando il cielo diventa una iperbole scarlatta<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>sospesa sopra un orizzonte di assoluti”.</div>
<div class="MsoNormal">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Ai piedi di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Santu Paulu</i> rimane uno scorpione sormontato da due serpi, sullo
sfondo di una ragnatela. Il guanto era<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>stato rovesciato e il logo antico si andava trasformando nel simbolo
positivo di una economia sostenibile e attrattiva. Si metteva in moto una
grande avventura che avrebbe fatto di Lecce e del Salento un cosmopolita luogo
del cuore; una storia molto lunga, attorno alla quale valorosi studiosi hanno
variamente discettato.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Nell’arco di
alcuni decenni, con un vasto retroterra di esperienze musicali e spettacolari,
Lecce meritoriamente godeva di una pulita economia turistica, con la sua <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Renaissance</i> pizzicofila. Gli anziani
coetanei tarantini<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>di quei giovinotti
del ’68, dopo decenni di volantinaggi al “Siderurgico” si ammuinavano con la
ballata degli affumicati. La storia aveva rovesciato la frittata. Culturalmente
Lecce e Taranto si avvicinavano: <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>è da
ricordare la mirabilesi <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>operazione di
Koreja e del <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Sud Sound System</i> in <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Acido
fenico</i>: la ballata del camorrista Mimmo Carunchio, dal testo del tarantino
Giancarlo De Cataldo ispirato alla banda Modeo (2003). </div>
<div class="MsoNormal">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Eppure le due
città offrivano ben diversi marcatori identitari: Taranto rimaneva<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>sottomessa alla monocultura siderurgica,
Lecce valorizzava la propria tradizione pizzicomane. A ciascuno il suo,
considerando che ogni monocultura recava in grembo una minaccia e anche la Città
Barocca oscillava tra incanto e autarchia, magari spacciando vetusti stereotipi
che fingevano vita novella, riducendo la filologia ad ancella del turismo.
Nella terra di sotto<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>nessuno era immune
dalla malinconica sindrome delle dissolvenze, degli oggetti smarriti, dei buchi
neri. Per questo era importante unire molte solitudini per una piccola ragione
di allegria, scacciando il demonio dalla bocca.<span style="mso-spacerun: yes;">
</span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Si poteva
riflettere sul sogno di Jung, durante il viaggio che lo portava insieme a Freud
negli Stati Uniti, mentre maturava il suo dissenso nei confronti dello
scientismo<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>del<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Maestro. Jung sognava di scendere nella sua
casa sempre più verso il “profondo”,<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>trovando in una grotta due teschi: le due culture, si diceva una volta.
I due teschi rappresentavano le due<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>forme
del pensare: il fisicalismo di Freud e il simbolismo di Jung, la ratio e
l’icona, la techne e il mito.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Con una
eccessiva semplificazione si potrebbe dire che la città del mito ha battuto la
città del logos. Convinti da sempre della necessaria <i style="mso-bidi-font-style: normal;">concordia</i> <i style="mso-bidi-font-style: normal;">discors</i> fra il
logo e il mito, non siamo tanto babbioni da contropporre la fucina di Efesto al
reincantamento dionisiaco. Diciamo soltanto che il brand della Taranta si
presentava,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>nell’immaginario collettivo,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>molto più attrattivo di quello dell’Ilva.</div>
<div class="MsoNormal">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Nel 1996 recensivamo il libro di Franco
Cassano, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Il pensiero meridiano</i>, in
cui si invitava a “non pensare il sud alla luce della modernità, ma al
contrario pensare la modernità alla luce del sud”. Si trattava di “restituire
al sud l’antica dignità di soggetto di pensiero, interrompere una lunga
sequenza in cui esso è stato pensato da altri”. Un programma audace, in una
qualche maniera interrotto o incompiuto, tuttavia ricco di suggestioni in
riferimento alle due città . Sempre nel 1996 veniva prodotto <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Pizzicata</i> di Edoardo Winspeare, il
regista che doveva diventare<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>l’ambasciatore nel mondo del “tarantismo” e della “salentinità”:
purtroppo stereotipi che rischiavano di imprigionare l’artista in una sola
dimensione.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>La filmografia di Edoardo
non era certo riducibile alla pizzica come <i style="mso-bidi-font-style: normal;">rock’n
roll</i><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>mediterraneo: le sue erano
anche storie di clandestini, trafficanti di droghe, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Dark ladies</i> della Sacra Corona Unita, vite in bilico fra musica e
contrabbando, in una Puglia dove si scontravano<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>tradizioni antichissime e criminalità imprenditoriale. </div>
<div class="MsoNormal">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>La
frequentazione di Winspeare, soprattutto durante la produzione a Taranto del
film <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Il miracolo</i> (2003) si costituiva
nella memoria cittadina come<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>un momento
alto di battaglia culturale.<i style="mso-bidi-font-style: normal;"> Il miracolo</i>
deve essere girato a Taranto, diceva Edoardo. “Questa città possiede la luce
più struggente d’Italia… Taranto è perfetta perché è sia spaventosa, con
l’impianto siderurgico più grande d’Europa a ridosso della città, sia<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>il più incantevole luogo<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>ameno della Magna Grecia, circondata
dall’acqua che riflette per ogni dove la luce”.<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>Cercando i volti fra gli studenti del liceo “Archita” e i ragazzini dei
vicoli della città vecchia, l’artista promuoveva<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>una grande operazione maieutica per la
cittadinanza. “Taranto è sempre molto bella”, diceva il regista
all’intervistatrice Anita Preti, “ma è anche un luogo dove la violenza è
palpabile, una città continuamente ferita”. </div>
<div class="MsoNormal">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Nell’estate del
2002 presentavamo nella città di Ebalo una corposa raccolta di studi a cura di
Vincenzo Santoro e Sergio Torsello, dal titolo molto esplicativo <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Il ritmo meridiano - La pizzica e le
identità</i> <i style="mso-bidi-font-style: normal;">danzanti del Salento</i>, in
evidente sintonia con la riarticolazione del rapporto fra modernità e
tradizione proposta da Cassano.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Sotto
l’influsso incoercibile dello “spirito del tempo” , nella stessa estate veniva
dato alle stampe un compendio storico-filologico della<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Taranta</i>
tarantina.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>In quel momento quasi
felice,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>la città riconquistava una<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>primogenitura indiscutibile , invero mai
contestata dagli acculturati: il musicologo Aristosseno di Taranto raccontava
di “epidemie di danza” attorno al dio della<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>maschera e dell’ebbrezza, Dioniso. <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Antidotum
tarantulae</i>, che il medico Paracelso chiamava <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Lasciva
Chorea</i>, ballo licenzioso. Da Marino a Lubrano si era diffuso un immaginario
colto di tutta Europa, al punto che nel Cinquecento, Cesare Ripa poteva
raffigurare il tacco d’Italia come una bella danzatrice, vestita di un sottil
velo costellato di tarantole. </div>
<div class="MsoNormal">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Si
restituivano<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>ai due mari le origini del
culto della Taranta, smarrito negli anni della grande industrializzazione. Un
gruppo di “scienziati tarantoleschi”, coordinati da Carlo Petrone,
raccoglieva<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>tutte le documentazioni
reperibili nel territorio jonico su una antica cultura che ancora oggi si offre
come un accumulatore di potenza di grande valenza simbolica. Con una strategia
di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Reconquista</i> la Taranta<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>ritornava a casa.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Esaurita una<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>prima edizione del volume, ne veniva<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>pubblicata una seconda<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>molto più
ricca. E<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>si continuerà ancora a
ricercare, spinti dal desiderio di ritornare a casa e poter rivedere quel luogo
come se fosse la prima volta. </div>
<div class="MsoNormal">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>La memoria del
Ragno veniva riattivizzata in terra jonica, ma nel frattempo era andata<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>smarrita una città.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Purtroppo nella <i style="mso-bidi-font-style: normal;">antiquissima urbs</i> la techne è stata assolutizzata, abbiamo peccato
di<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><i style="mso-bidi-font-style: normal;">yubris
</i>(dismisura) e le potenze degli inferi si sono scatenate diffondendo il <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Male nostrum</i>. Per poter evitare che la
stessa<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><i style="mso-bidi-font-style: normal;">mater tarantula</i> finisca asfissiata fra le emissioni dell’Ilva e
dell’Eni, volenterosi artisti<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>si sono
impegnati nel recupero del ritmo mediterraneo,<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>per scacciare i maligni vapori, traducendo il <i style="mso-bidi-font-style: normal;">mood</i> della pizzica in <i style="mso-bidi-font-style: normal;">world
music</i>. Fra i non tantissimi, il maestro concertista Mimmo Gori ha raccolto
attorno a sé valorosi musici tarantati e non scoordinati, promuovendo il
Festival dello Scorpione. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Si tratta del
più antico emblema di Taranto,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>in
seguito sostituito dal più accattivante Delfino. In effetti lo Scorpione,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>ma anche il<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>santo Ragno, non brillano per benevolenza.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>“Qui lo scorpione è padrone /<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>e la tarantola ruffiana /di un’antica
follia”: così poetava Raffaele Carrieri, ricordandoci che i culti antichi avevano
a che fare con un sangue <i style="mso-bidi-font-style: normal;">russu russu</i>.
Lo Scorpione era una icona<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>abbastanza
lugubre. Gli Africani evitavano di pronunziarne il nome perché portava male.
Era minaccioso a causa della coda terminante in un rigonfiamento colmo di
veleno che alimentava il pungiglione. Amava la solitudine e gli angoli oscuri,
pronto a uccidere il disturbatore. Produceva<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>effetti allucinatori ed esperienze di transizione ad una realtà altra.
Presso i Dogon rappresentava il clitoride asportato. Il più pauroso romanzo di
Stephen King era l’apocalittico <i style="mso-bidi-font-style: normal;">L’ombra
dello scorpione</i>. </div>
<div class="MsoNormal">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Ma i tarantini
sono ormai abituati a frequentare la<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Danse macabre</i>. Del resto l’uzzolo
zombaiolo e il Negramaro non ci devono far dimenticare il cuore di tenebra
della tarantola. “Chi o cosa mi possiede?” rimane l’incipit di ogni <i style="mso-bidi-font-style: normal;">horror territory</i>.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>L’Uomo Nero, lo Spauracchio, il Babau, il
mito deambulante del “fantasma della mente”, il male che si rincorre e si
trasforma nella sfera freudiana del perturbante, l’<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Unheimliche</i> che sfalda il tessuto delle cose “reali”. Nella stasi
del tempo immoto,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>la calura della
controra fa socchiudere le palpebre e nel giallo mare di grano s’intravede un
tremolìo, una <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><i style="mso-bidi-font-style: normal;">figurata malìa</i> e<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>si avverte
lo straniamento dell’essere “posseduti”,<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>del non sentirsi soli nella propria pelle.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>La tarantola è per eccellenza il qualcosa che
si nasconde dietro i filari di grano,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>la
presenza invisibile che si muove tra le spighe. In una città virata in <i style="mso-bidi-font-style: normal;">noir</i>, chi combatte da sempre quello
scherzo di cultura e non<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>di natura che è
la kinghiana <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Mangler<span style="mso-spacerun: yes;"> </span></i><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>(la macchina infernale) può ben avviare nelle
notti pizzicate <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><i style="mso-bidi-font-style: normal;">La danse du dèsir</i><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>fra
tarantole e scorpioni. I tarantini sono ormai abituati a frequentare la <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Danse macabre</i>, in <i style="mso-bidi-font-style: normal;">the Dark side of the</i> <i style="mso-bidi-font-style: normal;">moon.</i>
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Il mondo, diceva Ernesto De Martino, ha
più che mai fame di simboli per dire i suoi mali, per lenire i suoi
dolori.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Ciò che è emerso può affondare e
ciò che è affondato può riemergere.<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>Contro il gigante di ferro<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>ci si
può sempre<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>difendere, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><i style="mso-bidi-font-style: normal;">extrema
ratio</i>,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>con lo<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>“sputo medicinale” <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>e
risanatore: <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>l’arma segreta del <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>principe <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>taumaturgo Totò <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>(2).</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
NOTE</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
1) Cfr. Cosimo D’Angela, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Lettere
di Giovanni Antonucci a Cosimo Acquaviva (1939-1953)</i> in<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>“Cenacolo”, N.S. III, 1991, Mandese
editore, Taranto, 1991.</div>
<div class="MsoNormal">
2) Cfr. Giancarlo Vallone, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Le donne guaritrici nella terra del rimorso. Dal ballo risanatore allo
sputo</i> <i style="mso-bidi-font-style: normal;">medicinale, </i><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Congedo editore, Galatina (Le), 2004.</div>
</div>
Gianluca Lovregliohttp://www.blogger.com/profile/06546469526349421307noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6205583283493953364.post-78453346647742008272015-10-08T19:36:00.000+02:002015-10-08T19:36:00.481+02:00Taranto nella Grande Guerra e il suo monumento ai caduti<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
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<br />
<div class="MsoNormal">
Roberto Nistri</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<h2 class="MsoNormal" style="text-align: left;">
Taranto nella Grande
Guerra e il suo monumento ai caduti</h2>
<br />
<h2 style="text-align: left;">
</h2>
<div style="text-align: left;">
</div>
<div class="MsoNormal">
</div>
<div class="MsoNormal">
<i>© Roberto Nistri 2015. Tutti i diritti sono riservati.</i></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<i><b>Introduzione al
contesto cittadino</b></i></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
A partire dalla fine dell’Ottocento, con la decisione presa
dal Parlamento italiano, sulla installazione dell’Arsenale militare marittimo,
la città jonica veniva progressivamente ed inesorabilmente militarizzata. La
vistosa presenza dell’insediamento industriale modificava le coste, le
altimetrie del suolo, divorando masserie, chiese e ville signorili - tra cui la
sublime villa Capecelatro, modificando inesorabilmente la <i style="mso-bidi-font-style: normal;">facies</i> della Antiquissima Urbs. Venivano ordinate le direttrici di
una impetuosa crescita demografica. Nel periodo immediatamente precedente
l’entrata in guerra, la sua struttura industriale veniva ad essere
cospicuamente amplificata dalla installazione dei Cantieri Navali “Franco Tosi”
sulla spiaggia a Nord del Mar Piccolo: una Società di Legnano con strutture di
ben altro rilievo rispetto ai modesti cantieri Frontini (1903-1906) e Salerni
(1906-1915). Nel 1898 l’Arsenale varava la sua prima unità di guerra: la nave”
Puglia”, la cui prua sarebbe stata in seguito donata al poeta D’Annunzio, che
l’avrebbe sistemata all’interno del suo Vittoriale.</div>
<div class="MsoNormal">
Nel 1915 veniva portata a termine la costruzione del primo
sommergibile. Il 4 giugno 1916 dallo scalo improvvisato sul quale era stata
impostata cinque mesi prima, veniva inaugurata alla presenza del Duca degli
Abruzzi, la prima nave interamente costruita nello stabilimento: il
rimorchiatore “Villa Cortese”. Erano anni quelli in cui lo slancio e il fervore
militare andavano di pari passo con quello nazionalista. A Taranto, prima che
in altre città, già nel novembre 1914, si registravano scontri fra nazionalisti
e socialisti. Alcuni incidenti preoccupanti si verificavano il 15 febbraio
1915, quando alcuni giovani nazionalisti protestavano contro il Consolato
germanico, provocando una contromanifestazione di neutralisti, che doveva
sfociare in tafferugli e arresti.</div>
<div class="MsoNormal">
La città si preparava alla guerra. Il 30 ottobre, durante le
imponenti esercitazioni navali alla presenza del sovrano, lo scoppio prematuro
di una granata causava la morte di un guardiamarina e quattro uomini
dell’equipaggio.</div>
<div class="MsoNormal">
Presso le classi
subalterne e soprattutto nel contado, non si registravano segnali di grande
esaltazione. I socialisti organizzavano affollati comizi, come quelli tenuti
nel mese di febbraio dall’on. Campanozzi a Taranto e in alcuni paesi del
circondario, ma non si impegnavano più di tanto. Comprensibilmente il “blocco
d’ordine” non incontrava difficoltà nel coagulare attorno a Salandra una
volontà di potenza che era tutta ricchezza per una monocultura navalmeccanica
che purtroppo ristagnava in periodo di pace e godeva invece di tutte le
sovvenzioni possibili, quando giungeva l’eco dei tamburi di guerra. In effetti
si sarebbe determinata una condizione di quasi piena occupazione, anche con non
pochi lavoranti dei campi che si arrangiavano, fra città e campagna: piccoli
commerci al minuto, ambulanti che recavano vettovaglie dal contado.</div>
<div class="MsoNormal">
Dopo la dichiarazione
di guerra la città era ormai “piazzaforte marittima in istato di resistenza”:
la base navale più importante e al contempo il rifugio più sicuro per la flotta
interalleata italiana, francese e inglese, con la Sede del 9° Reggimento
Fanteria. La città che sembrava dimenticata dalla storia, stava per affacciarsi
al centro del palcoscenico internazionale, crocevia della storia più grande e
più folle: La guerra! Taranto era l’unico porto di grande ampiezza e l’unico
cantiere completamente attrezzato in prossimità della zona dell’attività
bellica. Non era teatro di guerra, di esso era però il retroscena. Il Mar
Piccolo ospitava la flotta da guerra italiana e alcune unità navali inglesi di
sostegno, mentre l’Arsenale provvedeva ai nuovi impianti di armi, agli
adattamenti dei nuovi sistemi protettivi, alle continue riparazioni di un
naviglio silurante già logorato dalla campagna in Libia. Taranto attraeva
soldati da tutte le parti, ma anche tecnici e maestranze dal circondario e da
tutta Italia. In Arsenale si lavorava a pieno ritmo anche di notte. Veniva
riparato lo scafo del piroscafo “Orione”, squarciato da un siluro, e quello del
cacciatorpediniere francese “Brory”, danneggiato dallo scoppio di una mina.
Veniva ricostruita la prua del caccia francese “Boutefeu”, che era stata
danneggiata da un investimento in mare, e così quella del CT. “Chinery”. Un
vero e proprio <i style="mso-bidi-font-style: normal;">boom </i>economico, con
una straordinaria espansione del tessuto urbano, pagata inevitabilmente con il
totale asservimento alla militarizzazione. Anche la pesca nelle acque dello
Jonio veniva vietata. Era l’altra faccia del <i style="mso-bidi-font-style: normal;">boom</i>, della fiorente attività economica e del prestigio
internazionale. Era alto il rischio a cui la città veniva esposta, in quanto
fucina, snodo e punto di partenza di gran parte della flotta italiana.</div>
<div class="MsoNormal">
Come era accaduto per Brindisi, anche Taranto Veniva
colpita. Nella notte del 2 agosto 1916 la città veniva scossa da un tremendo
scoppio che sembrava sommuoverne le fondamenta. Verso le 23:00 la “Leonardo da
Vinci” veniva colpita da un rombo sordo che saliva dal fondo. Lo scafo tremava
ed esplosioni sempre più frequenti squassavano la nave e la squarciavano in
tanti crateri, con un boato che percorreva l’aria per molte miglia. Fiamme
altissime illuminavano la notte. Il professore Giacinto Peluso avrebbe in
seguito rievocato “quelle ore apocalittiche: “tante grida, tanto pianto”. I marinai
venivano inghiottiti dalle voragini prodotte dagli scoppi e fra di loro molti
erano tarantini.</div>
<div class="MsoNormal">
Alle 24:45 la corazzata si capovolgeva. Uno scoppio del
deposito munizioni aveva fatto saltare in aria e quindi affondare in Mar
Piccolo la più potente delle sei <i style="mso-bidi-font-style: normal;">dreadnougts</i>
di cui era composta la prima “squadra da battaglia” della flotta italiana.</div>
<div class="MsoNormal">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Come verrà appurato
negli anni seguenti, l’esplosione della “Leonardo da Vinci” si doveva ad una
operazione di spionaggio tedesco-austriaco, che aveva visto il coinvolgimento
anche dello scrittore tarantino Archita Valente. L’indagine degli uomini della
Marina e il successivo contrattacco, il cosiddetto “Colpo di Zurigo”, alla
centrale della sede del consolato austriaco in Svizzera, avrebbe permesso di
acquisire una relazione completa sull’affondamento della “Leonardo” e sui piani
per far saltare la “Giulio Cesare”: documenti che comprendevano una sorta di
tariffario per i diversi sabotaggi e la lista completa di tutte le spie agenti
in Italia, fra i quali, oltre a oscuri personaggi del Vaticano come il prelato
Gerlach, veniva condannato all’ergastolo lo scombinato Valente, “suicidato” nel
carcere di Avellino.</div>
<div class="MsoNormal">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Ricordiamo anche che
Taranto aveva dato i natali al maggiore Angelo Berardi, il quale, allo scoppio
del conflitto, conquistava subito una medaglia d’argento, per le sue indubbie
capacità, dimostrate in numerose azioni: si poneva alla testa dei piloti di
dirigibile e veniva fregiato di nuova medaglia d’argento. La fase più intensa
della sua attività doveva riguardare la ritirata di Caporetto. Volava
infaticabile tutte le notti per colpire con le sue bombe i ponti sul
tagliamento e sulla Livenza, sulle arterie del Trentino e le balze alpine.
Compiva 18 ore di volo consecutivo e batteva il record mondiale d’altezza per
un dirigibile. Nell’agosto del 1918 rovesciava sul nemico, con dieci ardite
azioni, una enorme quantità di esplosivi. Durante l’azione decisiva, dall’alto
poteva assistere alla tremenda disfatta degli austriaci. Ironia della sorte, il
grande aviatore moriva proprio sul golfo di Taranto, scomparendo in una
tempesta mentre tornava a casa per ricongiungersi con la propria famiglia. La
città riconoscente gli avrebbe dedicato la via Berardi nel borgo umbertino, dove
Angelo era nato e aveva trascorso l’infanzia, già intestata al patriota Nicola
Mignogna.</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<i><b>Le tribolazioni
joniche per un Monumento ai Caduti</b></i></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Per una città che era stata palcoscenico della Grande
Guerra, con le sue importanti vittime, può essere interessante ripercorrere la
tormentata vicenda ultratrentennale del colosso dominante l’attuale Piazza
della Vittoria, già Piazza XX Settembre. Il vero caduto o almeno infortunato, sul
bronzeo campo di battaglia, doveva essere l’onesto scultore Francesco Como,
combattente sul Carso, massone, discepolo del Maestro Ettore Ferrari, angariato
dai fascisti in quanto vecchio repubblicano. La cittadinanza auspicava a gran
voce la messa in cantiere di un solenne monumento volto ad onorare la memoria
dei valorosi caduti. Già nel 1919 il Consiglio Comunale, presieduto da
Francesco Troilo, faceva nascere rapidamente un pletorico Comitato
organizzativo. Non mancavano tuttavia riflessioni più ponderate. L’insegnante
Anna Caggiano propugnava una istituzione umanitaria: al posto di un monumento, una
opera che, nella sua utilità, esalti il ricordo di chi donò la vita alla
Patria, suggerendo “un edificio scolastico, un asilo infantile, un rifugio per
minorenni, un ricovero per orfani ed abbandonati, ”. Continuavano a venir fuori
proposte assennate: “un ospedale che potesse dare a tanti sofferenti poveri, il
modo di lenire i dolori, di sanare i mali, di conservarsi ancora alla vita, al
lavoro, all’amore dei figli (articoli della “Voce del Popolo”, 1922). Qualche
dubbioso forse ricordava l’amaro avvertimento del liber’uomo Ugo Foscolo: “ove
dorme il furor d’inclite gesta / e fien ministri al vivere civile / l’opulenza
e il tremore, /inutil pompa / e inaugurate immagini dell’Orco / surgon cippi e
marmorei monumenti”…</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Note a margine. Non si<i style="mso-bidi-font-style: normal;">
può sottovalutare il ruolo della funzionalità monumentale nella</i> <i style="mso-bidi-font-style: normal;">costruzione di un immaginario collettivo, nel
quadro anche di una formazione identitaria. Quando si parla di monumenti non si
deve considerare solo l’aspetto estetico, ma anche</i> la <i style="mso-bidi-font-style: normal;">funzionalità politica. George L. Mosse considerava la
“monumentalizzazione” come uno degli</i> aspetti caratteristici del processo di
costruzione di una comunità. <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Naturalmente,
non </i>si può neanche trascurare <i style="mso-bidi-font-style: normal;">un semeion
fortemente significante, che intenda supportare un investimento emozionale, più
o meno vocazionato alla universalità.</i></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Si avanzavano proposte umanitarie, ma non condivise dalla
Marina M.M. e dal fronte dei reduci, che avevano visto perire i propri
compagni, e dai famigliari delle giovani vittime. La Marina e le associazioni
combattentistiche non demordevano. L’erezione di un cippo era da considerarsi non
discutibile, obbligatoria, tassativa, malgrado la magniloquenza di un
preventivo che doveva raggiungere le 300.000mila lire, in una situazione
postbellica bisognosa di molti risanamenti. E monumento doveva essere! Sia pure
con risorse contingentate.</div>
<div class="MsoNormal">
Nel 1919 il Consiglio Comunale, presieduto da Francesco
Troilo, faceva nascere rapidamente un pletorico Comitato organizzativo. La
prima questione doveva riguardare il sito, con incertezze nei riguardi di
piazza Archita. Sorgeva all’orizzonte un progetto dell’illustre architetto
Cesare Bazzani prospettato per i giardini Garibaldi, ma veniva lasciato in
sospeso. La discussione riprendeva senza fretta nel 1921, con l’amministrazione
Delli Ponti. Nelle more, si era messa in opera la strategia del “fai da te”: le
lapidi fiorivano a piacere. Nel frattempo la presidenza del Liceo Classico
“Archita”, con grande smacco per il Municipio, provvedeva a ricordare il sangue
dei suoi 52 studenti caduti, con una lapide apposta sulla facciata
dell’Istituto. Si pensava ad un periodico “cambio della guardia” al monumento, fra
gli studenti. Rimaneva da sciogliere il nodo del sito: posizionare il manufatto
in Piazza Giordano Bruno, avrebbe diminuito la visibilità della facciata
dell’Arsenale e l’imbottigliamento della stessa Piazza, punto nodale della rete
tranviaria. Per fortuna veniva scartata la proposta di insediare il monumentone
al centro del gran piazzale della Villa Peripato, con cassarmonica per la banda
(Peluso p. 67).</div>
<div class="MsoNormal">
Tutti concordavano sulla necessità di una ampia superficie
di sfondo: ci si orientava verso il centro di Piazza XX Settembre, progressivamente
annientando i palmizi che la circondavano. Nel 1922, a ridosso della marcia su
Roma, il clima diventava più battagliero. Vi furono maltrattamenti nei
confronti nei confronti dello scultore Como e dei suoi fratelli, abbandonati dallo
squadrista motorizzato Parabita in una zona malarica. Si diffondevano anche
manifestini malevoli.</div>
<div class="MsoNormal">
Nel 1923 era partito il concorso nazionale. La commissione
esaminatrice, formata per lo più da massoni, proclamava vincitore l’autore del
bozzetto a cui era stato dato il titolo <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“Si
spiritus pro nobis quis</i> <i style="mso-bidi-font-style: normal;">contra nos?”</i>:
trattavasi di Francesco Como, premiato con lire 5000. Gli esclusi dalla
mangiatoia addirittura avrebbero preteso che Como dovesse starsene contento del
suo premio e lasciare ad altri l’esecuzione del progetto. Questo prevedeva
quattro gruppi bronzei raffigurati dallo scultore tarantino intorno ad un
grande basamento marmoreo: “La Vittoria e i suoi eroi”, “Taranto e i suoi
Artefici “, “L’Apoteosi del Fante” e L’ Aquilifero”. La cifra preventivata dal
bozzetto, 300mila lire, appariva enorme per una città appena uscita dai
travagli della guerra. Deciso il sito (Piazza XX Settembre) si prospettava la
cerimonia della posa della prima pietra per il 21 aprile del 1924, ma si era
ancora a zero, per festeggiare il “Natale di Roma”. Si cominciava a lavorare
sul basamento, ma dei pregiati gruppi bronzei nessuna traccia! Soprattutto
bisognava rastrellare i soldi. La fantasia dei tarantini si sbizzarriva con le
“Kermesse” in Villa Peripato, con le marche “pro monumento” da applicare su tutti
i documenti, pedaggi al ponte e salvadanai nei pubblici uffici, fino ad una
raccolta porta a porta, con la città divisa in sette zone strategiche. In
quattro anni si raccoglievano 76mila lire, ma si era molto lontani dalla meta e
i costi lievitavano. Il basamento era sempre lì, ma tutto procedeva con moto
uniformemente ritardato e la cifra di 500mila lire rimaneva ben lontana.</div>
<div class="MsoNormal">
Nel 1926 il Podestà Spartera sembrava voler usare il pugno
duro, magari a colpi di francobolli e lotterie. In previsione della
inaugurazione veniva soppresso il chiosco orinatoio di Piazza XX Settembre. Ma
l’erigendo monumento ai Caduti attendeva sempre di essere inaugurato. Le cose
dovevano peggiorare con l’intervento di diversi commissari prefettizi:
1924-1925. Il podestà Giovanni Spartera si prodigava come cercasoldi, fra
ricchi premi e <i style="mso-bidi-font-style: normal;">cotillons</i>, sempre a
pro dell’erigendo monumento. Nel 1928 si arrivava alla rottura con l’artista.</div>
<div class="MsoNormal">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Come se non bastasse,
nel 1930 bisognava ingaggiar battaglia con il signor Francesco Rizzo, gestore
di un chiosco in legno per la vendita di “gratta gratte… sumend’e zuccre,
orzata, granatina, menta, anice ghiacciata… Il contenzioso sarebbe durato dal
1924 al 1930, con <i style="mso-bidi-font-style: normal;">prorogatio </i>di mese
in mese. Alla fine Rizzo la spuntava, ottenendo la concessione di un altro
chiosco più bello che pria. Si era fatto spazio al monumento e la concessione
si sarebbe rinnovata ogni tre anni, purtroppo interrotta dalla deflagrazione del
secondo conflitto.</div>
<div class="MsoNormal">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Intanto Il podestà
“protempore” Giovanni Spartera si sentiva sempre più sotto tiro e, su spinta
del governo, nel 1928, si decideva a convocare l’egregio scultore Guastalla di
Roma (anch’egli onesto massone) con l’incarico di esaminare lo stato dei
lavori. Ma un anno dopo il Guastalla rinunciava all’incarico per comprensibili
incompatibilità fra l’autore e il controllore, ma anche per lo stato
confusionale delle procedure. Nel 1934 veniva addirittura chiamato in giudizio
per una poco edificante ricompensa, richiesta per tre anni di lavoro. Alla fine
veniva pagato irregolarmente e a rate. Qualche frutto il Guastalla doveva
comunque averlo prodotto, se nel settembre 1929 il primo altorilievo “La vittoria
tarantina e gli eroi” era quasi pronto. Doveva seguire la “glorificazione del
fante”, ma la cifra preventivata passava a 750mila!</div>
<div class="MsoNormal">
Nel 1930 si arrivava all’inaugurazione del monumento
non-finito, alla presenza del Sovrano e del ministro Di Crollalanza. La folla
era strabocchevole, Como si ritrovava quasi nascosto. Il gentiluomo aveva
lasciato Taranto nel 1928, con un assegno mensile <i style="mso-bidi-font-style: normal;">ad personam</i> per tutta la durata dei lavori, ma dopo due anni il suo
compito non era stato ancora ultimato. Nel giugno 1930, per inadempienza, veniva
troncato qualsiasi invio di denaro allo scultore, compromettendo così il
modello di argilla dello Aquilifero, che prima si essiccava e poi finiva in
frantumi. Con i fondi del tutto esauriti, Como avrebbe dovuto concludere i
lavori pagando di tasca propria: una soluzione del tutto improponibile. Il
povero artista si ritrovava in condizioni miserrime, tanto da sognare
l’interessamento del Sovrano. Durante le celebrazioni del IV novembre non era
stato neanche invitato e intanto si allargava sempre più il solco fra l’Artista
e il Regime.<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"> </b>Si arrivava comunque<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"> </b>all’inaugurazione del 1930, con il monumento
incompleto. Si poteva leggere l’epigrafe dettata da Alessandro Criscuolo in
chiara contaminazione<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"> </b>fascista</div>
<div class="MsoNormal">
Forti nella vita, epici nella morte</div>
<div class="MsoNormal">
Nella storia eterni</div>
<div class="MsoNormal">
Taranto Madre</div>
<div class="MsoNormal">
La ricostruzione dettagliata della operazione scultorea è
perfettamente esposta nel prezioso testo di Giacinto Peluso, al quale si rinvia
doverosamente, evitando inutili commenti.</div>
<div class="MsoNormal">
L’operazione avrebbe comportato la spesa globale di circa
800mila lire (cfr. Peluso e “Voce del Popolo”).</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Lo scultore si trovava a sbarcare il lunario con
l’insegnamento e, dopo crisi profonde, decideva di chiedere l’iscrizione al
Fascio, cosa non facilissima, per le idee antifasciste sbandierate in più
occasioni. Come ottenne la “tessera”, Como si stabilizzò nella Scuola,
continuando a lavorare nel suo studio tarantino, prima del trasferimento
definitivo a Roma. Un ricordo di Raffaele Carrieri sullo scultore meditabondo e
solitario: “Non saprei parlare di questo semplice e pensieroso Artista senza
mettere in primissimo piano la sua bella fibra di uomo: moralmente e
artisticamente parlando. La ricostruzione dettagliata della operazione
scultorea è compiutamente esposta nel testo di Giacinto Peluso, al quale si
rinvia doverosamente.</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Nel marzo 1950 si riapriva la discussione sul completamento
dell’opera monumentale, con interessamento delle Associazioni Industriali e (strano
a dirsi) dei segretari della Camera del Lavoro della C.G.I.L. Il Monumento
fatturato a rate, trovava alla fine il suo completamento con il gruppo detto “l’Aquilifero”,
con il fiero sostegno della amministrazione comunista. L’occhio esperto poteva
leggere nell’opera i simboli massonici del triangolo, delle due colonne, del <i style="mso-bidi-font-style: normal;">sancta sanctorum</i> del tempio, con la Nike
che raffigurava il fatidico numero tre. Il 18 ottobre 1953 si concludeva la
trentennale vicenda: era trascorsa anche la seconda guerra mondiale e un
monumento poteva ormai bastare per i due grandi conflitti. Quella volta, alla
celebrazione, Francesco Como era ben presente, per ricevere quell’omaggio che
gli era stato negato nel 1930.</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<b><i style="mso-bidi-font-style: normal;">I monumenti sono la
storia in piedi (Ugo Ojetti)</i></b></div>
<b>
</b><div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Al momento della inaugurazione finale, l’opera era certamente
un anacronismo. In quegli anni nessuno studente si sarebbe prestato al “cambio
della guardia”, secondo i desiderata dell’ex preside del Liceo: I <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Beatles </i>erano in arrivo. Gli omoni nudi
con l’elmetto facevano impressione. E invece, negli anni Settanta, nella festa
giovanile della contestazione, per i giovani tarantini e non solo, quel
monumento si trovava a rappresentare l’ombelico del mondo. Quel bronzo era
letteralmente avvolto da una folla di ragazzi vocianti e musicanti. I figli dei
fiori rendevano quel cenotafio un <i style="mso-bidi-font-style: normal;">rendez-vous</i>
giovane, cordiale, capellone, greco, nemico della guerra: uno spazio liberato
di felice coabitazione fra i presenti e gli scomparsi. Il giornalista Antonio
Rizzo, assieme ad un suo estimatore, veniva dalle forze dell’ordine allontanato
in malo modo da quella festa dei presenti e degli assenti. Ma gli spiriti cupi
non trovavano pace: denunce pseudopatriottiche e farisaiche. Rizzo scriveva: “A
me il monumento animato da quelle presenze giovanili, piaceva. Mi appariva come
un fatto vivo, vitale, cordiale, popolare. Non un fatto artistico, ma
esistenziale. Un <i style="mso-bidi-font-style: normal;">happening</i> che
umanizzava una struttura fredda e retorica”. Rimane il dolce ricordo di una
festa libertaria nello spazio della antica Agorà. Rimane anche l’onesta
testimonianza del repubblicano Franco Como, un artista figlio di un capomastro
e di una sarta, volto sempre alla speranza che mai più si abbia a versare sangue
innocente.</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Patriottismo peloso</i></b></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Sarebbe ingiusto sottovalutare il ruolo della funzionalità
monumentale nella costruzione di un immaginario collettivo, nel quadro anche di
una formazione identitaria. Un’opera, per forza delle cose, può rimanere
anacronistica, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">démodé</i>, ma può anche
essere una sincera e onesta espressione di un datato contesto culturale. Altra
cosa è il subdolo” monumento donato” (<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Timeo
Danaos et dona ferentes…). </i>Ci riferiamo all’altro colosso: quel Monumento
al marinaio, regalato dall’Ammiraglio Angelo Jachino a un Consiglio comunale
che accettava tutto a scatola chiusa, senza preoccupazioni di permessi e
licenze. Gli antifascisti dell’epoca non si accorgevano nemmeno che sul
basamento s’inneggiava alla guerra 1940-43: la guerra di Mussolini. Era facile
invece decifrarne il codice segreto: Il monumento visto dall’avanti e dal di
dietro, con le due grandi W e M, era un vistoso “Onore al Duce”!</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Bibliografia : Taranto in guerra</i></b></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
</div>
<div class="MsoNormal">
Saverio Lasorsa, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">La
Puglia e la guerra mondiale</i>, Ed. Caini, Bari-Roma 1928</div>
<div class="MsoNormal">
Enzo Panareo, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Archita
Valente: dalla letteratura allo spionaggio</i>, in “Sallentum”, anno IV, n. 3</div>
<div class="MsoNormal">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;">La più audace impresa
del controspionaggio italiano nella prima guerra mondiale</i>, in “Storia
illustrata”, Settembre 1969, n. 142</div>
<div class="MsoNormal">
E.C. Protto, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Vita,
morte e risorgimento della dreadnought “Leonard da Vinci”,</i> Edita@, Taranto</div>
<div class="MsoNormal">
Ferdinando Ladiana e Espedito Jacovelli, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Massafra e la Grande Guerra</i>, Cspcr, 1984</div>
<div class="MsoNormal">
Nino Bixio Lomartire, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">I
cantieri navali di Taranto</i>, Coop. 19 luglio, Taranto 1990</div>
<div class="MsoNormal">
Roberto Nistri<i style="mso-bidi-font-style: normal;">,
Civiltà dell’industria</i>, Scorpione ed., Taranto 1988</div>
<div class="MsoNormal">
Roberto Nistri, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Una
Loggia “Martinista a Taranto</i>, in “Cenacolo”, Mandese ed., 1994</div>
<div class="MsoNormal">
Rosa Alba Petrelli, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">L’Arsenale
militare marittimo di Taranto</i>, Perugia 2005</div>
<div class="MsoNormal">
David Alvarez, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">I
servizi segreti del Vaticano</i>, Newton Compton Editori, Roma 2008</div>
<div class="MsoNormal">
Eric Frattini, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">L’Entità,</i>
Fazi Editore, Roma, 2009</div>
<div class="MsoNormal">
AA.VV., <i style="mso-bidi-font-style: normal;">I Cantieri
Tosi</i>, Fondazione Michelagnoli, Taranto 2013</div>
<div class="MsoNormal">
Annibale Paloscia, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Benedetto
fra le spie</i>, Mursia ed., 2013</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<i><b style="mso-bidi-font-weight: normal;">Bibliografia: Taranto
e il suo monumento ai caduti</b></i></div>
<i>
</i><div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
</div>
<div class="MsoNormal">
Giacinto Peluso, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Una
città, un monumento, </i>Mandese Ed., Taranto 1984</div>
<div class="MsoNormal">
Francesco Guida, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">La
Massoneria</i> <i style="mso-bidi-font-style: normal;">tarantina dal dopoguerra
al 1960</i> in <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Taranto dagli ulivi agli</i>
<i style="mso-bidi-font-style: normal;">altiforni</i>, Mandese ed., Taranto 2007.</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
</div>
Gianluca Lovregliohttp://www.blogger.com/profile/06546469526349421307noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6205583283493953364.post-28062136702514674932015-10-07T19:21:00.000+02:002015-10-07T19:21:00.353+02:00Jonici Graffiti. 7. Paradisi perduti<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
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<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
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<div class="MsoNormal">
Roberto Nistri</div>
<div class="MsoNormal">
</div>
<h2 class="MsoNormal" style="text-align: left;">
Jonici Graffiti</h2>
<br />
<h2 style="text-align: left;">
</h2>
<div style="text-align: left;">
</div>
<h3 style="text-align: left;">
</h3>
<div style="text-align: left;">
</div>
<h3 class="MsoNormal" style="text-align: left;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;">7. Paradisi perduti</i></h3>
<div class="MsoNormal">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"> </i><i>© Roberto Nistri 2015. Tutti i diritti sono riservati.</i></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Arrivarono un
giorno i Signori della Guerra, e dell’Eden fecero macerie.</div>
<div class="MsoNormal">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>In quegli anni
felici per i distruttori dei beni culturali, sopravvenne <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>la demolizione per<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>la Torre Nova alla Marina, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>i Bastioni Carducci, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>la Chiesa di San Giovanni, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>il monastero dei Fatebenefratelli, dichiarati
tutti irrecuperabili. Miracolosamente si salvava qualche frammento della villa
del più “nobile spirito di Taranto”: quel Monsignore “giacobino”,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Giuseppe <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Capecelatro,<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>che aveva ospitato Goethe, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Lamartine,
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Madame de Stael. Quel Paradiso terrestre <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>doveva malinconicamente mutarsi in Ospedale
della Regia Marina, con i due antichi leoni ridotti a pietrosi cani da guardia
di marinai a riposo.</div>
<div class="MsoNormal">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>La <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>villa Capecelatro era stata acquistata nel
1837 <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>dal tenente <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>generale Florestano Pepe. Dopo la sua
morte,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>nel 1851,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>passava in eredità al fratello Guglielmo
Pepe, che il 9 marzo 1850 <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>sposava <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>la nobildonna scozzese Marianna Coventry.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Rimasta vedova nel 1855, <span style="mso-spacerun: yes;"></span>Marianna visse abbastanza nella Villa,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>divenendo benefattrice locale e stringendo
amicizia con Cataldo Nitti. <span style="mso-spacerun: yes;"></span>Si spegneva
il 9 marzo 1865.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Alla fine la tenuta
rimaneva all’ultima proprietaria, la nipote Luisa Carlotta Coventry.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Piace rievocare l’eccentrica presenza di quella comunità di
scozzesi sulle rive dello jonio, dove ancora si avvertiva la presenza del
favoloso “Casino di Monsignore”: un
paradiso per umanisti. Nel 1883 giungeva
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>l’esproprio militare e quindi la
demolizione. Ma è bello pensare a
notturni incontri di nobili <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>fantasmi fra
due mari: <span style="mso-spacerun: yes;"></span>giacobini, patrioti antiborbonici, che incontrano in
sogno bonapartisti letterati <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>come<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Monsieur</i> <span style="mso-spacerun: yes;"></span>Laclos, <span style="mso-spacerun: yes;"></span>ritto in piedi sul suo fatidico
scoglio<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>fra le isole Cheradi. Fra le
ombre anche l’autentico <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Conte di
Montecristo, segregato dai sanfedisti
nel Castello Aragonese: <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>tutti
confortati,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>nelle notti senza luna, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>dal suono antico delle cornamuse scozzesi. </div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Crediti: grazie a Valerio Lisi
e<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Mina Chirico.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span></div>
</div>
Gianluca Lovregliohttp://www.blogger.com/profile/06546469526349421307noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6205583283493953364.post-25423658073056020372015-10-06T19:14:00.000+02:002015-10-06T19:14:00.069+02:00Jonici graffiti. 5. Cacciatori d’oro fra i due mari<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
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<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; margin-left: 1em; text-align: right;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhySudAlCgymzHKp58JFkGYsgSLzZjZzpDhyphenhyphen66ncWoGdySEmUUODJd68JjI_eBgIAdGEwbsCpu1dkczHGtpPxWWPLF2g3TwrA8c-mTfYoijjkKui0DgY9X-XZMZvQmZVbmO725HeZXDVgw/s1600/%255B1900%255D+Corso+Umberto.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="206" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhySudAlCgymzHKp58JFkGYsgSLzZjZzpDhyphenhyphen66ncWoGdySEmUUODJd68JjI_eBgIAdGEwbsCpu1dkczHGtpPxWWPLF2g3TwrA8c-mTfYoijjkKui0DgY9X-XZMZvQmZVbmO725HeZXDVgw/s320/%255B1900%255D+Corso+Umberto.jpg" width="320" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Il convento di S. Pasquale nel 1900</td></tr>
</tbody></table>
<br />
<div class="MsoNormal">
Roberto Nistri</div>
<div class="MsoNormal">
</div>
<h2 class="MsoNormal" style="text-align: left;">
Jonici graffiti</h2>
<br />
<h2 style="text-align: left;">
</h2>
<div style="text-align: left;">
</div>
<h3 class="MsoNormal">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;">5. Cacciatori d’oro fra i
due mari</i></h3>
<br />
<h3 style="text-align: left;">
</h3>
<div style="text-align: left;">
</div>
<div class="MsoNormal">
<i>© Roberto Nistri 2015. Tutti i diritti sono riservati.</i></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Il trafugamento<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>dei beni archeologici è il romanzo criminale
più vergognoso della storia della Taranto moderna: la documentazione storica è
giustamente doviziosa, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>ma anche dolente.
Il miglior narratore di questa vicenda è stato Narciso Bino, caro amico
prematuramente scomparso, che ci ha lasciato un testo, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Sui mari d’argento, i cercatori d’oro</i>.
L’uomo nero della storia è <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>stato il
ricchissimo agrario e deputato <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Pietro
D’Ayala Valva, che usava i suoi suoli come musei privati permanenti, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>come terreno per safari archeologici pilotati,
che si concludevano inevitabilmente con ritrovamenti estemporanei, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>come reperti di monete da distribuire agli
ospiti, a seconda della loro importanza. Il suo uomo di fiducia era tal Vito
Panzera, detto <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Miniminosce </i><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>o anche <i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>ind’a li cosce</i>. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Sempre rispondendo <i style="mso-bidi-font-style: normal;">bosciur o </i><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>bogiur, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>era schernito<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>per l’ostinazione a parlare un<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>francese storpiato: <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>non diceva
buon giorno sibbene <i style="mso-bidi-font-style: normal;">bosciur .</i>Ex
caffettiere, indossava lo Stiffelius e battezzava il cagnolino<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Sciulì </i>da
jolì. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Alto poco più di un metro,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>trafficava in continuazione con i contadini
per la ricerca di preziosi reperti.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Sul
biglietto da visita non osava scrivere Archeologo, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>ma accettava<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>di buon grado<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>il suggerimento
fornitogli dall’Avv. Carbonelli; orgogliosamente girava per i negozi
presentandosi con un biglietto da visita molto impegnativo: <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Lenone.</i> </div>
traordinario: <br />
<div class="MsoNormal">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>In quella
città,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>il più grosso trafficante di di
antichità era l’industriale Carlo Cacace, suocero di Luigi Viola, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>fondatore del Museo e legittimo tutore dei
beni archeologici tarantini. Trovandosi <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>in una sitituazione imbarazzante il Viola <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>veniva rimosso, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>nel pieno di una guerra fra bande
archeologiche, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>che trasferivano in giro
per il mondo tesori di eccezionale valore. Il 1893 era un anno decisivo per il
profilo marittimo militare che la città andava assumendo. In quella fase il
ministro Racchia decretava l’istituzione a Taranto di un Osservatorio. L’arrivo
della Squadra inglese poneva in stato d’agitazione la Giunta cittadina.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>De Cesare era contrario al coinvolgimento
economico della pubblica amministrazione.<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>Quale utilità per i tarantini? <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Si
sborsava una certa somma per i festeggiamenti, con qualche<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>“ accorgimento” amministrativo. Si gonfiavano
i gonfaloni, si organizzavano le bande municipali. </div>
<div class="MsoNormal">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Ma erano gli
affari a determinare interessanti opzioni con la<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Union
Jack</i>. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>L’astuto deputato Pietro era
intento ad acquistare suoli a destra e a manca,<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>ma pensava anche di organizzare una eccentrica gita nei suoi
possedimenti,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>fingendo di portare alla
luce preziosi beni archeologici , da lui opportunamente occultati e,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>a sorpresa, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>distribuiti generosamente agli ospiti, secondo
una graduatoria di autorevolezza.<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>Venivano trasbordate grandi ceste di monili e monete.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Erano previsti omaggi anche per la Regina, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>ma italiani e inglesi tendevano a trascurare
tale aspetto: a corte doveva giungere solo un misero papiello contenente un
inno abborracciato dal faccendiere<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>Panzera. E così beni pubblici si volatilizzavano per oliare qualche
appetitosa transazione. Noi Tarantini facciamo così.</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
R. N. <i style="mso-bidi-font-style: normal;">, I predatori
dell’oro perduto</i>, 10 agosto 2015</div>
</div>
Gianluca Lovregliohttp://www.blogger.com/profile/06546469526349421307noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6205583283493953364.post-57403945557425426832015-10-05T19:07:00.000+02:002015-10-05T19:07:00.079+02:00Jonici graffiti. 3. Il Teatro sognato<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
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<br />
<div class="MsoNormal">
Roberto Nistri</div>
<div class="MsoNormal">
</div>
<h2 class="MsoNormal" style="text-align: left;">
Jonici graffiti<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; margin-left: 1em; text-align: right;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj2ZDteo1dVgKJ34XaqrpFCwXE8ZnMhw5Wm-ujfhYp6fiBU-_qS_gHYfPw7BdySFYJKnCEutMdi2ll2o1r-32TtbPKb22hRWRXUsMdB9So8XbjV3iX-NlQdut5mIhTVx6_aynXueg9BIRA/s1600/%255B1900%255D+Politeama+Paisiello.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="132" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj2ZDteo1dVgKJ34XaqrpFCwXE8ZnMhw5Wm-ujfhYp6fiBU-_qS_gHYfPw7BdySFYJKnCEutMdi2ll2o1r-32TtbPKb22hRWRXUsMdB9So8XbjV3iX-NlQdut5mIhTVx6_aynXueg9BIRA/s320/%255B1900%255D+Politeama+Paisiello.jpg" width="320" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Il Politeama Paisiello nel 1900</td></tr>
</tbody></table>
</h2>
<br />
<h2 style="text-align: left;">
</h2>
<h3 style="text-align: left;">
<div class="MsoNormal">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;">3. Il Teatro sognato</i></div>
</h3>
<h3 style="text-align: left;">
</h3>
<div style="text-align: left;">
</div>
<div class="MsoNormal">
<i>© Roberto Nistri 2015. Tutti i diritti sono riservati.</i></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>La vecchia
Taranto pullulava di teatri e teatrini, quasi tutti ricordati dal compianto
Giuseppe Cravero. Nel mentre il Borgo acquisiva una fisionomia compiuta, nel
1834, nella seduta d’apertura del Consiglio generale di Terra d’Otranto, l’intendente
della Provincia annunziava che a Taranto stava compiendosi un “magnifico
teatro” e che, per vederlo perfezionato nell’anno, il sindaco e i maggiorenti
della Città s’impegnavano ad anticipare i tremila ducati occorrenti. Nessuno
vide mai quel teatro. Veniva fuori invece, nel 1857, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>un primo teatrino della città, ubicato quasi
all’inizio di via Duomo: una grande galleria che da palazzo Calò passava di
proprietà al marchese Francesco D’Ayala-Valva. Veniva adattata dall’architetto
Conversano: tre file di Palchetti, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>prosceni, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>200 posti, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>tutti venduti in abbonamento. Rimase
memorabile la serata del 1913, con l’esibizione sul palcoscenico, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>per la prima volta , <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>della già affermata diciassettenne
concittadina Maria Annita Pappacena Laganà, in arte Anna Fougez.</div>
<div class="MsoNormal">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>All’inizio della guerra a Taranto funzionavano
7 teatri e 3 sale cinematografiche. Non male per una popolazione inferiore ai
90mila abitanti. Si contavano l’Alhambra in via Cavour, l’ Internazionale in
via Giovinazzi, l’Orfeo e l’Eden in via Pitagora, il Marconi in piazza
Garibaldi, il S.Angelo in Piazza Castello, Il Paisiello in via De Cesare,
l’Olimpia in via Cavour, il Vittoria in via d’Aquino. La concorrenza diventava
anzi eccessiva, con una certa dequalificazione. </div>
<div class="MsoNormal">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Se nel 1895 “La
Voce del popolo” aveva esaltato i trionfi di Eleonora Duse, nel 1907 “La Folla”
denunciava il dilagare delle sceneggiate <i style="mso-bidi-font-style: normal;">cammurriste</i>
e nel 1911 “La Protesta” si vergognava per il macchiettista triviale e la
canzonettista oscena,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>con il pubblico
che si sbracava:<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>“La vogliamo nuda!”.
Fra tutti quei locali , il solo<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>Politeama Alhambra <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>poteva essere
considerato un vero e proprio teatro, anche se sorto sulle ceneri del Livio “Andronico”
distrutto da un incendio il 20 ottobre del 1907.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Ampio, con grande palcoscenico, era stato
inaugurato il 25 agosto 1909 e aveva ospitato nomi di primo piano, da Ninchi a
Zacconi, da Emma Gramatica a Tito<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Schipa,
fino a Vincenzo Scarpetta. Memorabile la <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Madama
Butterfly</i> <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>del 5 dicembre 1927, una
serata di gala in onore del principe ereditario Umberto di Savoia. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Nel 1929<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>si registrava un successo strepitoso della<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Aida</i>
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>concertata dal Maestro Poggi. Ma per il
povero Alhambra suonava la campana a morto , pur trovandosi in buone condizioni
di salute: doveva essere<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>distrutto per
far posto al faraonico <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Palazzo del
Governo.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Dall’<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Aida</i> a <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Femena ‘nfame</i>,
commentava tristemente Antonio Rizzo.</div>
<div class="MsoNormal">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Ci piace ricordare un pioniere come Vincenzo Fusco,
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>figlio di un fruttivendolo della via
Maggiore che , con suo fratello Gennaro (ambedue validi musicisti della banda
municipale) <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>ebbe l’idea di costruire il “Politeama
Paisiello”, utilizzando niente di meno che il legno di un veliero naufragato
presso la spiaggia di Chiatona. La prima idea doveva essere quella di un circo
equestre, ma la passione per il teatro era predominante, a partire dalle
compagnie dialettali e di varietà: Scarpetta, Petito, Maldacea… Malgrado
l’umile origine, da quel teatro dovevano passare i migliori nomi della prosa,
della lirica, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>della operetta. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Don Vincenzino si rifiutava di contrabbandare
agli spettatori merce dozzinnale, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>pagando cifre spropositate pur di accaparrarsi
le migliori compagnie del tempo, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>come
quella di Cesare Rossi,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>che rimaneva
sconcertato di fronte a quella baracca squinternata: “Fusco, Fusco, dove mi hai
condotto!” e Fusco rispondeva:<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>“Commendatore, non è il teatro che fa l’artista, è l’artista che fa il
Teatro!” Il “Paisiello” era uno scrigno di memorie: il maestro Bastia che
dispettosamente metteva il piede sullo strascico della “primadonna”, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>mentre nel palchetto B , i gaudenti dell’epoca
si scatenavano con le ballerinette del can-can. Il Politeama veniva demolito
nel 1914, quasi a simbolo del tramonto della <i style="mso-bidi-font-style: normal;">bèlle epoque</i>. Mentre si abbatteva il piccone e all’orizzonte
comparivano i primi bagliori della Grande Guerra, forse don Vincenzino, con gli
occhi della fantasia, vedeva il suo Teatro ritrasformarsi in vascello e salpare
per il mare grande dei ricordi, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>con le
sue luci, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>i suoi orchestrali, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>le sue ballerine.</div>
</div>
Gianluca Lovregliohttp://www.blogger.com/profile/06546469526349421307noreply@blogger.com0