L'llva, l'ambiente, la sinistra
di Alessandro Leogrande
in Corriere del Mezzogiorno, 08/03/2014, pag. 4
Rispetto alla
parabola della primavera pugliese, Taranto è sempre stata un caso a sé. Non
solo per la vicenda Ilva e per il disastro ambientale, ma anche per i disastri
della politica locale, maturati nell'arco della Seconda repubblica. La sinistra
jonica sembrò avere la sua primavera nel 2007, quando Ippazio Stefàno (con
Nichi Vendola già alla presidenza della Regione) vinse le elezioni a sindaco
successive al crack del comune non solo contro il ritorno di Cito, ma anche
contro l'allora candidato del Pd Gianni Florido. Sembra passata un'era
geologica. Nel mezzo, oltre all'impasse della giunta comunale, è esploso il
ciclone Ilva. Così, il rapporto tra la città lacerata, i movimenti
ambientalisti e il governo regionale si è fatto via via più problematico. Da una
parte Vendola sostiene di aver sempre agito nell'interesse degli operai e della
trasformazione della fabbrica. Dall'altra i settori più accesi della protesta
hanno visto in lui (molto più che nelle giunte cittadine tra il 1993 e il 2007
o nei governi nazionali che si sono succeduti) il volto della politica
compiacente.
Taranto è una
città difficile, in cui il consenso politico è un'alchimia molto complessa da
mettere insieme, e soprattutto da mantenere per più di un lustro; in cui a
lunghe fasi di apatia si alternano jaquerie improvvise, come quelle del 2012.
Pertanto, la notizia della richiesta dei rinvii a giudizio per il caso Ilva
sembra prolungare uno strano limbo. Chi crede che la trasformazione della
fabbrica sia possibile continua a pensarla così, magari con un po' di
pessimismo in più. Chi sostiene che l'unica soluzione sia chiudere lo
stabilimento, e che l'unico potere sano sia quello della magistratura
inquirente, avrà modo di radicalizzare la sua posizione. Ma cosa pensa del
rapporto tra Vendola e la città di Taranto chi in questi anni ha continuato a
raccontare la città dell'acciaio?
Per Roberto
Nistri, autore di una decina di libri sulla città jonica, l'ultimo dei quali è “La
ballata degli affumicati”, “il rapporto tra Vendola e Taranto si è incrinato da
tempo”. Da una parte, sostiene, “Vendola ha evitato negli ultimi anni incontri
pubblici con la cittadinanza, dall'altra va anche detto che non gli sarebbe
stato possibile farne qualcuno senza subire pesanti contestazioni dall'area più
accesa del fronte no-fabbrica”.
Taranto è una
città in cui molti dibattiti ultimamente si sono svolti in una sorta di “zona
rossa”, per evitare che saltassero. Il paradosso è che molti incontri con il
leader nazionale di Sel, nella città epicentro del disastro ambientale e di
tanti crocevia della sinistra, si siano dovuti svolgere a porte chiuse. “La
richiesta di rinvio a giudizio non cambia di molto le cose”, prosegue Nistri,
“ma indebolisce ulteriormente la coppia Vendola-Stefàno”.
Sulla stessa
lunghezza d'onda è anche Salvatore Romeo, tra gli animatori del blog
“Siderlandia”, uno dei pochi luoghi di riflessione giovanile. “Ci sono state
molte attese nei confronti di Vendola, e molte sono rimaste disilluse. Forse
non era giusto attendersi questo solo dalla Regione, ma è quanto è successo.
Già dal rilascio della prima Aia, c'è
chi ha pensato che non era più possibile dialogare con chi aveva firmato
quel testo, e quindi anche con Vendola.”
Al di là della
vicenda giudiziaria, e di come si pronuncerà il gup, la sinistra “a sinistra
del Pd” che ha governato Taranto in questi anni appare in crisi. Intorno alla
giunta Stefàno non si è radicata una nuova area politica, mentre il vendolismo
è parso un fenomeno distante. Così, quando la protesta è montata, il piatto è
stato diviso tra il successo dei grillini e la furia anti-politica di alcuni
comitati di protesta. “La sinistra”, dice ancora Romeo, “non è riuscita a
creare una saldatura tra l'ambientalismo e l'operaismo... Ma di questo la colpa
è di Stefàno e di Vendola, o più in generale della storia politica di questa
città?”
Mario Desiati,
che ha scritto spesso di Taranto negli ultimi anni, non solo nel romanzo “Il paese delle spose infelici”, allarga ulteriormente lo sguardo. “Ho
sempre pensato che fosse molto complicato interpretare la fabbrica e il suo
mondo fatto di metalmezzadri, e che ciò fosse ancora più complicato dopo la
privatizzazione.” La difficoltà del rapporto con la città nasce da qui.
“Ricordo ancora”, dice Desiati, “quando nel 2009, presentammo a Taranto il libro
sull'Ilva di Giuliano Foschini, 'Quindici passi'. C'era molta tensione in sala.
Lì ho capito che una parte di città, già esasperata, non voleva più avere
rapporti con la politica, anche se prometteva un cambiamento.”