TERRA DEL GRANO, TERRA DELLA VIGNA
Il circondario di Taranto dalla crisi protezionistica
all’inchiesta di Errico Presutti (1887-1909)
di Roberto
Nistri
© Roberto Nistri. Tutti i diritti sono riservati. Opera già edita a stampa
1. Le zone dei granai
Nella
sua relazione del 1909 (1) il delegato tecnico Errico Presutti articolava
opportunamente la sua analisi del circondario di Taranto distinguendo due zone:
il Mezzogiorno del grano e il Mezzogiorno degli alberi (nei borghi rurali era
presente anche una protoindustria casalinga che lavorava la materia prima del
territorio: lino, canapa, lana, cotone). La prima zona, a nord-ovest di
Taranto, si presentava come “granifera” ed era la continuazione di quella lunga
striscia di territorio che cominciava sull’Adriatico, in Abruzzo, estendendosi
su tutta la parte centrale della provincia di Foggia, sulla parte occidentale
della provincia di Bari, per finire sulla costa settentrionale dello Jonio.
Tale zona del circondario (la Provincia di Taranto doveva essere costituita
solo nel 1923) comprendeva i comuni di Mottola, Castellaneta, Laterza,
Massafra, Palagiano, Ginosa e Taranto. Ricorrevano tutti i caratteri propri
della grande azienda granifera esistente nelle province di Foggia e di
Bari: centri abitati scarsi di
numero ma popolosi, malaria diffusa, coltivazione prevalente di cereali. Su un pulviscolo di piccolissime
aziende provenienti dalla quotizzazione di antichi demani incombevano
gigantesche concentrazioni terriere: “In questa plaga domina la grande
proprietà, un solo proprietario possiede 9.500 ettari, un grande oliveto a
Palagianello conta 13.000 piante, quello di proprietà della Casa Reale di
Spagna a Ginosa si dice conti 35.000 alberi” (2). Era in genere modesta la
coltura della vite, più ampia quella dell’ulivo.
Per
maggiore dinamicità si segnalava la produzione granaria, che già nel corso
degli anni Settanta doveva misurarsi con la concorrenza dei grani americani:
l’introduzione nella grande coltura delle prime macchine e di sistemi più
razionali portava la conseguente crisi dei massari e dei piccoli affittuari,
determinando un lento ma costante cambiamento nel sistema di gestione delle
grandi aziende da una parte e dall’altra a una sensibile corrente di
emigrazione transoceanica, indice della rovina progressiva e irreversibile dei
piccoli fittuari e proprietari colpiti dalla concorrenza e troppo poveri per
ammodernare i sistemi di coltivazione dei loro fondi: “Quelli che non hanno
adottato sistemi più razionali di coltivazioni sono stati colpiti dalla crisi
determinata dall’azione combinata di due fattori; la diminuita fertilità della
terra spossata dalla antica rotazione; la concorrenza della grande coltura che,
con l’uso delle macchine e di meno irrazionali sistemi di coltivazione, produce
il grano con un costo di produzione minore”(3).
Secondo
le statistiche del Presutti, in tutti i comuni della zona in questione il
prodotto lordo
delle piccole e medie aziende era in forte diminuizione come pure il prezzo dei terreni; era invece in aumento il debito fondiario che spingeva all’inurbamento o all’emigrazione. Se nell’ultimo scorcio dell’Ottocento un padronato redditiero e parassitario investiva con parsimonia nel ciclo produttivo (“molti fondi rustici rimangono incolti e quel che più conta anche inseminati per difetto di denaro liquido necessario alla coltivazione e all’acquisto delle sementi, giacchè la produzione di cereali in genere è stata pessima e manca totalmente il prodotto oleario”) (4) alla fine del primo decennio del Novecento gli agrari mostravano ancora riluttanza a un vero e proprio investimento capitalistico: “Un vero miglioramento e sfruttamento della zona granifera si avrebbe solo con un grande impiego di capitali, soprattutto di capitale fisso, ma generalmente i proprietari preferiscono attuare quei miglioramenti che si ottengono col capitale circolante”(5). Per esempio, nei comuni di Ginosa, Castellaneta e Palagiano “la profondità del terreno permetterebbe accurate coltivazioni, ma queste da molti vengono trascurate; da alcuni per mancanza di mezzi da altri per indolenza, dagli uni e gli altri per ignoranza”(6). I rapporti economici sono ormai schiettamente capitalistici, ma la mancanza di risorse e la generale ignoranza dei proprietari fa sì che il profitto sia legato esclusivamente al livello bassissimo dei salari e anche la produttività del lavoro resta ai livelli minimi: “Noi soffriamo non soltanto dello sviluppo della produzione capitalistica ma anche della deficienza del suo sviluppo”(7).
delle piccole e medie aziende era in forte diminuizione come pure il prezzo dei terreni; era invece in aumento il debito fondiario che spingeva all’inurbamento o all’emigrazione. Se nell’ultimo scorcio dell’Ottocento un padronato redditiero e parassitario investiva con parsimonia nel ciclo produttivo (“molti fondi rustici rimangono incolti e quel che più conta anche inseminati per difetto di denaro liquido necessario alla coltivazione e all’acquisto delle sementi, giacchè la produzione di cereali in genere è stata pessima e manca totalmente il prodotto oleario”) (4) alla fine del primo decennio del Novecento gli agrari mostravano ancora riluttanza a un vero e proprio investimento capitalistico: “Un vero miglioramento e sfruttamento della zona granifera si avrebbe solo con un grande impiego di capitali, soprattutto di capitale fisso, ma generalmente i proprietari preferiscono attuare quei miglioramenti che si ottengono col capitale circolante”(5). Per esempio, nei comuni di Ginosa, Castellaneta e Palagiano “la profondità del terreno permetterebbe accurate coltivazioni, ma queste da molti vengono trascurate; da alcuni per mancanza di mezzi da altri per indolenza, dagli uni e gli altri per ignoranza”(6). I rapporti economici sono ormai schiettamente capitalistici, ma la mancanza di risorse e la generale ignoranza dei proprietari fa sì che il profitto sia legato esclusivamente al livello bassissimo dei salari e anche la produttività del lavoro resta ai livelli minimi: “Noi soffriamo non soltanto dello sviluppo della produzione capitalistica ma anche della deficienza del suo sviluppo”(7).
2. Le alterne fortune del vigneto
Nella
sostanza, le stesse condizioni sono riscontrabili nella seconda zona del circondario,
quella che si estende a sud-est di Taranto, lungo la costa orientale dello
Jonio, fiancheggiata da una linea di piccole colline che finiscono nei comuni
di Avetrana e Maruggio. Mentre nella parte nord-occidentale vi sono grossi
comuni, scarsa densità di popolazione e un movimento di colonizzazione
relativamente recente, qui invece la colonizzazione è stata più antica, la
popolazione è molto densa e
dislocata in villaggi relativamente piccoli, la proprietà è sufficientemente
ripartita. I comuni di questa zona sono: Montemesola, Grottaglie, Montejasi,
S.Marzano, Carosino, Monteparano, S.Giorgio, Fragagnano, Roccaforzata,
Manduria, Sava, Faggiano, Pulsano e Leporano. La prima coltura è stata quella
dell’ulivo, ma l’alta densità della popolazione ha reso possibile il
diffondersi della viticoltura che tuttavia, impiantata su un suolo
prevalentemente calcareo e roccioso, si attesta su livelli modesti di
produttività. Nei comuni più vicini alla costa “dominano le grandi proprietà e
le grandi aziende insieme alla malaria: la cerealicoltura, praticata nel modo
più primitivo, invece del vigneto”(8). Soprattutto ad Avetrana e Maruggio
domina la grande azienda granifera a coltivazione estensiva, ma si coltiva
anche tabacco nel manduriano e cotone nel grottagliese. La rete dei comuni è a
maglie strette: non sono soltanto dei dormitori contadini, ma centri
residenziali e di servizio di una popolazione agricola che mantiene stretti
rapporti con la terra: il contadino, il piccolo proprietario o affittuario o
compartecipante si tengono prossimi alla terra (vite o colture intensive). Le
abitazioni sono prevalentemente ad un piano, di tipo unifamiliare, per lo più
di due vani, di cui uno accede alla strada e l’altro, alle spalle, dà talvolta
sull’ortale, piccolo pezzo di terra in
cui si coltiva un po’ di verdura e in cui spesso si trova il gabinetto. Nei
centri maggiori vi sono abitazioni a più piani. Nella zona orientale prevale,
nella costruzione della casa contadina, la volta a botte con terrazzo
sovrastante e leggermente sporgente.
L’introduzione
della viticoltura su larga scala (grande richiesta dall’estero di un robusto
vino da taglio per conferire consistenza ai vini deboli, a partire dal 1878
l’esportazione italiana superava i 500 mila ettolitri, quadruplicando in un
triennio) produsse alla fine
dell’Ottocento una piccola rivoluzione, data una impiantazione fortemente
diversificata da comune a comune, pur trattandosi di insediamenti vicinissimi.
A Sava e Manduria la vigna è stata impiantata col sistema dell’enfiteusi nei
terreni più rocciosi e difficili, in economia nei terreni più buoni. I canoni
di enfiteusi erano molto alti, spesso doppi e anche tripli del reddito che la
terra dava quando era adibita a pascolo: “Su questi terreni rocciosi la vigna
dà al più 40 quintali di uva ad ettaro, di guisa che, tolte le spese per le
materie anticrittogamiche, il lavoro che il contadino impiega per la
coltivazione della sua vigna, può valutarsi sulla base di 60 o 70 centesimi
giornalieri”(9). Molto poco quindi, meno di quanto si sarebbe guadagnato
andando a giornata come bracciante (fino a lire 1,40 per i lavori di vigna e
fino a 2,25 per la mietitura). Malgrado gli scarsi guadagni, i contadini
mostrarono tuttavia grande attaccamento al loro lotto di terra, a costo di
sacrifici pesantissimi. L’attività enologica richiedeva anche una certa attrezzatura meccanica
e si sviluppava un’industria delle botti, dei fusti e dei tini. La tariffa del
1887 scatenò tuttavia una guerra doganale soprattutto con la Francia che doveva
pesantemente penalizzare la viticultura pugliese, rendendo difficile rimborsare
le banche dei prestiti in scadenza, con conseguente cacciata dal fondo dei
coloni non in grado di versare il canone pattuito. Si apriva così la prima
grande stagione dell’emigrazione.
Malgrado
i “contratti capestro” i contadini conseguirono dall’enfiteusi almeno due
vantaggi: poter lavorare, sia pure a tasso minimale, nei giorni di
disoccupazione, e far lievitare il prezzo dei salari (raddoppiati fra il 1902 e
il 1909). Negli altri comuni della zona, compreso gran parte del comune di
Taranto, il vigneto venne impiantato parte in economia, parte con la mezzadria
a miglioria e, in piccola parte, col fitto a miglioria di 22 o di 29 anni.
Questa trasformazione non ha fatto comunque emergere un ceto seriamente
imprenditoriale con l’introduzione di una tecnologia avanzata, tanto da poter
determinare un significativo tasso di accumulazione. Indice esemplare di tale
contesto è la quasi universalizzazione del “contratto a miglioria”, istituto definito
dal liberale Tammeo “offesa al senso morale e scherno alla civiltà del nostro
secolo”. Contratti “indegni di un popolo civile, perché da parte del
proprietario dimostrano un vampirismo senza nome”(10).
3. L’anomalia martinese
Per
completare il quadro del circondario di Taranto bisogna approfondire il caso di
Martina Franca, uno dei più grossi centri agricoli di tutta la Puglia che solo
in parte può essere assimilato ai comuni della zona viticola. Si presenta come
componente della cosiddetta “zona della popolazione sparsa” che caratterizza
alcuni comuni della provincia di Bari: Noci, Alberobello, Locorotondo,
Cisternino e Fasano (questi due ultimi faranno parte della provincia di
Brindisi, creata nel 1927). A Martina la coltura della vite prese l’avvio nel
1880, in concomitanza con la crisi della viticoltura francese distrutta dalla
fillossera: una grande trasformazione derivante dalla frantumazione di parte
dei latifondi con l’individualizzazione della proprietà. La natura del suolo,
prevalentemente roccioso, scoraggiò l’impianto in economia per carenza di
capitale, ma anche il contratto a miglioria a scadere del quale il colono non
avrebbe realizzato alcun guadagno, data la gran quantità di lavoro impiegata
per sistemare il suolo. Questa condizione determinò la diffusione
dell’enfiteusi nella sua forma più pura : un contratto che prevedeva un
pagamento dilazionato in quote e che non costringeva l’assegnatario a caricarsi
di debiti per l’acquisto del fondo. All’atto della concessione i proprietari, oltre
a liberarsi degli oneri fiscali, si assicuravano un’apprezzabile rendita in
denaro e percepivano anche un premio tanto elevato da rappresentare spesso il
valore del fondo. Da parte loro i contadini, con l’accesso alla proprietà della
terra, realizzavano un sogno secolare, passando da un’economia di sussistenza a
un’economia di mercato, trasformando la città agricola (agrotown) in parte integrante di una più vasta organizzazione
territoriale comprendente anche “altre” campagne e “altre” città (A. Marinò).
Malgrado momenti di crisi come la diffusione della peronospera nel 1895, nel
giro di pochi anni si assiste ad un cambiamento radicale del paesaggio
martinese: da colline rocciose e disseccate nasce uno dei più bei giardini di
tutta la Puglia. La superficie delle colline viene spianata togliendo i massi
più grossi e riempiendo le buche. Dove il pendio è troppo ripido si
costruiscono terrazze con muri di rinforzo, indi si sparge gran quantità di
terra presa dalla pianura. Ogni enfiteuta costruisce sul suo fondo la casa, il
caratteristico “trullo” o le “casedde” e vi si impianta con tutta la famiglia,
per cui la campagna diviene la più popolosa di Puglia.
Nel
1909 a Martina Franca su 28.000 ettari di terreno ben 10.000 sono adibiti alla
viticoltura. Questi 10.000 ettari sono frazionati fra 8.000 enfiteuti con una
produzione annua di 300.000 ettolitri di vino al prezzo medio di lire 10 (11).
Il comune diventa così quello con reddito medio per abitante più alto della
regione. Quasi ogni contadino è diventato piccolo proprietario e non si può più
imporre loro e nemmeno patteggiare il salario per il lavoro a giornata: sono
infatti gli stessi contadini che la domenica, sulla piazza principale del
paese, stabiliscono in base alla richiesta di lavoro la cosiddetta “ partita”,
cioè il prezzo del salario per tutta la settimana (12). Si tratta di una
condizione del tutto eccezionale nel generale panorama di indigenza e di
sottosviluppo che determina il passaggio dalla protesta violenta del
brigantaggio a quella silenziosa dell’emigrazione. Sarà proprio questo carattere distintivo a fare di Martina
un’oasi distaccata dal resto del circondario di Taranto: la lotta politica non
giungerà ad esprimersi in un aperto conflitto di classe, rimanendo chiusa nei
tradizionali schemi di competizione fra fazioni locali, con toni e modi di gran
lunga più blandi rispetto alle gravi tensioni caratterizzanti il resto della
regione. Per esempio, un’insurrezione a Ruvo nell’inverno del 1894 costò 30
anni di lavori forzati per 32 rivoltosi, mentre a Ceglie Messapica nell’aprile
del 1903 si sviluppava un’ impetuosa battaglia per “pane e lavoro”, con
l’occupazione di Piazza Plebiscito. Il governo rispose inviando sul posto 150
uomini armati (13).
4. Dal primato della masseria alla nuova azienda agricola
Si
tratta ora di cogliere, pur nella varietà delle situazioni precedentemente
descritte, alcuni elementi generalizzanti di tipo socio-economico che possano
conferire unitarietà al complesso territoriale preso in considerazione. Ponendo
fra parentesi l’incidenza di alcuni fattori (emigrazione interna, permanenza di
condizioni malariche, periodico imperversare della fillossera, variabili
rapporti fra braccianti, fittuari e proprietari) la masseria cede il passo alla grande azienda capitalistica
e si distingue nitidamente un processo di differenziazione tendente a semplificare la gerarchia
sociale nelle due figure dell’ imprenditore e del salariato, con la progressiva
scomparsa della media e piccola proprietà tradizionale (ferma restando l’eccezione
di Martina Franca). Si aggiunga un tratto ricorrente nella dimensione
meridionale: anche nel tarentino, all’indomani dell’unità, il grande
accaparramento di terre da parte di commercianti e professionisti aveva
lasciato quasi intatto il patrimonio terriero nobiliare, costituendosi quasi
esclusivamente a scapito dei beni ecclesiastici e demaniali. Se la penetrazione
crescente dell’economia mercantile dissolve progressivamente legami e rapporti
socioeconomici di tipo precapitalistico, d’altra parte la nuova borghesia
agraria tende ad omogeneizzarsi con la vecchia classe egemone di origine
feudale, assumendone i valori e i costumi, persino quelli più antiborghesi come
il vivere staccati dalla terra, l’ostentare disinteresse per i propri
possedimenti, il rifiutare la prospettiva di investimenti produttivi, del resto
scoraggiati da una cronica penuria di capitali.
Quanto all’incidenza della proprietà
nobiliare nel patrimonio terriero del circondario, abbiamo già fatto cenno alle
grandi estensioni olivetate della Casa Reale di Spagna nei comuni di
Castellaneta e Ginosa: la famiglia di origine feudale che possiede la maggiore
estensione di terre è quella dei D’Ayala-Valva, una delle quindici famiglie
nobili dotate dei più grandi patrimoni terrieri d’Italia (14). Le loro tenute
si estendono nella zona granifera ma soprattutto in quella viticola (S.Giorgio,
Monteparano, Carosino, Montejasi e Montemesola, arrivando sino al circondario
di Lecce). Famiglia di grande prestigio, costituisce una significativa frazione
del personale politico locale e anche nazionale: il conte Pietro, deputato per
Taranto nel primo decennio del ‘900, è membro della sottogiunta per l’inchiesta
sui contadini nelle province meridionali (membri della sottogiunta sono il
conte Pietro D’Ayala-Valva, il conte Girolamo Giusso e il prof. Domenico Porri:
due nobili su tre).
Al
di là del peso specifico della proprietà nobiliare, importa cogliere la sua
osmosi, al livello di modello culturale e pratica amministrativa, con la nuova
proprietà borghese. Questa borghesia viene a configurarsi più come “terriera” che “agraria”, concepisce
la rendita fondiaria come possibilità di condurre una vita oziosa o di svolgere
attività nell’avvocatura o nella pubblica amministrazione. Ancora nel 1947 sarà
facile denunciare come “nel campo delle professioni gli intellettuali salentini
si dedicano con preferenza, per forza di tradizione, senza la visione della
realtà contingente, agli studi letterari, agli studi legali e di medicina,
risultando ancora molto pochi coloro che esercitano la professione di agronomo
o altre professioni tecniche connesse all’agricoltura”(15). L’atteggiamento di
estraneità verso la terra e il lavoro produttivo è consolidata: ancora nel
1936, secondo le statistiche di Vincenzo Ricchioni, si rilevano dati
sbalorditivi sull’assenteismo dei proprietari (16). Certamente vanno
considerati i forti condizionamenti oggettivi che sottendono tale atteggiamento
“culturale”: determinanti sono la scarsezza dei capitali e il difficile accesso
al credito.
La
Banca d’Italia e il Banco di Napoli concedono solo grossi crediti a cui pochi
possono accedere. Nascono Banche
popolari e Società Cooperative di Credito ma, oltre ad essere del tutto
insufficienti come numero, molte di esse rimangono presto inattive per scarsa
liquidità . I consorzi agrari sono rari e con modesto capitale azionario (17) e
un’altra strozzatura deriva dal miserando sistema di comunicazioni: le strade,
poche e in pessime condizioni, sono poco più che viottoli, tanto che nei mesi
invernali è un’impresa ardita avventurarsi anche sulle strade provinciali
Taranto-Lecce e Taranto-Pulsano, che collegano la maggior parte dei paesi della
zona viticola. Qualunque scambio risulta limitato, anche fra comuni limitrofi
(18). Intanto, sullo sfondo nazionale, va sempre più divaricandosi il livello
di produttività agricola del Nord rispetto al Sud: “La produttività globale
cresce al Nord fra il 1900 e il 1913 del 2% l’anno, contro l’1% delle regioni
dell’Italia centrale e meridionale. Ma, se fosse possibile una maggiore
disaggregazione dei dati…quell’1% della produttività globale risulterebbe media
di un valore più alto per il Centro e di uno ancora più basso per il
Mezzogiorno” (19). Il sottolineare la deformazione specifica del capitalismo
agrario meridionale non deve far dimenticare che sempre di capitalismo si
tratta, di un processo che nel tarentino come altrove distrugge impietosamente
le basi stesse di un vecchio mondo contadino, statico e patriarcale, che vede
assottigliarsi la fascia dei medi proprietari non coltivatori, proletarizzarsi
ampi settori di contadini poveri, diffondersi su larga scala il lavoro
salariato (20).
5. Il contadino: una figura “ibrida”
Tende
ormai a formarsi quel pulviscolo piccolo borghese che sarà travolto dal
cataclisma della guerra e del dopoguerra. Già sul finire degli anni Dieci una
schiera di avvocati “paglietta”, medici, professori di lettere e burocrati,
vede ridursi i margini di una indipendenza economica nel passato garantita
dalla rendita fondiaria: “il ribasso dei prezzi d’affitto ha raggiunto il
massimo oltre il quale il proprietario tornerebbe al pascolo naturale”(21). Nel
contempo, alla base della piramide sociale, si delinea una sempre più ampia
fascia di salariati agricoli: già nel periodo 1896-99 “la crisi generale del
Mezzogiorno e l’accentuarsi della differenziazione capitalistica provocarono
nella zona a cavallo fra le province di Lecce e di Taranto la formazione di un
numeroso proletariato agricolo”(22). Tutto il circondario di Taranto, come le
province di Bari e Foggia, era ormai “terra di salariati”, pur considerando che
venivano qualificati come tali anche coloni e piccoli fittuari costretti ad
arrotondare il loro magro bilancio ricorrendo al lavoro a giornata: ancora una
combinazione di vecchio e nuovo (figure ibride fra giornalieri e terrazzieri)
che non faceva emergere nitidamente la figura del “bracciante classico” in
“rottura con il mondo contadino e che ha la consapevolezza di essere ormai
‘tagliato fuori’ ”(23). Al di là delle differenze, costituiva un fatto
determinante la presenza di una massa imponente di contadini espulsi dalla
terra, “liberi”, solo parzialmente riassorbibili nella grande azienda
capitalista, il cui processo di formazione su larga scala s’inceppava
periodicamente.
La
gravissima crisi che colpiva il Mezzogiorno e la provincia di Lecce nei primi
anni del secolo determinava fra il 1900 e il 1904 condizioni di vita al di
sotto della sussistenza: i contadini si chiudevano nelle loro stamberghe e si
lasciavano morire oppure cercavano di entrare in carcere per non soffrire la
fame (testimonianza del 1902 di Vito Lefemine e intervento alla Camera di
Codacci Pisanelli nel 1903). In un primo tempo, l’emigrazione transoceanica si
presentava come l’unico mezzo per scampare alla fame e ridurre l’intollerabile
pressione della “sovrappopolazione aritificiale”. Ad essa si accompagnava una
forte emigrazione interna stagionale dalla zona viticola a quella granifera, da
questa spesso nel Foggiano (24). Considerando l’aumento dei prezzi e la decadenza
dell’economia domestica, le condizioni di vita non conoscevano grandi
miglioramenti. Nel 1908, a causa della siccità, “la situazione del proletariato
pugliese - scriveva l’ ‘Avanti!’ del 13 settembre - è tale da mettere i
brividi…E’ la fame che strazia e turba i cervelli”. Da un’inchiesta svolta dai
carabinieri nel 1909 e riportata dal Presutti, risultava una generale
malnutrizione nel circondario: la dieta consisteva in un chilo di pancotto di
orzo (“frisa”) con sale e olio al mattino e la sera una minestra di legumi,
condita con poco olio, certo non sufficiente per fronteggiare la malaria. Su
133 comuni della provincia di Lecce, 119 erano infestati dalla malaria con
23.000 vittime l’anno (25).
La
situazione si aggravava proprio nei centri ove, per lo sviluppo dell’azienda
capitalistica, venivano attratti operai agricoli dai paesi vicini e si
assisteva a vere e proprie invasioni stagionali (26). Più che la tradizione
ribellistica, più che l’ostilità alle istituzioni, è la resistenza allo
sfruttamento la leva di una maturazione sociale. E’ proprio in queste zone ad
alta concentrazione bracciantile che la insubordinazione sociale è più elevata,
radicalizzata dalla irriducibile ostilità degli agrari: “I proprietari
resistono tenacemente; abituati alla lunga e tradizionale sottomissione del
contadino, non sono ancora persuasi che i contadini sono uomini come loro e
temono che questa massa amorfa ed oscura di proletari insorga in qualche
sanguinosa jacquerie, uccidendo,
depredando, saccheggiando, devastando… D’altro canto, se l’aumento dei salari e
la diminuizione delle ore di lavoro danneggiano finanziariamente i proprietari,
quel certo spirito d’indipendenza che i contadini hanno acquistato in seguito
alle agitazioni, la tenacia, spesso un po’ brutale, con cui difendono i loro
diritti e domandano il rispetto delle clausole contrattuali, irrita
profondamente i proprietari”(27).
6. Protosocialismo e leghismo
Alla
preistoria dell’organizzazione delle classi subalterne appartiene la figura
dell’anarchico Guglielmo Baldari, collaboratore de “la Plebe” e organizzatore
nel 1873 della Federazione Operaia Tarantina,
con affiliazione nelle campagne e nei paesi vicini. Legato al gruppo degli “internazionalisti” di Errico Malatesta,
partecipò al progetto insurrezionale dell’estate del 1874, incentrato su
Taranto, ove Malatesta fece pervenire un centinaio di carabine. I tarantini si
mostrarono poco favorevoli all’iniziativa, per cui il concentramento di tutti i
“sovversivi” della regione venne dirottato presso Castel del Monte. Gli “anziani” Cafiero (28 anni) e
Malatesta (21 anni) si attendevano 4.000 combattenti ma dovettero accontentarsi
del Baldari (19 anni) con altri quattro compagni di ventura. I contadini si
guardarono bene dall’appoggiare un’armata così meschina e il sogno di una
“città del sole” nascente attorno al magico Castello di Federico si spense
nelle carceri di Taranto e di Trani. Nel 1877 Baldari fondava con altri due
anarchici, Pompeo Lorea e Luigi Borghetto, alcune Società di Mutuo Soccorso e
nel 1881 dava vita alla Fratellanza
Anarchica Comunista Rivoluzionaria Italiana. Costituì una Camera del Lavoro che chiudeva i
battenti nel 1887 e si trovava a partecipare nel 1893 alla fondazione della
Federazione socialista provinciale tenutasi a Galatina. In quell’occasione
spiccava la figura del ginosino Eduardo Sangiorgio, avvocato di Taranto, città
dove un primo sciopero si era già registrato nel 1887 e si irrobustivano
associazioni come la Lega dei Ferrovieri e la Società Operaia
degli arsenalotti. Nel 1902 Sangiorgio fondava cooperative di contadini e di
braccianti a Taranto e a Solito. Nell’aprile del 1898, l’anno peggiore per il
rincaro dei prezzi e le tasse sul bestiame, durante i tumulti per il pane che
determinarono disordini a Ginosa (gennaio), Manduria e Statte (febbraio) e Grottaglie (marzo) - a Bari
veniva devastato l’ufficio della polizia municipale e l’esattoria, e bruciati
il Municipio e i casotti daziari; malgrado 500 arresti, lo sciopero generale
obbligava le autorità ad abolire totalmente il dazio sul pane - a Sangiorgio si affiancava il giovane
Odoardo Voccoli, che prese a gareggiare con Pompeo Lorea nell’organizzazione
cooperativistica (28). All’inizio di secolo il movimento operaio tarantino era
già robusto mentre il mondo rurale, pur attraversato da forti movimenti di
protesta, da Maruggio (proteste bracciantili nel settembre del ’99) a Faggiano
(lavori abusivi con preteso pagamento di 75 centesimi), da Sava a
Manduria, da Castellaneta a
Mottola (nel gennaio 1901 a Pulsano i braccianti invadono le proprietà del
medico condotto e del sindaco, pretendendo una lira, che viene pagata dal
medico ma non dal sindaco Brindisino, che fa arrestare tutti) fatica ad
organizzarsi sindacalmente (29).
Nel
1908 si contano in Puglia 73 leghe con 70.042 soci. Nel circondario di Taranto
si contano solo tre leghe: a Castellaneta con 100 iscritti, a Palagiano con 150
e 400 a Manduria (dove i braccianti e i piccoli coltivatori, organizzati nel
Partito socialista, conquistano il Comune nel 1907, esempio unico nella
provincia assieme all’appena nato comune di Palagianello). Ma l’organizzazione,
gestita essenzialmente dai sindacalisti rivoluzionari, assume presto un ruolo
di punta nella provincia di Lecce. Al congresso regionale di Spinazzola dell’8
marzo 1908, di tutto il Salento risultano presenti solo i rappresentanti di
Castellaneta e Palagianello. Al convegno di Barletta del 9 novembre
partecipano, unici rappresentanti della provincia di Lecce, Pompeo Lorea di
Taranto e Paolo Lerario, segretario della Lega di Castellaneta, che nell’anno successivo organizzerà,
congiuntamente con i lavoratori di Palagianello, una manifestazione per il 1°
Maggio sfociata in scontri con i carabinieri e 24 arresti. Ancora al congresso
di Bari dell’11 agosto 1914, unico partecipante della provincia leccese è
Davide Lange, capolega di Palagianello (30). Se altrove si diffonde il modello
socialriformista padano, in Puglia le Leghe devono fronteggiare un padronato
agrario che non ammette alcuna forma di compromesso tra le parti sociali: due
mondi contrapposti e in mezzo non c’è nulla (31). Nelle Leghe pugliesi, non
esistendo un’alternativa riformista al crudo schema della lotta ci classe,
“l’identificazione dei braccianti, dei contadini, dei lavoratori precari e
dequalificati con l’organizzazione è così profonda e completa da trasfondere
sovente nella Lega l’insieme della cultura, dei valori, dei sentimenti di
estraneità e di diversità che queste masse avevano verso i galantuomini, i
signori, i padroni, le istituzioni pubbliche e i loro rappresentanti, dal
delegato di polizia al carabiniere, dal magistrato al prete, dal politico
all’intellettuale e al giornalista. La Lega è una realtà alternativa perché
nasce e agisce in totale rottura con il sistema economico, politico e culturale
dell’ambiente circostante nel quale opera”(32).
NOTE
1)
Inchiesta parlamentare sulle condizioni dei contadini delle
province meridionali e della Sicilia. Puglia,
vol.III, tomo I, relazione del delegato tecnico prof. E. PRESUTTI, Roma 1909. Per un inquadramento complessivo:
AA. VV., La provincia di Taranto,
Taranto 1992; C. D. FONSECA (a cura di), La Provincia di Taranto tra
l’Occidente e il Mediterraneo, Taranto
1997. La prima configurazione amministrativa della provincia di Terra d’Otranto
si ha con la legge 8 agosto 1806 n.132 (promulgata da Giuseppe Napoleone) sulla
divisione e amministrazione delle province del Regno di Napoli, che veniva
diviso in 13 province a loro volta ripartite in distretti. La provincia di
Terra d’Otranto con capoluogo Lecce comprendeva i distretti di Lecce, Taranto e
Mesagne; nel 1813 veniva istituito anche il distretto di Gallipoli. Il decreto
del 2 febbraio 1861 estendeva alle province napoletane la legge del 23 ottobre
1859 sulla amministrazione comunale delle province del Regno, lasciando
inalterata la ripartizione borbonica e introducendo i circondari al posto dei
distretti, comprendenti un certo numero di comuni. Confinante con la provincia
di Bari, i mari Adriatico e Jonio e la Basilicata, la provincia di Lecce si
estende, con una costa lunga 446 chilometri, su una superficie di 685.205
ettari: di essa Taranto e il suo circondario saranno parte integrante sino al
1923 (istituzione della provincia di Taranto, detta dello Ionio fino al 1951);
cfr. C. DE GIORGI, La provincia di Lecce, Lecce 1919. Sembra che
proprio gli abitanti di Taranto siano, per consuetudine, i meno “educati
all’agricoltura”, tanto che molte opere campestri “non si eseguono per nove
decimi che da forestieri. Che se una metà sola di tante opere si eseguisse da’
Tarentini, quante migliaia di ducati, che in ogni anno si gittano fuori, non
verrebbero a diminuire, anzi, a distruggere la loro povertà?” (C. NITTI, Della
povertà in Taranto e de’ mezzi per mitigarla,
Napoli 1857, p. 23; sul progetto nittiano di un Istituto Agrario, cfr. L.
D’IPPOLITO, Le carte di Cataldo Nitti, Manduria 2005, p. 46).
2)
E. PRESUTTI,
op. cit. pp. 249-250. Agli inizi degli anni
’60 del XIX secolo i ceti dominanti pugliesi avevano vissuto l’ultimo periodo
di “un ciclo espansivo, che aveva avuto nello sviluppo della cerealicoltura e
in parte della viticultura i suoi punti di forza. Dovunque l’ondata di
dissodamenti aveva distrutto enormi estensioni di boschi, soprattutto nella
fascia collinare e murgiana interna” (L. MASELLA, La Puglia contemporanea in AA. VV., Storia del Mezzogiorno, vol. XV tomo II, Foggia 1994, p. 609. Per una visione complessiva: Le
trasformazioni socio-economiche
nel Mezzogiorno ed in Puglia, in AA. VV. Il
movimento socialista e popolare in
Puglia dalle origini alla Costituzione 1874-1946, vol. I, Bari 1985, pp.11-14).
3)
E. PRESUTTI, op. cit.,
p. 251; cfr. anche A. L. DENITTO, La crisi agraria in Terra d’Otranto
tra la fine dell’Ottocento e
l’inizio del ‘900, in AA.VV., Mezzogiorno
e crisi di fine secolo, Lecce 1978; A. CORMIO, Note sulla crisi
agraria e sulla svolta del 1887 nel Mezzogiorno in AA. VV., Problemi di storia delle
campagne meridionali nell’età moderna e contemporanea, Bari 1981. Questo peculiare modo di produzione
agricola ha potuto godere, durante il quindicennio di governo della Destra, di
una congiuntura sostanzialmente favorevole, con sostenuta richiesta del mercato
e ascesa dei prezzi. Ma le cose sono cambiate radicalmente negli anni della
Sinistra: a seguito delle importazioni di grano americano o russo la produzione
granaria nazionale è entrata in crisi, ma hanno perso colpi anche la coltura
dell’olivo e dei legumi e anche l’allevamento del bestiame. Si è registrato un momentaneo sviluppo del
settore viticolo, ma solo grazie alla fillossera che ha distrutto i vigneti
francesi (cfr. L. DE ROSA, Tra liberismo e protezionismo, in AA.
VV., La Puglia e il
mare, Milano 1984, p. 278). I produttori
d’olio, vino, seta grezza, frutta e ortaggi rimangono ostili a qualsiasi dazio
d’importazione, fidando nel libero mercato. Ma le pressioni dei grandi
produttori di grano, meglio organizzati, determinano il varo di una politica
protezionista volta ad avvantaggiare la coltura settentrionale del riso, delle
barbabietole da zucchero e della canapa, nonché la cerealicoltura del nord e
del centro, con una caduta secca dell’esportazione del vino. In Puglia
rimangono salde le rendite derivanti dalla pigra cerealicoltura estensiva, ma
la polarizzazione fra le “due Italie” si accentua irrimediabilmente ( cfr. E.
CORVAGLIA, Dall’Unità alla I guerra mondiale, in AA. VV., Storia della Puglia, vol. II, Bari 1979, pp. 142-143).
4)
“ La Voce del Popolo”, 13 ottobre 1899. Le scelte di politica
economica operate dalla Sinistra con la tariffa protezionistica del 1887
avevano contribuito indubbiamente ad accentuare la pressione sull’economia
salentina in bilico tra arretratezza e trasformazione. Paradossalmente il
settore più “moderno” rappresentato dalla viticultura, al momento della rottura
doganale con la Francia, si presentava come il più vulnerabile: venne posto un argine proprio dai settori
arretrati come la granicoltura e le colture di sussistenza. Cominciava comunque
a diffondersi una seria preoccupazione sullo “stato dell’arte”. Nel quadro di
una valutazione pessimistica, sempre sotto il segno della “emergenza”, per la
modesta competitività dei prodotti (l’olio di Massafra, molto pesante e di
acidità alterna, aveva un buon mercato solo in Russia per le lampade votive) si
suggeriva: “non vi ha che tre rimedi o meglio temperamenti: 1. Migliore
rotazione agraria, ossia, dove è possibile, la sostituzione di piante
miglioratrici; 2. Ricerca d’ingrassi che nel nostro caso è dire concimi
chimici; 3. Evoluzione dall’arte rurale (vorremmo dir mestiere) alla scienza
agraria” ( R. D’AYALA VALVA, Sogni e visioni, Taranto 1896, p. 24). Ma le forze democratico-borghesi (in genere
avvocati che si trasformano in “politici di professione”) intendono “la loro
opposizione alla politica moderata nazionale come semplice conquista dei posti
pubblici e della direzione degli enti locali, come affarismo e municipalismo
fusi insieme” (A. PEPE, La vita politica meridionale e i movimenti di massa, in AA. VV., Storia del Mezzogiorno, vol. XII, Foggia 1994, pp. 208-209). Ancora
illuminanti le parole di Giustino Fortunato, scritte al Villari nel ’75:
“Democrazia sì, ma nel significato spartano: democrazia per gli uomini e non
per gli iloti: e qui gli iloti sono appunto i contadini” (ivi, p.213). Quei contadini che riprendono sempre da
capo il loro travaglio di “formiche”: “La Puglia deve la sua rigenerazione
economica, tutta la trasformazione agricola a questi cafoni, ai contadini, ai
proletari, ai pezzenti, ai veri figli della terra, nulla o quasi ai
proprietari” (G. Tammeo).
5)
E. PRESUTTI, op. cit.,
p.737. Nella zona occidentale resiste più a lungo il latifondo e l’unità
produttiva di base rimane la classica masseria. La popolazione tende ad
addensarsi in pochi grossi centri, non sempre prossimi ai luoghi di lavoro. Vi
sono importanti elementi abitativi secondari: i sassi (particolarmente diffusi presso Ginosa e Laterza ma
anche presenti ad oriente nella zona di Grottaglie) sono abitazioni scavate
nella roccia, per lo più nell’arenaria tufacea. I lamioni (presenti in tutto il circondario) sono tuguri ad un
solo vano, di forma quasi sempre quadrata. Caratteristica della fascia
occidentale è anche la gravina,
profondo solco del rilievo murgiano e premurgiano.
6)
Ivi, p. 250. A Mottola la distruzione degli ultimi ettari di
bosco, sfuggiti fino allora all’accetta, apparve ai Duchi di Sangro la
soluzione migliore per mantenere inalterati i livelli delle entrate. Il sistema
usato, per giunta, quello di “capitozzare gli alberi” , ne impedì la crescita
prima di trent’anni: “il danno alle condizioni ambientali del luogo fu enorme”;
L. MASELLA, La difficile costruzione di una identità (1880-1980) in AA. VV., Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità ad oggi. La Puglia, Torino 1989, p. 295, n. 26.
7)
Lettera di Engels a Turati del 26 gennaio 1984, citata in E.
SERENI, La questione agraria nella
rinascita nazionale italiana, Torino 1975,
p. 84. “I latifondisti numericamente sono un’infima minoranza, e per tenersi su
hanno bisogno dei voti della piccola borghesia…I due alleati si distribuiscono
da buoni amici il terreno da sfruttare; i latifondisti si prendono il
Parlamento e la piccola borghesia lavora nei consigli comunali”; G. SALVEMINI, Movimento
socialista e questione meridionale, Milano
1973, p. 82.
8)
E. PRESUTTI, op. cit.,
p. 260. Nelle terre di Sir James Lacaita, la viaggiatrice Janet Ross nel 1887
ha annotato : “Gli utensili agricoli sono assolutamente primitivi: la vanga è
sconosciuta e tutto il lavoro viene fatto a mezzo di una corta zampa ricurva.
La terra e le pietre vengono trasportate, come in Egitto, in panieri sovra una
spalla, ed ogni paniere contiene sino a una quindicina di palate di terra.
Invano cercai di convincere un contadino a Leucaspide della convenienza di
usare piuttosto una carriola pel trasporto del materiale; egli trovava che la
cosa era ‘troppo complicata’, e concluse con questa teoria conservatrice: ‘I
nostri vecchi hanno sempre usato il paniere; se era buono per loro, sarà buono
anche per noi’. L’aratro, pesante solo otto o dieci libbre, consiste in due
stanghe ricavate da due esili tronchi di olivo o di leccio, tagliato
rusticamente con una accetta, che a mala pena scalza la terra… Nessun solco per
l’irrigazione delle acque; solo delle conche o fosse scavate intorno ad ogni
albero di ulivo o di carrubo, per riunirvi ‘acqua benedetta’ quando piove”. La
Ross rimane affascinata dalla ballata della “Pizzica-pizzica”, con
accompagnamento di violino, chitarra battente, tamburello e cupa cupa. Su questa tradizione musicale nel tarantino, cfr.
C. PETRONE (a cura di), La Taranta da Taranto e dintorni, Taranto 2002.
9)
Ivi, p. 261. Vedi la caratterizzazione del piccolo proprietario in V. ROBLES, Il movimento cattolico pugliese
(1881-1904), Bari 1981, pp. 31-32.
Nell’agosto del 1902 a Manduria, per eseguire lavori di scasso per l’impianto
della vigna, un proprietario offriva al massimo 60 centesimi giornalieri:
“Siccome coloro che si offrivano erano moltissimi, dichiarò che non avrebbe
accettato se non giovani robusti con non meno di 20 e non più di 30 anni di
età” (E. PRESUTTI, op. cit., p.
261). E’ in tali condizioni che scoppiarono i gravi tumulti del 6 agosto,
nonostante la mediazione dei socialisti Cosimo Palumbo e Ignazio Scalinci ( il
primo costituì la sezione socialista di Manduria nel 1901 organizzando nel 1902
due leghe di contadini e muratori; partecipò al congresso tenutosi a Brindisi
nell’ottobre 1905 e collaborò al quindicinale “La Fiaccola” pubblicato a
Manduria fra il 1906 e il 1907 mentre il secondo, unico rappresentante pugliese
eletto membro della Direzione socialista nel congresso di Roma del 1906,
divenne sindaco di Manduria nell’agosto 1907); cfr. A.S.L., Pref., Gab., Cat.
28, Fasc. 3530, rapporto del sottoprefetto di Taranto in data 2 gennaio 1902;
A.C.S., Min.Int., D.G.P.S., Gab. 1903-1905, b. 37, fasc. 72, Lecce. Partito Socialista, Rapporto del prefetto in data 24 ottobre 1905; F.
PEDONE (a cura di), Il Partito Socialista Italiano nei suoi congressi, vol. II (1902-1917), Milano, 1961, p.77. Durante un
comizio le forze dell’ordine spararono sulla folla affamata provocando alcuni
feriti e 51 arresti tra cui alcune donne, “le più ardite e audaci”. Il
prefetto, per evitare la moltiplicazione dei tumulti, impegnò i proprietari a
dar lavoro per 75 centesimi al giorno; A.S.L., cit., fasc. 3350, lettera del 9 agosto 1902; cfr. anche I
fatti di Manduria, in “Corriere Meridionale”,
Lecce, 14 agosto 1902 e “Il Riscatto”, 15 gennaio e 1 febbraio 1903.
10)
A. TAMMEO, I contratti agrari e la crisi pugliese, Napoli 1890, p.113; cfr. E. CORVAGLIA, Dall’Unità
alla I guerra mondiale … cit., pp. 138-140.
Tammeo proponeva una sorta di “compartecipazione”, ancora in chiave
filogiacobina, attraverso il riconoscimento del diritto al risarcimento delle
migliorie apportate dal lavoro contadino( cfr. L. MASELLA, op. cit., p. 297; anche F. BUONERBA, Le condizioni
economiche e sociali della provincia di Lecce,
in “La provincia di Lecce”, 1 maggio 1904. Permane la concordia discors fra l’economia viticola e quella cerealicola:
coesistono mantenendo un contrasto irriducibile che “dominerà la società
pugliese per quasi un trentennio, fino a dar luogo a schieramenti
politico-sociali contrapposti (‘progressista’ quello vinicolo, ‘conservatore’
quello granario)”; A. CORMIO, Le campagne pugliesi nella fase di transizione (1880-1914) in La modernizzazione difficile, Bari 1983, p.149.
11)
Cfr. E. PRESUTTI,
op. cit., p.138. Nel 1901 su
25.287 abitanti ben il 30, 50% vive in campagna e la proprietà, secondo i dati
del Presutti, risulta così ripartita: 1. grande proprietà (in media 350 ettari
a corpo) = 19%; 2. media e piccola proprietà (in media 37,9 ettari a corpo) =
17%; 3. piccolissima proprietà (in media 2,8 ettari a corpo) = 64%. Sulle
costruzioni a trullo, cfr. N. SANTORO, La sua casa è la terra, in “Quotidiano”, 30 agosto 1984. Progressivamente
Taranto verrà parzialmente sostituita, nella sua funzione urbana e commerciale,
da Martina nel suo rapporto con Bari e da Manduria nel rapporto con Lecce.
12)
Ivi, pagg.137, 138, 143. Cfr. M. PIZZIGALLO, La vita
pubblica a Martina nell’età liberale,
Fasano 1973 e Uomini e vicende di Martina, Fasano 1986. I lavoratori della terra si costituiscono in Associazione
Agricola nel 1881 ad opera del ricco
possidente Domenico Casavola ma, del tutto controllato dai proprietari, il
sodalizio si esaurisce senza alcun costrutto. Fortuna non diversa hanno la
Società costituita nel 1890 dai figheriani e quella costituita dai grassiani
nel 1891. Tali associazioni, a partire dalla Società operaia di M.S., sono strumentalizzate da due fazioni della
consorteria liberale, l’una facente capo ad Alessandro Fighera (i “crumiri”) e
l’altra a Paolo Grassi ( i “pipistrelli”) : una violenta faida paesana durata
mezzo secolo, nella quale si trovano coinvolti anche socialisti e cattolici;
cfr. A. MARINO’, Il movimento operaio e la questione agraria in un
comune del Sud (Martina Franca
1872-1930), Fasano 1978, pp. 31-40.
Memorabile la zuffa nel giorno di Pasqua del 1884: il Pipistrello Colucci venne
pugnalato alle spalle mentre il Krumiro Bello ebbe la giacca forata da uno dei
cinque colpi di revolver che erano stati esplosi; Cfr. “Rinnovamento”, 12 giugno
1884; A.S.L., Cat. 28, tutto il Fasc. 2735 , Martina Franca 1884/85 ordine pubblico è relativo ai disordini avvenuti il 13 aprile 1884.
Un tale contesto non propizia il superamento della diffidenza tra i lavoratori
della città e quelli del contado, per cui allo stesso Presutti “risulta che a
Martina non vi sono associazioni di mutuo soccorso cui partecipano i contadini
né vi sono cooperative tra contadini”.
13)
Cfr. P. MITA, Rosso Novecento, Lecce 2008, p.75. Città di tumulti era Massafra: una prima protesta avvenne
nel 1873, per la mancata assegnazione di terre demaniali da parte del sindaco
Scarano, ma più grave fu la rivolta del 27 luglio 1884 per la mancata
esecuzione di opere pubbliche previste da un lascito testamentario; il
Municipio venne incendiato da operai e artigiani che cercarono anche di
liberare i carcerati dalle prigioni ( cfr. “Il Propugnatore” del 3 agosto 1884)
. Un’altra sommossa avvenne il 26 marzo 1903 per lo sgravio delle imposte
daziarie dato il mancato raccolto oleario: 9 soldati vennero feriti e il capo
guardia campestre salvò la pelle a stento; cfr. “ La Voce del Popolo”, 2 aprile
1903 e anche il nostro Promesse elettorali, in “La Gazzetta del Mezzogiorno”, 23 maggio 1985. Un altro tumulto
per questioni di tasse: La sommossa di Laterza, in “La Voce del Popolo”, 1 gennaio 1893. A
Grottaglie i contadini zappavano nei fondi senza autorizzazione, inducendo il
Municipio a deliberare lavori urgenti. Anche nella borgata di Talsano i
contadini si recarono nel fondo del signor Amelio, il quale chiese l’intervento
dei carabinieri. Il conflitto venne sedato dal Delegato Sindaco Monaco, che
fece lavorare i contadini nei suoi fondi; cfr. La fame!! , in “La Voce del Popolo”, 6-7 maggio 1893.
14)
Cfr. E. SERENI, La questione agraria nella rinascita
nazionale italiana, Torino, p. 93. Le
relazioni tra proprietari e contadini non esprimevano una libera economia di mercato, ma i tratti di una società
autoritaria, segnata dal dominio personale di grandi e medi possessori di terra
sul resto della popolazione. Pochi attrezzi e qualche scorta di sementi
bastavano a mandare avanti estesi possedimenti grazie a contratti misti di
colonia e di piccolo affitto e di breve durata.
15)
N. MARIANO, La potenzialità economica e finanziaria del
Salento, Lecce, 1947, p.72. Più che la
ricerca di nuovi capitali si incrementava lo sfruttamento del lavoro contadino
mediante i vecchi contratti di miglioria. Del resto negli anni ’80 erano circa
10.000 gli avvocati e i procuratori e quasi altrettanti i laureati in legge
sparsi nelle amministrazioni, mentre l’università sfornava solo 1.500 laureati
all’anno e giustamente Nitti la definiva una “fabbrica di spostati e faziosi…
che non hanno nulla di ciò che occorre per produrre”; in L’Italia
all’alba del secolo XX, Torino-Roma 1901,
pag. 192 e 200.
16)
Cfr. V. RICCHIONI, L’economia dell’agricoltura pugliese, Bari, 1940, p.196. Mancava un processo di
diffusione su vasta scala di più aggiornate rotazioni colturali, l’introduzione
di nuove sementi, l’impiego di attrezzi meccanici e di concimi, un miglioramento
dei servizi e delle infrastrutture agricole.
17)
Il consorzio più
importante, fondato a Manduria nel 1901, nel 1913 conta solo 495 soci con un
capitale azionario di 29.050 lire e un fondo di riserva di 52.060 lire (cfr. N.
MARIANO, op. cit., p.121). Le sterili
annate di fine ‘900, fra fillossera e peronospera, innalzamento dei dazi e dei
trasporti, riducono a mal partito i piccoli produttori, non riuniti in Società
di alcun genere (“La Voce del Popolo”, 13 ottobre 1899; F. MARZANO, Le
condizioni economiche della
Provincia di Lecce, Lecce 1903, p. 5 e 7).
L’unica fonte di credito continua ad essere costituita dagli usurai, che
impongono tassi di interesse da un minimo del 25% (i “generosi”) a un massimo
del 120% (le “iene”) (cfr. “ La Voce del Popolo”, 24 giugno 1900, 29 gennaio
1909, 13 marzo 1913). A Massafra sembra più conveniente il servizio offerto
dalla Cassa di Prestanza
Agraria (1879) che prestava soldi dietro un
corrispettivo di pegno in oggetti d’oro, argento e rame (valutati per l’80% del
loro valore) o titoli e cambiali con un interesse del 6%. La pratica
dell’usura, per l’alto incremento assicurato, immobilizza comunque capitali
consistenti, scoraggiando un loro possibile impiego nell’agricoltura.
18)
La “cattiva
viabilità” viene indicata come un serio impedimento per l’economia mercantile
dalla “Voce del Popolo” del 2 gennaio 1901, ma durante tutta l’età giolittiana
non si riscontrano significative migliorie. Solo nel 1914 verrà aperta la linea
ferroviaria Taranto-Bari, ma ancora nel 1948 mancherà un collegamento
ferroviario con Taranto per 18 comuni su 27; cfr. N. D’AMMACCO, Il commercio
in terra ionica, Taranto 1948, p.11. Una
testimonianza di carrettieri palagianesi in AA.VV., Tasselli di
storia palagianese, Manduria, s.d., p.109 :
“Tra la fine di giugno e i primi di luglio, quando maturava il pomodoro, poiché
non c’era possibilità di vendita in loco, essendoci anche molta produzione, due
o tre volte la settimana, portavo carichi di pomodoro a Taranto. Di solito
partivo con il mio carico di cestoni verso la mezzanotte, per essere al mercato
verso le quattro del mattino. I cestoni li legavo, non solo con funi, ma anche
con fili di catene…costituivano l’antifurto di oggi”. Il canto dei trainieri
costituiva un autentico “paesaggio sonoro” di voci lanciate in sequenza, un
“gancio acustico” che legava incitazioni agli animali e formule di saluto ai
passanti; cfr. M. AGAMENNONE, Musiche tradizionali del Salento, Roma 2005, pp. 56-57.
19)
V. CASTRONOVO, in Storia d’Italia, vol. IV, tomo I, Torino 1975, p.143. Questo
contesto rende più comprensibile il costante processo di uniformazione della
nuova borghesia pugliese al modus vivendi della vecchia classe proprietaria: “la borghesia agricola meridionale
era, insomma, un ceto sociale ben diverso - per attitudini imprenditoriali, per
relazioni con il mercato o per supina acquiescienza ad anacronistici contratti
di locazione delle terre - dalle classi medie che nelle campagne del Nord si
stavano facendo avanti negli stessi anni, grazie all’ammodernamento dei metodi
produttivi e ad autentiche capacità innovatrici” (ivi, p. 57).
20)
Acuta è la
diagnosi del Presutti: “in fondo è tutto un mondo che crolla, tutta un’antica
concezione della vita che scompare. I medi proprietari che hanno costituito e
costituiscono tutt’ora la classe dominante non hanno saputo per la maggior
parte adattarsi al nuovo sistema di vita. L’intensificarsi dei bisogni,
l’aumento dei salari li riducono alla rovina. In realtà le loro risorse sono
sempre state molto limitate, oggi sono disperate. Essi potrebbero salvarsi ad
una condizione sola, quella di scendere di un gradino la gerarchia delle classi
sociali, tornando ad essere proprietari coltivatori. E’ un sacrificio di
vanagloria, il più doloroso per uomini del Mezzogiorno e quindi non lo fanno. Essi
saranno travolti dalla crisi”; E. PRESUTTI, op. cit., p.738.
21)
Ivi, p. 254. Già
prima del conflitto questi ceti si presentano come “fossili sociali”,
indeboliti anche nel tradizionale ruolo di “controllo personale” che
esercitavano sui contadini all’interno del vecchio blocco agrario: tende ad
alterarsi anche la tradizionale funzione “intermediaria” rispetto all’apparato
statale, nei cui confronti si manifesta una crescente ostilità. Parlando
proprio della zona tarantina, dove la classe dei medi proprietari “tende a
sparire”, il Presutti annota come sia “diffusissima la convinzione che il
Governo voglia la fine della media proprietà” (ivi, p.166) e ancora:”Moltissimi pensano che, per i
proprietari contro i contadini, sia il Re, il quale sarebbe come prigioniero
del suo Governo… e uno di essi, rammentando che il Re a Catania si era
interessato di un tentativo di aratro automotore, interpretava questo
interessamento del Re non come un interessamento per una cosa che costituirebbe
un grande progresso della tecnica agricola, ma sibbene come un interessamento
del Re per le sorti dei proprietari nelle lotte che costoro sostengono contro i
lavoratori!”(ivi, pp. 604-605).
Il blocco agrario tradizionale visse la fine dell’età giolittiana come “un
tramonto rapido e malinconico ma non privo di toni violenti che costituì anche
il crepuscolo di un vecchio mondo provinciale ormai in disfacimento”; F.
GRASSI, Il tramonto
dell’età giolittiana nel Salento, Bari
1973, p. 6.
22)
E. SERENI, Il
capitalismo nelle campagne, Torino 1968, p.
336. Nella parte nord-occidentale del circondario, il bracciantato era diffuso
anche da più tempo e comunque, nel 1909, la percentuale dei salariati
giornalieri era del 63,80% nel circondario di Taranto contro il 64, 46% nella
provincia di Foggia, il 60,88% nella provincia di Bari e il 57,37% in quella di
Lecce. Nel Comune di Taranto la percentuale risultava la più elevata: l’88,31%;
cfr. E. PRESUTTI, op. cit., pp.
275-276. Ciò che caratterizza il bracciante è la precarietà riguardo al tempo e
al luogo di lavoro e al guadagno: 80 giorni di disoccupazione, minimo, più 60
giornate festive; precaria la sua abitazione; precario il suo cibo. Sarebbe una
beffa parlare di rapporti sociali del bracciante: l’unico rapporto che egli
conosceva era quello del mercato delle sue braccia, dove veniva considerato
alla stregua di un animale”; V. ROBLES, op. cit., pp. 33-34.
23)
G. PROCACCI,
La lotta di classe in Italia all’inizio del secolo XX, Roma 1970, p. 83. Nella zona granifera, nei comuni
di Mottola, Castellaneta e Palagiano dove la proprietà è molto concentrata, la
figura del salariato manteneva ancora qualche vincolo tradizionale con il
padronato ma la sua mentalità evolveva già verso forme di indipendenza e di
distacco. Nella zona viticola invece, con proprietà abbastanza ripartita e
frequenti contratti a miglioria, il salariato tendeva a somigliare al
“contadino senza terra”, cioè un ex contadino che aspirava a tornare tale
riconquistando il pezzo di terra con un’eredità o con alcuni anni di migrazione
in America . Diverse figure sociali - piccolo proprietario, fittavolo,
mezzadro, giornaliero - potevano essere “ compresenti in una singola figura di
lavoratore” ; G. C. DONNO, Il P.S.I. nel Mezzogiorno: note sulla
organizzazione politico-sindacale (1900-1915)
in Il movimento socialista e popolare… cit., p. 31.
24)
Il più illustre
emigrante di Castellaneta è quel Rodolfo Alfonso Raffaele Pierre Filibert
Guglielmi che, prima di diventare Rudy Valentino, frequentò la scuola d’asilo
delle “signorine” Maria Ausilia e Concettina Perrone; cfr. A. MICCOLI, Andare
a scuola a Castellaneta, Taranto 2006, pp.17-18 e anche A. MAFFEI, Sotto
il segno di Valentino, in “Quotidiano”, 7
dicembre 1983; L. PANTALEO, Rodolfo Valentino, Taranto 1995; R. NISTRI, Alla corte di
Rodolfo, in “Voce del Popolo”, 1 dicembre
2008. L’emigrazione esterna contribuisce a far lievitare i salari: stazionari
intorno a una lira fino al 1901, nel 1908 raggiungono le 5 lire per lavori
speciali in tempo di mietitura a Laterza, Castellaneta, Ginosa, Mottola e Taranto,
per una giornata lavorativa di 10 ore; da 2 a 3 lire nella zona viticola e a
Martina Franca con giornata lavorativa di 9 ore (cfr. E. PRESUTTI, op.
cit., p. 325). L’emigrazione interna
contribuisce a formare un livello più omogeneo di mentalità e di coscienza
sociale: per esempio, “diminuiscono gli obbligati ad anno poiché i contadini
preferiscono non obbligarsi per poter fruire di più alti salari, piuttosto che
prendere un lucro sicuro più esiguo. Questa è una tendenza sensibile
soprattutto nella zona granifera” (ivi, p. 286). A Massafra, all’inizio della stagione olearia, il “caporale”
reclutava in piazza (la manodopera femminile veniva reclutata a domicilio) ma
giungevano anche dal leccese centinaia di operai specializzati, chiamati li
puoppete. I frantoiani sgobbavano da
mattina a sera, lesinando anche sul riposo domenicale; cfr. P. CATUCCI, Frantoi
ieri e oggi a Massafra, in “Voce Nostra”, dicembre 1962. Su questi
spostamenti informa “La Voce del
Popolo” del 28 giugno 1901: “I nostri contadini, che fa ritorno dalla Calabria
e dalla Basilicata, ci assicurano che in quelle regioni la raccolta del grano è
stata così abbondante che…la capienza dei magazzini, per contenerlo è
insufficiente… Soltanto dai comuni di Lecce, di Francavilla Fontana, di Taranto,
di Lizzano, di Fragagnano, di Manduria e di Grottaglie, se ne sono recati a
Bernalda, Pisticci, Ferrandina e Rotondella ben 1800!... Molti contadini…sono
rimasti, preferendo i 16 soldi e il piatto, anziché la fame e la miseria”. Cfr.
anche E. PRESUTTI, op. cit., p.
543 e p.706.
25)
Cfr. F. GRASSI, op.
cit., p.102. I contadini mangiavano carne
quattro o cinque volte all’anno (cfr. E. PRESUTTI, op. cit., pp. 480-481) stringevano la cinghia e, quando non
c’era pane, qualcuno “nascondeva nel manilone (un ampio tovagliolo) una pietra al posto di una
colazione. A questi poveretti toccava, a mezzogiorno, andarsene lontano dagli
altri per celare, dietro un albero, la pietra della fame e della vergogna” (F.
LADIANA, La pietra della
fame, Massafra 1984, p. 90). Come cinicamente
descrive l’Apostolico Orsini, “decine di migliaia di uomini cadono ogni anno in
sofferenza, in prostrazioni, in fiacchezza, dando un minor rendimento al
lavoro. A ciò si aggiunga il perturbamento, l’onere che porta a tutta la
compagine sociale il trascinare tutta questa massa di malati, quasi tutti
caduti in miseria, che ingombrano ospedali e ospizi e che ingrossano le schiere
di accattoni; tutta una popolazione malata, infiacchita, che pesa materialmente
e moralmente sulla regione” (G. APOSTOLICO ORSINI, Relazione
illustrativa del bilancio della provincia di Lecce. Esercizio 1915, Lecce 1915, p. 57). Diffuse sono le epidemie di tifo,
difterite, vaiolo, tubercolosi, che allignano in case ospitanti 7-8 figli ma
anche animali da cortile e da soma, che sono “tuguri angusti, umidi e spesso
anche sottoposti al livello stradale, nei quali ammassati in nauseante
promiscuità, vivono individui odoranti di graveolenza della miseria e del
luridume” (S. RICCIARDI, La malaria nel Mezzogiorno d’Italia, Bari 1915, p. 25. Febbri “miasmatiche” si
registravano nella zona Cagiuni e nelle paludi di S. Brunone e Taddeo, mentre
il fiume Tara, per un raggio di dieci chilometri fra Taranto e Massafra,
generava paludi con febbre terzana e quartana; cfr. C. GALASSO, Febbri
miasmatiche nel tarantino, in Taranto pel varo della “Puglia”, 18 settembre 1898).
26)
“In una
stanza vive di solito l’intera famiglia e talvolta in certi periodi due o tre
famiglie insieme, e sono rari gli esempi di case di due camere per una famiglia
e rare le stalle adibite per gli animali. Ma ciò che è addirittura
inconcepibile per una regione civile è quello di vedere in gran parte di essa
esservi un numero considerevolissimo di abitazioni sotterranee e
semisotterranee, malsane e nocive, ove si addensano le famiglie dei contadini
coi rispettivi animali. L’aria e la luce non vi penetrano che per la porta, che
sta mezzo al di sotto e mezzo al di sopra della strada; dalla quale si accede
alla casa per mezzo di una scala di dieci o dodici scalini” ( E. PRESUTTI, op.
cit., p. 498). Preoccupanti a Massafra gli
indici di mortalità infantile (da 0 a 5 anni): indicavano mediamente il 50%
delle morti totali con 209 decessi nel 1907. L’ufficiale sanitario Stefano
Tramonte denunciava la precarietà delle condizioni igieniche: nelle case-grotte vi era un’unica apertura per l’aria e lo stesso
lavatoio serviva per le bestie e le persone. In alcuni infelici tuguri
“giacevano il tifoso, il tubercoloso, fra i lamenti e i panni sudici della
puerpera”. Le molteplici infezioni erano tanto diffuse da creare preoccupazioni
anche nei “palagi signorili”. Per le strade girava la carrizza che era un traino-botte, dove ogni mattina si
svuotavano i cantri maleodoranti,
che venivano riversati come concime negli orti di campagna ; cfr. F. LADIANA, op.
cit, pp.16-17; E. PRESUTTI, op.
cit., pp. 603-604.
27)
Giustamente il Presutti parla nel contempo di “spirito
d’indipendenza” e “massa amorfa ed oscura”: si tratta di una composizione
proletaria che ha già dato prova della propria combattività e radicalizzazione,
partecipando allo sciopero generale nel settembre del 1904 (cfr. R. DEL CARRIA,
Proletari senza rivoluzione, vol. II,
Roma 1975, p. 182) ma la coscienza sindacale e politica è ancora men che
modesta; cfr. S. COPPOLA, Leghe contadine nel basso Salento, Lecce 1977; A. PEPE, Il sindacalismo
pugliese nel primo Novecento, in Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità
ad oggi. La Puglia, Torino 1989,
pp.788-789. Non si tratta di una stabilizzata classe di braccianti agricoli
quanto di un variegato ceto di giornalieri di campagna, spesso al contempo
piccoli proprietari o conduttori di particelle fondiarie: “Sono le crisi
congiunturali ricorrenti ad alimentare in queste aree la spinta
associazionistica, che appare pertanto prevalentemente di carattere difensivo
rispetto a magri livelli salariali ed occupazionali… Allorquando, invece, la
congiuntura di mercato ritornava favorevole, la compagine proletaria si
disgregava in una corsa all’acquisto o al fitto di piccole quote, finalizzate
molto spesso al semplice sostegno dei consumi familiari” ; G. C. DONNO, Associazionismo
e lotte sociali nel Mezzogiorno in G.
CINGARI e S. FEDELE ( a cura di) , Il socialismo nel mezzogiorno
d’Italia 1892-1926, Bari 1992, p. 323.
28)
Sul filone
mitteleuropeo del socialismo pugliese, cfr. N. WRONA, Il socialismo made in Puglia,
in “Quotidiano”, 18 maggio 1986. Su anarchici e socialisti: A. LUCARELLI, Guglielmo
Baldari, in “Umanità Nova”, 14 marzo 1948;
su Pompeo Lorea, R. NISTRI, Quell’impeccabile piemontese che “salvò”
il Mar Piccolo, in “Quotidiano di Taranto”, 5 novembre 1982 e
A.C.S., Casellario politico centrale, Fasc. 2836. Sia Baldari che Lorea furono
iscritti alla Massoneria; cfr. A. MOLA, Massoneria e socialismo nel
Mezzogiorno in G. CINGARI e S. FEDELE …
cit. ; A. LUCARELLI, Carlo
Cafiero, Trani 1947, p. 46; P.C. MASINI, Storia degli anarchici da Bakunin a Malatesta, Milano 1970, pp. 204-205; E. SANTARELLI,
Il socialismo anarchico in Italia, Milano 1973; N. CIMAGLIA - M. SPAGNOLETTI, Dall’insurrezionismo
anarchico alla crisi di fine secolo (1874-1900)
in AA. VV., Il movimento socialista e popolare in Puglia dalle
origini alla Costituzione 1874-1946, vol. II, Bari 1985; M. CANCOGNI, Gli
angeli neri. Storia degli
anarchici italiani, Firenze 1994, p. 39; Gli
albori del socialismo nel
Meridione secondo i documenti
dell’Archivio provinciale di Trani, in
“Movimento operaio”, a. III, n.17-18, giugno-settembre 1951; G. TREVISANI, Il
processo di Trani contro gli
internazionalisti, in “Movimento Operaio”,
a. VIII, n. 5, settembre-ottobre 1956; Archivio di Stato di Lecce, Prefettura
Gabinetto, Cat.28, Fasc. 3480 e 3481. Sul partito socialista: C. PASIMENI, Sangiorgio
Edoardo, in F. ANDREUCCI - T. DETTI, Il
movimento operaio italiano.
Dizionario biografico, vol. IV, ad
nomen e “Taranto oggi/domani”, 15 aprile
1978; C. G. DONNO, Classe operaia, sindacato e Partito socialista in
Terra d’Otranto 1901-1915, Lecce 1981; C. G. DONNO (a cura di), Socialisti
nel Mezzogiorno - Vito Mario
Stampacchia e le lotte politico-sociali in Puglia nell’età giolittiana, Lecce, 1982, p. 64; M.
MAGNO, Galantuomini e proletari in
Puglia, Foggia 1984; R. NISTRI -
F. VOCCOLI, Sovversivi di Taranto. La vita e le battaglie di Odoardo Voccoli, Taranto 1987. Sull’associazionismo operaio e
contadino: C. G. DONNO, Mutualità e cooperazione in Terra d’Otranto
(1870-1915), Lecce 1982, p. 51; D. IVONE, Le
società operaie di mutuo soccorso nella città meridionale nella seconda metà dell’Ottocento, in “Clio”, a. XVIII, 1982, n.2.
29)
Sui moti di
Grottaglie, con 23 arresti; cfr. “La Voce del Popolo”, 17 marzo e 1 giugno
1898. Torpore a Taranto: “Troppa calma abbiamo noi altri del tarentino, che
tutto sopportiamo in santa pace e che a tutti e a tutto ci rassegnamo. Qui la
fame era ed è pur minacciosa e spaventevole, eppure non un lamento, non un
clamore, non una protesta; tutto è silenzio, silenzio profondo e gelido” (“La
Voce del Popolo”, 30 gennaio 1898).
Su Maruggio, A.S.L., Pref., Gab., Cat. 28, Fasc. 2762, 1899-1900,
Maruggio. Ordine pubblico; su Faggiano,
A.S.L. , cit., Fasc. 2758,1899, Faggiano, Ordine pubblico; su Pulsano, A.S.L., cit., Fasc. 3349, rapporto del
sottoprefetto in data 25 gennaio 1901. Il sottoprefetto, segnalando
l’attivissima propaganda” svolta dai socialisti tra gli operai tarantini,
sottolinea il fatto che “ora si tenta di correre le frazioni ed i comuni
agricoli per allargare le loro file fra i disoccupati ed affamati contadini…
L’avvocato Sangiorgio spera in questo periodo di generale sconforto per
mancanza di lavoro e per miseria di fare molti proseliti specie nei contadini
ed a ciò tendono i suoi sforzi sia in Ginosa che a Massafra e Martina Franca”
(A.S.L. Pref., Gab., Cat. 28, Fasc. 3530, rapporto del sottoprefetto in data 2
gennaio 1902). Il prefetto di Lecce esprime le sue preoccupazioni per i disordini
derivanti dalla crisi agraria (A.S.L., Prefettura, Gab., Cat. 28, Fasc. 3347,
telespresso al Ministero dell’Interno) e il sottoprefetto si era già attivato
invocando sussidi governativi alle cucine economiche dei comuni e sollecitando
i lavori di costruzione dell’ospedale militare e della caserma di artiglieria,
per risollevare le condizioni “disagiatissime anzi addirittura pietose del
circondario”; A. S.L., Pref., Gab., Cat. 28, Fasc. 3349, Circondario
di Taranto: provvedimenti per
sovvenire le classi bisognose.
30)
Cfr. M. PISTILLO,
Giuseppe Di Vittorio 1907-1924, Roma 1973,
pag. 65, 69, 136. Il 13 ottobre 1908 il sottoprefetto di Taranto esprime al
prefetto di Lecce la preoccupazione per il crescente successo della propaganda
socialista fra i contadini di Castellaneta, Palagianello, Manduria, Massafra e
Mottola. A Manduria, la cui economia viticola permette al massimo una mercede
giornaliera di 60 centesimi, si registra l’unico esempio di Ufficio municipale
del Lavoro. I proprietari vedono le leghe come il fumo negli occhi e “si
lagnano del contegno del Governo, dal quale pretenderebbero lo scioglimento
delle Leghe e l’arresto dei capi. E nei primi tempi delle agitazioni, quando da
Roma venivano ordini per una politica di libertà, viceversa in alcuni luoghi si
praticava una politica diametralmente opposta. I funzionari di P.S., legati da
vincoli di parentela e di amicizia con i proprietari, molto spesso,
contrariamente alle istruzioni del Governo centrale, esercitavano un’azione
diretta a soffocare il movimento proletario” ( E. PRESUTTI, op. cit., p. 606; sulla contrapposizione irriducibile, senza
la possibilità di ricorrere a circuiti compensativi, cfr. A. LUCCI, Organizzazione
dei contadini e resistenza dei proprietari con riguardo specialmente alla Puglia,
Milano 1902; G. C. DONNO, Socialismo e modernizzazione, Manduria-Bari1988).
31)
“Oggi sussiste tuttavia e sussisterà ancora per molto tempo
questo stato di periodiche agitazioni proletarie, che vanamente i proprietari
sperano di far cessare con i mezzi di lotta da essi adoperati e che invece si
intensificheranno sempre più con l’accentuarsi della emigrazione transoceanica.
Con l’estendersi di questa si avrà invero un ulteriore rialzo dei salari. E
questa tendenza naturale…creerà una condizione di cose favorevole al prosperare
delle leghe. I successi che queste riporteranno, più che per la loro forza
intrinseca, per le cambiate condizioni del mercato locale della manodopera,
rinsalderanno la loro compagine. I proprietari…diminuiranno i lavori e nei
paesi viticoli giungeranno magari a far spiantare un filare di viti su due per
poter arare le vigne invece che zapparle. E’ nel carattere pugliese di
ricorrere ai mezzi estremi” (E. PRESUTTI, ibidem). Sulla positiva ricaduta
dell’emigrazione transoceanica in termini di “ rimesse” economiche ,
miglioramenti salariali e crescita dell’alfabetizzazione, vedi P. BEVILACQUA, Breve
storia dell’Italia meridionale, Roma 1993, pp. 60-62. Sulla connessione
analfabetismo e criminalità minorile, cfr. V. ROBLES, op. cit., pp. 38-39. Interessante il caso di Manduria, dove
già nel 1872 si era formata una Società operaia di mutuo soccorso
educativa ed agricola: i contadini
frequentavano quasi niente la scuola pubblica ma, in seguito all’emigrazione
transoceanica e a quella interna, e dopo aver compreso “l’utilità di diventare
elettori”, pagarono per tre anni un maestro che faceva loro scuola ed appresero
a leggere ed a scrivere”. Ma la scuola pubblica è “trascurata in genere dalle
Amministrazioni comunali, che vedono in essa formarsi i futuri elettori loro
avversi” ( E. PRESUTTI, op. cit.,
p. 551). In genere “il servizio dell’istruzione popolare è pura apparenza,
adempimento formale degli obblighi che la legge fa al Comune di pagare maestri
e di procurare aule per le scuole… da una parte il contadino non sente i
vantaggi dell’istruzione e dall’altra le classi medie subiscono riluttanti le
leggi relative all’istruzione popolare” (ivi, p. 544). Il caso di Manduria rimane isolato. Sulla
battaglia socialista per l’istruzione, cfr. G. DONNO, Avanti popolo,
tutti a lezione, in “Quotidiano”, 25
gennaio 1983. Sulla riluttanza delle amministrazioni locali nei confronti
dell’istruzione popolare si può leggere Programma amministrativo dei
Partiti popolari di Molfetta. Con
le conferenze di G. Salvemini, Molfetta
1902.
32) A. PEPE, op. cit., pp. 803-804. Nonostante un certo sviluppo, l’agricoltura rimane il luogo sociale in cui, appena erosi, si conservano i vecchi rapporti di un tempo: fitti brevi, contratti agrari a netto favore della rendita fondiaria, monopolio della proprietà, soggezione personale dei ceti popolari ai padroni della terra. Rimane sempre nei proprietari la “convinzione che i contadini non sono uomini come loro. Il comm. Dalmazzo, ispettore generale del Ministero dell’Interno, mandato a Cerignola a comporre lo sciopero del maggio scorso, ebbe a dirmi di aver letto sul viso dei proprietari la meraviglia per la uguaglianza di trattamento formale che esso faceva ai proprietari e ai contadini, facendo sedere gli uni e gli altri accanto a sé” (citato in P. BEVILACQUA, op. cit., p.72).
32) A. PEPE, op. cit., pp. 803-804. Nonostante un certo sviluppo, l’agricoltura rimane il luogo sociale in cui, appena erosi, si conservano i vecchi rapporti di un tempo: fitti brevi, contratti agrari a netto favore della rendita fondiaria, monopolio della proprietà, soggezione personale dei ceti popolari ai padroni della terra. Rimane sempre nei proprietari la “convinzione che i contadini non sono uomini come loro. Il comm. Dalmazzo, ispettore generale del Ministero dell’Interno, mandato a Cerignola a comporre lo sciopero del maggio scorso, ebbe a dirmi di aver letto sul viso dei proprietari la meraviglia per la uguaglianza di trattamento formale che esso faceva ai proprietari e ai contadini, facendo sedere gli uni e gli altri accanto a sé” (citato in P. BEVILACQUA, op. cit., p.72).
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