CONTRO LE EMPIE E SCELLERATE BANDE…
di Roberto Nistri
© Roberto Nistri. Tutti i diritti sono riservati. Opera già edita a stampa
1. Il “picchio notturno”
In altra epoca, “il tempo fra
cane e lupo” designava un’ora della sera, fra la scomparsa del sole e l’avvento
della notte, quando - come ha scritto Vittorio Sermonti - “i cani avevano
riparato nel chiuso e i lupi non erano ancora usciti alla campagna”. Nell’ombra
si muovevano i briganti.
Il 23 agosto 1860, il Sotto Intendente di Taranto, Salvatore
Stampacchia, scrive al Sindaco di Taranto: “poiché la perniciosa classe di ladruncoli
e di sospetti ladri debbasi strettamente vigilare… rimetto a Lei un notamento…
ond’Ella si compiaccia di passarlo alla Guardia Nazionale per effettuare anche
questa la sua parte di sorveglianza col picchio notturno”. La lettera suscita
le ire del Sindaco, che comunque accondiscende alla fastidiosa organizzazione
del “picchio notturno”, una sorveglianza dopo il tramonto dei “soliti
sospetti”: una prima lista di venti vigilati speciali, ai quali se ne
aggiungeranno altri quaranta. Per combattere la criminalità diffusa, i
proprietari si tassano per armare alcune squadriglie mentre una commissione
municipale organizza “visite domiciliari” nei luoghi sospetti e nei trappeti,
arrestando quanti non sono in grado di giustificare i loro carichi di ulivo (1).
L’8 dicembre del 1860 il Regio
Giudice di Sava chiede soccorso al Governatore della Provincia: “ Un’ora
tremenda della Nazione è qui scoppiata. Una turba di villani gira il paese,
costringendo a gridare: Viva Francesco Secondo. Si gittano pietre alle
finestre, per domani si minaccia di peggio; sono stati bruciati tutti gli
stemmi reali. La Guardia Nazionale è inerte. Provvedete subito. Vi replico:
tremo per domani”. La sommossa viene repressa dalla Guardia Nazionale di Oria e
di Manduria: arrestati tre Torricellesi e ventotto Savesi, fra i quali è più
duramente castigato il “serviente comunale Francesco Pichierri che fu
capomotore del popolo nel subuglio di Sava eccitandolo col tamburo contro i
liberali, e lacerando di persona più bandiere italiane ed infrangendo e
bruciando gli stemmi sabaudi” (2).
2. “Simo briganti de lo re borbone, armati de coraggio e
de ragione…”
Durante la notte del 17 novembre
1861, fatti criminosi avvennero a Grottaglie: Cosimo Mazzeo detto Pizzichicchio, soldato del disciolto esercito borbonico, ribelle
alla chiamata di militare sotto la bandiera sabauda, nei primi mesi del 1861 si
era dato alla macchia, dando vita al primo nucleo di resistenza armata nel
bosco di S. Marzano. Dopo aver scorazzato con la sua banda nel Leccese, prese
ad aggredire le tenute vicine al comune di Grottaglie, dove molti renitenti
alla leva ingrossavano le file dei briganti. Giunta di notte, la banda fece il suo ingresso da Porta S.
Angelo, ricevuta in piazza da un
folto gruppo di popolani che, sventolando una bandiera bianca, al grido di
“Viva Francesco II, morte ai liberali” e sparando fucilate in aria in segno di
giubilo, l’accompagnò nel paese illuminato come in una sera di festa: quindi
“l’orda brigantesca coi tumultuanti che con essa facevano causa comune,
aggredirono il Corpo di Guardia d’onde erano scappati i pochi militi in
servizio, ne abbatterono a colpi di fucile lo stemma reale che era sulla porta
d’ingresso, s’impadronirono di 16 fucili dello Stato, e infransero l’effigie di
Re Vittorio; indi infransero a colpi di scure la porta della prigione,
riuscendo a mettere in libertà i tre detenuti corregionali che vi si trovavano.
Infine si diedero al sacco e al fuoco di talune case e botteghe” (3).
In data 2 ottobre 1862 la Prefettura
di terra d’Otranto emise un editto con il quale si comandava la chiusura di
tutte le masserie della provincia ed il ritiro nei centri abitati di tutto il
bestiame e il foraggio, richiesta che causava vivo malcontento fra i massari e
non intralciava il vettovagliamento e il collegamento fra i “guerriglieri” (si
ricorda anche la vicenda sentimentale intercorsa fra Pizzichiccio e la bella
massara di Mezzacoppola, Addolorata Fumarola) (4).
3. La caccia al lupo
Il 17 giugno del 1863 ebbe
luogo nei pressi della masseria Belmonte lo scontro decisivo fra 37 componenti
della banda del “Capitano Pizzichicchio” e un corpo speciale composto da 29
carabinieri a piedi, 19 a cavallo, 31 cavallegeri del Reggimento Saluzzo e 14
guardie nazionali, alla guida di un mastino: il capitano dei carabinieri
Francesco Allisio. A combattimento finito si rinvennero sul terreno 17 briganti
uccisi ed 11 feriti, fucilati l’indomani a Taranto, assieme a qualcun altro
catturato con l’arma in pugno (5). Mazzeo fu tra i pochi a sfuggire alla
malasorte e , con un gruppetto di fedelissimi, tentò qualche estorsione. Si
associò alla banda di Coppolone, rubacchiando pecore ed oche. Nel dicembre del
1863 era presente con una ventina di armati in agro di Martina e in quella
zona, presso la masseria Leggieruddo (poi Ruggerullo) il 16 dicembre 1863, si
registrava il finale di partita. Un milite della Guardia Nazionale si avvicinò
ad un caminetto sperando di poter accendere la pipa e s’imbattè invece in due
piedi che sbucavano dal fumaiolo: appartenevano a Cosimo Mazzeo che venne
tirato giù con uno schioppo, due pistole e un abitino della Madonna del
Carmine. Un finale che sabbe piaciuto al regista Mino Monicelli.
La battaglia di Belmonte, con
l’annientamento del “mucchio selvaggio”, è stata invece rievocata da Franco
Zoppo con grande pathos nel suo Belmonte,
da annoverare - secondo Girolamo De Michele – fra i tre-quattro grandi romanzi
storici del Novecento italiano. Il protagonista avverte l’impossibilità di
schierarsi fra i briganti e i soldati, ma il dolore è per gli inseguiti, per i
feroci perdenti: “L’orrore fisico degli uni, infatti, gli era meno invincibile
della ripulsa intellettuale degli altri e, tra le due ferocie, quella d’una
repressione studiata e razionalmente condotta si faceva detestare senza le
attenuanti che le ragioni anzidette fornivano ai ribelli. Il lupo inferocito lo
terrorizzava meno del cacciatore feroce, assecondato e preceduto da cagne
studiose; gli ispirava anzi qualche senso di pietà, specialmente sul punto di
vedergli le agute scane conficcate nei fianchi” (6).
NOTE
1)
Cfr. P. IMPERATRICE, Come si praticava il “picchio
notturno”, in “Voce del Popolo”, 22 gennaio
1927. Con lo sviluppo del brigantaggio, il 6 novembre 1862 il Prefetto Gemelli,
con la Circolare n.186, spinge ad un maggiore coinvolgimento dei civili: “ A
combattere il brigantaggio non basta la forza militare, ma occorre organizzare
forze cittadine. A ciò non possono sempre sopperire le casse pubbliche, ma è
d’uopo venire in aiuto con mezzi privati”. Viene così lanciato un “Fondo di
sottoscrizioni volontarie per combattere il brigantaggio”; ID, I
travagli del brigantaggio, in “Voce del Popolo”, 12 marzo 1927.
2)
Cfr. G. PICHIERRI, La rivolta borbonico-proletaria di Sava, in “Corriere del Giorno”, 7 dicembre 1984. Cfr.
ASL, Governatorato di Terra d’Otranto, fasc. 93, 1° Ufficio di Polizia, Comune
di Sava e Torricella, anno 1860, Movimento reazionario nella notte dell’8
dicembre 1860. In questa fase sono già attivi i Comitati Borbonici nel raccogliere denaro e fornire fucili; cfr. S.
PANAREO, Reazione e brigantaggio nel Salento dopo il 1860, in “Rinascenza Salentina”, 1943, n.3. Sulle prime
reazioni ai plebisciti-farsa, cfr. O. SANTORO, L’azione
antigovernativa nel circondario di Taranto ai primordi dello Stato italiano in
“Cultura e innovazione”, Mandese ed., 1 marzo 1987.
3)
Cfr. P. IMPERATRICE, Il processo di Pizzichicchio, in “Voce del Popolo”, 2 aprile 1927. “Spogliarono
così, e incendiarono il palazzo del sig. Maggiulli che, per salvarsi la vita, si
gettò dal balcone, riportando nella caduta frattura della gamba destra, per
cui, dopo 40 giorni, decedeva. Così pure furono spogliate e date alle fiamme le
case di Giuseppe Michele Micera e di Domenico Verga, i negozi di Oronzo Blasi,
di Giuseppe Cantore, di Giovanni Orlando e di Ilario Pinto e i caffè di
Francesco Petraroli e di Vittorio Fighera… Verso le ore 3 della notte, l’orda
brigantesca usciva dal paese, lasciando la plebaglia sfrenata continuare nelle
ruberie”. Sui postumi della “notte brava”, cfr. Di quella tumultuosa
notte del 1862, in “Corriere del Giorno”,
22 marzo 1981.
4)
Cfr. G. PICHIERRI, Resistenza antiunitaria nel Tarantino, Manduria, 1988, pp.84-85 e, sulla relazione
amorosa, pp. 124-128 (il testo è
particolarmente ricco di documentazione d’archivio; la seconda parte del volume
rimane la più approfondita ricostruzione biografica di “Cosimo Mazzeo,
guerrigliero borbonico di S. Marzano”. Giustamente Forleo annota come il
tarchiato luogotenente del Sergente Romano (cfr. A. LUCARELLI, Il
Sergente Romano, Bari 1922) non fosse
all’altezza del mitico nemico del generale Church: il grottagliese Papa
Giru, fondatore della setta dei Decisi
ai tempi della lotta antinapoleonica (cfr.
R. QUARANTA, La vera storia del “Prete Brigante” Don Ciro Annichiarico 1775-1818, Lecce, 2005; R. NISTRI, L’ombra del
brigante, in “Cenacolo”, V, 1993). Ma
l’assenza di una impaginazione romantica non giustifica la qualifica di “
brigante incafonito” appioppata dal dandy Forleo a Cosimo Mazzeo: il paesano che “aveva imbracciato lo schioppo
per combattere la carta bollata sabauda” (Nicola Gigante) fu autentico capo militare e signore
delle cento masserie, a lungo protetto dalla popolazione del luogo, dotato di
una buona rete di informatori e idolatrato dai contadini poveri.
5)
Cfr. P. IMPERATRICE, Come si giunse ai fatti di Belmonte, in “Voce del Popolo”, 16 aprile 1927. Un elenco dei
nomi dei briganti giustiziati in P. IMPERATRICE, Un brindisi
su…Belmonte, in “Voce del Popolo”, 4 giugno
1927. Ha rievocato Alessandro Criscuolo: “mi pare di vederlo ancora quel triste
corteo attraversare le vie della città nostra. Erano quattro carri pieni di
uccisi gittati alla rinfusa come quelli che i monatti raccoglievano per le vie
di Milano nei giorni della moria. Erano tirati da buoi, guidati da bovari:
sopra ogni carro uno o due soldati. Poi in aria trionfale i Cavalleggeri e i
militi di Massafra, ed in mezzo ad essi i vinti, legati con corde… I
prigionieri nella stessa notte furono menati in uno spiazzo del cimitero, per
essere, di primo giorno, fucilati”; in V. FORLEO, Taranto dove la
trovo, 1929, ristampa in Pizzichicchio,
un turpe cafone, in “Corriere del Giorno”,
22 marzo 1981; anche V. D’AUTILIA, Belmonte, sacrario di
Pizzichicchio, in “Voce del Popolo”, 15
maggio 2005.
6)
F. ZOPPO, Belmonte, nuova ed., Milano, 2006, p.367. “Suonò
una tromba in allegria… Fu il segno della prossima oscenità: la carica ad arma
bianca, con sgozzamento sommario. Il Nord si avventava con la sua gelida
violenza sugli ultimi furori del sud, a compiere un’altra delle molte
unificazioni nazionali… facendo morti e stendendovi sopra la gualdrappa funebre
dell’unica bandiera” (Ivi,
p.382). Dello stesso autore vedi anche Quel cafone di un brigante senza gloria né simpatia, in “Galaesus”, XXIII, Mandese ed.,
Taranto, 2004. Per una panoramica complessiva, cfr. A. MURRI, Dal
banditismo al brigantaggio, in “Galaesus”,
XXXIII, Taranto, 2010.
Nessun commento:
Posta un commento