domenica 31 marzo 2013

Contro le empie e scellerate bande...



CONTRO LE EMPIE E SCELLERATE BANDE…



di Roberto Nistri

© Roberto Nistri. Tutti i diritti sono riservati. Opera già edita a stampa

1. Il “picchio notturno”

       In altra epoca, “il tempo fra cane e lupo” designava un’ora della sera, fra la scomparsa del sole e l’avvento della notte, quando - come ha scritto Vittorio Sermonti - “i cani avevano riparato nel chiuso e i lupi non erano ancora usciti alla campagna”. Nell’ombra si muovevano i briganti.
Il 23 agosto 1860, il Sotto Intendente di Taranto, Salvatore Stampacchia, scrive al Sindaco di Taranto: “poiché la perniciosa classe di ladruncoli e di sospetti ladri debbasi strettamente vigilare… rimetto a Lei un notamento… ond’Ella si compiaccia di passarlo alla Guardia Nazionale per effettuare anche questa la sua parte di sorveglianza col picchio notturno”. La lettera suscita le ire del Sindaco, che comunque accondiscende alla fastidiosa organizzazione del “picchio notturno”, una sorveglianza dopo il tramonto dei “soliti sospetti”: una prima lista di venti vigilati speciali, ai quali se ne aggiungeranno altri quaranta. Per combattere la criminalità diffusa, i proprietari si tassano per armare alcune squadriglie mentre una commissione municipale organizza “visite domiciliari” nei luoghi sospetti e nei trappeti, arrestando quanti non sono in grado di giustificare i loro carichi di ulivo (1).
      L’8 dicembre del 1860 il Regio Giudice di Sava chiede soccorso al Governatore della Provincia: “ Un’ora tremenda della Nazione è qui scoppiata. Una turba di villani gira il paese, costringendo a gridare: Viva Francesco Secondo. Si gittano pietre alle finestre, per domani si minaccia di peggio; sono stati bruciati tutti gli stemmi reali. La Guardia Nazionale è inerte. Provvedete subito. Vi replico: tremo per domani”. La sommossa viene repressa dalla Guardia Nazionale di Oria e di Manduria: arrestati tre Torricellesi e ventotto Savesi, fra i quali è più duramente castigato il “serviente comunale Francesco Pichierri che fu capomotore del popolo nel subuglio di Sava eccitandolo col tamburo contro i liberali, e lacerando di persona più bandiere italiane ed infrangendo e bruciando gli stemmi sabaudi” (2).

2. “Simo briganti de lo re borbone, armati de coraggio e de ragione…”

      Durante la notte del 17 novembre 1861, fatti criminosi avvennero a Grottaglie: Cosimo Mazzeo detto Pizzichicchio, soldato del disciolto esercito borbonico, ribelle alla chiamata di militare sotto la bandiera sabauda, nei primi mesi del 1861 si era dato alla macchia, dando vita al primo nucleo di resistenza armata nel bosco di S. Marzano. Dopo aver scorazzato con la sua banda nel Leccese, prese ad aggredire le tenute vicine al comune di Grottaglie, dove molti renitenti alla leva ingrossavano le file dei briganti.  Giunta di notte, la banda fece il suo ingresso da Porta S. Angelo,  ricevuta in piazza da un folto gruppo di popolani che, sventolando una bandiera bianca, al grido di “Viva Francesco II, morte ai liberali” e sparando fucilate in aria in segno di giubilo, l’accompagnò nel paese illuminato come in una sera di festa: quindi “l’orda brigantesca coi tumultuanti che con essa facevano causa comune, aggredirono il Corpo di Guardia d’onde erano scappati i pochi militi in servizio, ne abbatterono a colpi di fucile lo stemma reale che era sulla porta d’ingresso, s’impadronirono di 16 fucili dello Stato, e infransero l’effigie di Re Vittorio; indi infransero a colpi di scure la porta della prigione, riuscendo a mettere in libertà i tre detenuti corregionali che vi si trovavano. Infine si diedero al sacco e al fuoco di talune case e botteghe” (3).
      In data 2 ottobre 1862 la Prefettura di terra d’Otranto emise un editto con il quale si comandava la chiusura di tutte le masserie della provincia ed il ritiro nei centri abitati di tutto il bestiame e il foraggio, richiesta che causava vivo malcontento fra i massari e non intralciava il vettovagliamento e il collegamento fra i “guerriglieri” (si ricorda anche la vicenda sentimentale intercorsa fra Pizzichiccio e la bella massara di Mezzacoppola, Addolorata Fumarola) (4).

3. La caccia al lupo

       Il 17 giugno del 1863 ebbe luogo nei pressi della masseria Belmonte lo scontro decisivo fra 37 componenti della banda del “Capitano Pizzichicchio” e un corpo speciale composto da 29 carabinieri a piedi, 19 a cavallo, 31 cavallegeri del Reggimento Saluzzo e 14 guardie nazionali, alla guida di un mastino: il capitano dei carabinieri Francesco Allisio. A combattimento finito si rinvennero sul terreno 17 briganti uccisi ed 11 feriti, fucilati l’indomani a Taranto, assieme a qualcun altro catturato con l’arma in pugno (5). Mazzeo fu tra i pochi a sfuggire alla malasorte e , con un gruppetto di fedelissimi, tentò qualche estorsione. Si associò alla banda di Coppolone, rubacchiando pecore ed oche. Nel dicembre del 1863 era presente con una ventina di armati in agro di Martina e in quella zona, presso la masseria Leggieruddo (poi Ruggerullo) il 16 dicembre 1863, si registrava il finale di partita. Un milite della Guardia Nazionale si avvicinò ad un caminetto sperando di poter accendere la pipa e s’imbattè invece in due piedi che sbucavano dal fumaiolo: appartenevano a Cosimo Mazzeo che venne tirato giù con uno schioppo, due pistole e un abitino della Madonna del Carmine. Un finale che sabbe piaciuto al regista Mino Monicelli.
      La battaglia di Belmonte, con l’annientamento del “mucchio selvaggio”, è stata invece rievocata da Franco Zoppo con grande pathos nel suo Belmonte, da annoverare - secondo Girolamo De Michele – fra i tre-quattro grandi romanzi storici del Novecento italiano. Il protagonista avverte l’impossibilità di schierarsi fra i briganti e i soldati, ma il dolore è per gli inseguiti, per i feroci perdenti: “L’orrore fisico degli uni, infatti, gli era meno invincibile della ripulsa intellettuale degli altri e, tra le due ferocie, quella d’una repressione studiata e razionalmente condotta si faceva detestare senza le attenuanti che le ragioni anzidette fornivano ai ribelli. Il lupo inferocito lo terrorizzava meno del cacciatore feroce, assecondato e preceduto da cagne studiose; gli ispirava anzi qualche senso di pietà, specialmente sul punto di vedergli le agute scane conficcate nei fianchi” (6).


NOTE

1)    Cfr. P. IMPERATRICE, Come si praticava il “picchio notturno”, in “Voce del Popolo”, 22 gennaio 1927. Con lo sviluppo del brigantaggio, il 6 novembre 1862 il Prefetto Gemelli, con la Circolare n.186, spinge ad un maggiore coinvolgimento dei civili: “ A combattere il brigantaggio non basta la forza militare, ma occorre organizzare forze cittadine. A ciò non possono sempre sopperire le casse pubbliche, ma è d’uopo venire in aiuto con mezzi privati”. Viene così lanciato un “Fondo di sottoscrizioni volontarie per combattere il brigantaggio”; ID, I travagli del brigantaggio, in “Voce del Popolo”, 12 marzo 1927.
2)    Cfr. G. PICHIERRI, La rivolta borbonico-proletaria di Sava, in “Corriere del Giorno”, 7 dicembre 1984. Cfr. ASL, Governatorato di Terra d’Otranto, fasc. 93, 1° Ufficio di Polizia, Comune di Sava e Torricella, anno 1860, Movimento reazionario nella notte dell’8 dicembre 1860. In questa fase sono già attivi i Comitati Borbonici nel raccogliere denaro e fornire fucili; cfr. S. PANAREO, Reazione e brigantaggio nel Salento dopo il 1860, in “Rinascenza Salentina”, 1943, n.3. Sulle prime reazioni ai plebisciti-farsa, cfr. O. SANTORO, L’azione antigovernativa nel circondario di Taranto ai primordi dello Stato italiano  in “Cultura e innovazione”, Mandese ed., 1 marzo 1987.
3)    Cfr. P. IMPERATRICE, Il processo di Pizzichicchio, in “Voce del Popolo”, 2 aprile 1927. “Spogliarono così, e incendiarono il palazzo del sig. Maggiulli che, per salvarsi la vita, si gettò dal balcone, riportando nella caduta frattura della gamba destra, per cui, dopo 40 giorni, decedeva. Così pure furono spogliate e date alle fiamme le case di Giuseppe Michele Micera e di Domenico Verga, i negozi di Oronzo Blasi, di Giuseppe Cantore, di Giovanni Orlando e di Ilario Pinto e i caffè di Francesco Petraroli e di Vittorio Fighera… Verso le ore 3 della notte, l’orda brigantesca usciva dal paese, lasciando la plebaglia sfrenata continuare nelle ruberie”. Sui postumi della “notte brava”, cfr. Di quella tumultuosa notte del 1862, in “Corriere del Giorno”, 22 marzo 1981.
4)    Cfr. G. PICHIERRI, Resistenza antiunitaria nel Tarantino, Manduria, 1988, pp.84-85 e, sulla relazione amorosa, pp. 124-128 (il testo  è particolarmente ricco di documentazione d’archivio; la seconda parte del volume rimane la più approfondita ricostruzione biografica di “Cosimo Mazzeo, guerrigliero borbonico di S. Marzano”. Giustamente Forleo annota come il tarchiato luogotenente del Sergente Romano (cfr. A. LUCARELLI, Il Sergente Romano, Bari 1922) non fosse all’altezza del mitico nemico del generale Church: il grottagliese Papa Giru, fondatore della setta dei Decisi ai tempi della lotta antinapoleonica (cfr. R. QUARANTA, La vera storia del “Prete Brigante” Don Ciro Annichiarico 1775-1818, Lecce, 2005; R. NISTRI, L’ombra del brigante, in “Cenacolo”, V, 1993). Ma l’assenza di una impaginazione romantica non giustifica la qualifica di “ brigante incafonito” appioppata dal dandy Forleo a Cosimo Mazzeo: il paesano che “aveva imbracciato lo schioppo per combattere la carta bollata sabauda” (Nicola Gigante)  fu autentico capo militare e signore delle cento masserie, a lungo protetto dalla popolazione del luogo, dotato di una buona rete di informatori e idolatrato dai contadini poveri.
5)    Cfr. P. IMPERATRICE, Come si giunse ai fatti di Belmonte, in “Voce del Popolo”, 16 aprile 1927. Un elenco dei nomi dei briganti giustiziati in P. IMPERATRICE, Un brindisi su…Belmonte, in “Voce del Popolo”, 4 giugno 1927. Ha rievocato Alessandro Criscuolo: “mi pare di vederlo ancora quel triste corteo attraversare le vie della città nostra. Erano quattro carri pieni di uccisi gittati alla rinfusa come quelli che i monatti raccoglievano per le vie di Milano nei giorni della moria. Erano tirati da buoi, guidati da bovari: sopra ogni carro uno o due soldati. Poi in aria trionfale i Cavalleggeri e i militi di Massafra, ed in mezzo ad essi i vinti, legati con corde… I prigionieri nella stessa notte furono menati in uno spiazzo del cimitero, per essere, di primo giorno, fucilati”; in V. FORLEO, Taranto dove la trovo, 1929, ristampa in Pizzichicchio, un turpe cafone, in “Corriere del Giorno”, 22 marzo 1981; anche V. D’AUTILIA, Belmonte, sacrario di Pizzichicchio, in “Voce del Popolo”, 15 maggio 2005.
6)    F. ZOPPO, Belmonte,  nuova ed., Milano, 2006, p.367. “Suonò una tromba in allegria… Fu il segno della prossima oscenità: la carica ad arma bianca, con sgozzamento sommario. Il Nord si avventava con la sua gelida violenza sugli ultimi furori del sud, a compiere un’altra delle molte unificazioni nazionali… facendo morti e stendendovi sopra la gualdrappa funebre dell’unica bandiera” (Ivi, p.382). Dello stesso autore vedi anche Quel cafone di un brigante senza gloria né simpatia, in “Galaesus”,  XXIII, Mandese ed.,  Taranto, 2004. Per una panoramica complessiva, cfr. A. MURRI, Dal banditismo al brigantaggio, in “Galaesus”, XXXIII, Taranto, 2010.

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