giovedì 28 marzo 2013

Eroici furori, fra trulli e ciminiere


Eroici furori, fra trulli e ciminiere
di Roberto Nistri

Un gran bel romanzo d’inizio millennio, questo Paese delle spose infelici di Mario Desiati: una storia di amori matti e disperati, una rabbia giovane che in motorino insegue una chimera, una corsa del criceto che non porta da nessuna parte, un andirvieni fra Taranto e Martina lungo i tornanti di Lorimini, un dolente on the road fra Infondoalmondo e Inculoallaluna, come direbbe Ascanio Celestini. Giovane e agguerrito caporedattore della rivista letteraria “Nuovi Argomenti”, Desiati travolge tutti gli stereotipi della “ridente” Martina, della Taranto dei due mari “ molle e imbelle” (dolce e pacifica, secondo Orazio), della Puglia ebbra dei pizzicomani e dei tarantellofili. Il suo romanzo è profondamente sudista e “sudicio” (un tempo, dalle nostre parti, si vantava l’antinomia fra Nordici e Sudici) e al contempo capace di catturare l’universale lettore grazie ad un parlato costruito come una successione di echi che incalza come un passaggio di sequenze filmiche, capace di far vedere per iscritto l’effetto di una smorfia di Stanlio o di De Niro.
 La capacità di fabbricare “visione” si coglie già nel folgorante incipit: nel “magico” torrente sottile che si attorciglia al Siderurgico, un’altera donna vestita da sposa s’immerge nell’acqua rosata di bauxite, la sua gonna si apre come un ventaglio, le ardenti spalle nude fanno arrossare le secche facce di altoforno di una dozzina di operai miseramente pasteggianti, la Fata Morgana attira verso di sé “lo sciame disperato di muscoli bruniti, petti ispidi, braccia ingiallite, occhi stregati”. Si avvia così la favola nera di Annalisa, la Regina delle martinesi Spose Infelici, la Madonna dei randagi, la masciara che corre nella notte, quella che “ se la fa con i cavalli”, che ha il respiro affannoso di un animale ferito, come “il guaito dei cani investiti sulla provinciale”.
Annalisa sarà il primo e ultimo amore di Veleno, un giovaneholden murgese che narrerà, con vulcanica e limacciosa struttura linguistica, di una fetente e verminosa provincia, ingorda di piaceri vietati e di riti persecutori, ai limiti del maleficio morboso e della negromantica jettatura . Come Jackfruscianteuscitodalgruppo (ma molto più loser , “inadeguato” e scorticato) sul suo cavallo d’acciaio Veleno corre dietro il fantasma del desiderio, l’amore fou, la possessione erotica che nutre la sempre aperta “ferita nel cervello”. Ma, nella caccia eroica di un senso in infinita fuga, un altro cavaliere sembra precederlo sempre di un passo: il grande amico Zazà, legrandmeaulnes che sovrasta la nigra brigata di Pezza Mammarella  (il non-campetto della non-squadra Esperia) e tuttavia viene rifiutato come professionista perché “è senza cattiveria”. Veleno e Zazà, triangolando con Annalisa, sono meglio dei truffautiani Jules e Jim: malinconici cercatori d’oro, odorano di camini e di limoni in terrazza, ma si portano appiccicati i miasmi dell’Ilva, il Grande Ragno mangiauomini. Il romanzo di formazione nasce da un “caleidoscopio biancheggiante di trulli e di lamie… nei caffè del Ringo tra una pasta alla crema e una granita alla mandorla” e tocca la massima coniunctio quando il terzetto, approdato sulla costa di uno dei colli delle Pianelle, viene accolto da uno spettacolo sontuoso come l’orrore dantesco: “il fungo metallico del Siderurgico, piovra capovolta, fumante come un caldano, sorgeva e si rannuvolava di vapori come acqua su un incendio crepitante”. La gola di Annalisa è “attraversata da due comete di Negroamaro” e viene in mente la bottiglia-feticcio di Fandango e la dolcezza del ballo finale.
Il potere simbolico di evocare altre suggestioni filmiche o di lettura è una prerogativa di quella Macchina della Memoria che è il buon romanzo. Annalisa che avanza sull’orlo del muretto, sempre in sospensione fra il pieno e il vuoto, ricorda la fanciullina di Pollack che cammina sui binari nella
Grande Depressione, raccontando la corruzione dell’innocenza e il destino di morte. Questi fragili ed estremi cacciatori di vita meriterebbero anche il titolo The Misfits (Gli spostati) dell’unico film di Huston con un personaggio femminile come motore del racconto. Per questi tras-andati guerrieri, con la loro comica corte di tangheri e debosciati (Mazzacane, Charleston, Capodiferro, Natuccio il Tossico, allevati dal mister Cenzoum) calza proprio bene il termine greco àtopoi, i fuori-posto, feriti dentro e fuori, in preda alla demartiniana “crisi della presenza”, capaci solo di correre verso la bagarre, quando si va in vacca nella mischia dell’impazzimento generale. L’autore sembra aver costruito un linguaggio su misura per loro, per questi mostri promettenti, adolescenti peticellosi che si raccontano fiabe scurrili in non-luoghi sordidi e goffi, dalla zona popolare 167 a Lido Zanzara, dal distributore di benzina all’innesto della Circumarpiccolo a Paolo VI, dove in una notte “l’eroina sterminò i metallari pugliesi”, mentre il diavolo danzava in calzamaglia.
Giocando con le trappole della memoria e della ritualità, la regìa di Desiati arma sapientemente questa sacra rappresentazione con aspre intricazioni di linguaggi che, nella musica sincopata dei discorsi, incorporano con naturalezza anche il vernacolo, con il gusto della parola rotonda, accentata, della desinenza insolita e delle illuminanti storpiature. E così attraversiamo a passo di corsa l’album dei fallimenti, i matrimoni che sanno di lutto nella loro resa ad una abbrutita sopravvivenza, il vicolo dei suicidi e il Ringo dei vivi che si sentono già morti . Una nigredo   che la scrittura trasmuta alchemicamente in poesia, anche i padri e i mariti smangiucchiati dalla fabbrica, anche il destino segnato di Annalisa, sempre avvinta da un cerchio stringente di maschi carnivori, di lemuri usciti da un’incisione di Goya o da una caricatura di Daumier. La Sposa Infelice sarà fuori posto anche nella tomba, salma assente per una Spoon River di sole pietre. “Vi mostrerò il viaggio e di tutto vi darò i segni”, aveva detto Circe a Ulisse.

Il 18 ottobre Mario Desiati ha presentato a Taranto il suo ultimo romanzo, “Il paese delle spose infelici”. L’incontro, organizzato dal Presidio del libro di Taranto, costituito dall’associazione Il Granaio e dalla libreria Dickens, è stato introdotto dalla professoressa Vittoria Tommassetti.



Nessun commento:

Posta un commento