venerdì 29 marzo 2013

Nascita di una città. La terza Taranto: 1865-1882


NASCITA DI UNA CITTA’
La terza Taranto: 1865-1882

© Roberto Nistri. Tutti i diritti sono riservati. Opera già edita a stampa

Roberto Nistri

     Con l’unità d’Italia per la prima volta venne offerta ai 25.000 abitanti della vecchia Taranto l’occasione di costruire “fuori dalle mura”, di dare finalmente vita alla “Taranto nuova”. L’abitato
si trovava costretto nella cerchia delle vecchie mura e fortificazioni bizantine, sveve ed aragonesi che cingevano lo scoglio tra il Mar Piccolo e il Mar Grande, una poderosa fortificazione che, se da un lato costituiva una buona difesa, dall’altro costringeva le case e quindi la popolazione in uno spazio angusto e insufficiente, con  difficile comunicazione verso l’esterno attraverso i due ponti di pietra, obbligati e vigilati, di Porta Lecce e Porta Napoli. Considerando che larga parte della superficie dell’ “Isola” (250.000 mq.) era occupata da edifici religiosi, chiese e conventi che continuavano a fagocitare spazi, risulta comprensibile il senso di soffocamento che doveva angustiare la popolazione stipata nel groviglio dei vicoli e delle sopraelevazioni, in precarie condizioni igieniche e sanitarie. Si comprendono le pulsioni contraddittorie che determineranno il “carattere sociale” del tarantino negli anni a venire: da una parte l’attaccamento alla millenaria loco munita urbs e alla stretta vicinanza interpersonale, dall’altra la smania del vorace divoratore di spazi, del costruttore sempre alla ricerca di una “nuova” Taranto (1).
      Quando nel 1865 un Regio Decreto dichiarò Taranto città “aperta e libera” venne avviata la demolizione delle vestigia del passato con furia iconoclasta: una rinascita vissuta come rimozione (2). Ma troppa incertezza e scarsa disponibilità finanziaria ritardavano l’avventura al di là del “fosso” (3).  Eppure la “terza Taranto” stava per nascere, ritornando sulle proprie orme, laddove un tempo si estendeva la Taranto di Archita.
      Durante le celebrazioni dell’Unità non si è potuto trascurare il singolare parallelismo fra la storia nazionale e quella municipale: i 150 anni dell’Italia unitaria sono i 150 anni della Taranto moderna. Poteva rinascere la molle Tarentum, dolce città mediterranea e Porta dell’Oriente, con due mari brulicanti di barche e un promettente traffico mercantile, secondo i dettami della natura e della tradizione. Ma altra doveva essere la levatrice della “città nova”: la Marina militare, in conformità alle esigenze statuali, ebbe una funzione costituente e dirigente nella edificazione di una Urbs maritima strategicamente finalizzata alle glorie espansionistiche della neonata Potenza (4).
      Con scarsa fiducia nelle proprie risorse imprenditoriali, la borghesia cittadina fu allettata da un imponente investimento “eteronomo”, toccasana di tutti i problemi, convinta che il “Borgo” avrebbe trovato legittimazione e ossigeno in un polmone industrial-militare garantito e protetto dallo Stato: un buon affare, che paradossalmente rafforzava l’atavica sottomissione alla dimensione militare. Dopo la indolore transizione alla nuova forma-Stato, con lo “sviluppo donato” eterodiretto dalla Monocrazia industrial-militare, la “rivoluzione passiva” fra i due mari giungeva a compimento. Il futuro era segnato. (5).
       Anche il piano Conversano, approvato definitivamente nel 1865 con la prospettiva di ampliamento dei due sobborghi, avrebbe dovuto rifare i conti con l’Ufficio del Genio (appena insediato acquisì 216.000 mq. di terreno)  cancellando l’espansione di porta Napoli e allungando le direttrici di sviluppo a porta Lecce, dimenticando la prospettiva di risanamento del Borgo Antico. Con l’inizio dei lavori di scavo e costruzione del canale navigabile - ricorda lo Speziale - la spiaggia di mar Piccolo, “già così ridente pel rigoglioso fiorire di giardini e di grandi chiome di annosi pini a specchio dell’acqua, venne completamente trasformata, abbassata, livellata per migliaia e migliaia di metri quadrati. Là, ove la natura aveva tratto i più pittoreschi partiti dal continuo mutare dei fogliami e dai declivi del terreno, regnò sovrana la geometria” (6).
      L’architetto Frank Lloyd Wright ha scritto nella sua Autobiografia che una casa non deve mai essere su una collina o su qualsiasi altra cosa. Deve essere della collina, appartenerle in modo tale che collina e casa possano vivere insieme in armonia. Invece il testardo accanimento con cui i costruttori dichiararono guerra alla natura doveva essere ben sottolineato da Hector G. Preconi: “Taranto non fu risparmiata dalla spensierata mania di appianare degli ingegneri, che pongono un piano a scacchiera in ogni clima e su ogni suolo. La natura stessa aveva lasciato cadere la penisola a forma di duna verso i due mari, sicchè si poteva costruire una nuova città piena di aria e di luce, disposta a terrazze. Ma col compasso e il livello la Provvidenza fu corretta, e con enormi sacrifici finanziari tutto il terreno fu ridotto ad una superficie uguale ove si stendono, noiose e corrette, le nuove strade” (7). Venne l’ora della grande cementificazione e il Borgo si modellò come “fuori fabbrica” attorno all’imponente facciata dell’Arsenale, mentre un gigantesco muraglione (il primo di un’interminabile serie di muri) sequestrava irrimediabilmente il Mar Piccolo, tagliando il cordone ombelicale con l’habitat naturale (8). 

Note

1)    Cfr. AA. VV., La Città al Borgo, Taranto, 1983; in particolare sulle caratteristiche ambientali pre-ottocentesche, cfr. P. MASSAFRA, Appunti sulla fisionomia del territorio orientale della città di Taranto; sull’impianto urbanistico vedi M. SCIONTI, Un secolo di storia della città di Taranto; sulle dinamiche politiche vedi R. NISTRI, Dall’avvio dell’industria navalmeccanica alla guerra (1983). Per una efficace panoramica della vita tarantina prima della “arsenalizzazione”, cfr. N. BINO, Lire funeste. Società, politica, economia e credito nella Taranto dell’800, Reg. Puglia, Taranto, 1987. Per una rapida ma accurata ricognizione della struttura urbana, cfr. F. CAFFIO, Così era Taranto dopo l’Unità d’Italia, in “Corriere del Giorno”, 7 maggio 2011. Sulle fortificazioni rimane fondamentale G. C. SPEZIALE, Storia militare di Taranto negli ultimi cinque secoli, Bari, 1930.
2)    Il Decurionato spese mille dei diciottomila ducati delle entrate annuali per la rimozione e sostituzione della fontana della piazza omonima, per dare una “prova d’odio contro l’Austria, fosse pure l’Austria di Carlo V” (V. FORLEO, Taranto dove la trovo, Taranto 1929); cfr. R. NISTRI, La fontana dei venti, in “La Gazzetta del Mezzogiorno”, 8 febbraio 1984. Sotto i colpi del piccone “rivoluzionario” veniva progressivamente demolita anche la Cittadella di Raimondello Orsini, compresa la Torre quadrata che era stata eretta sul lido ai primi del 1400 (“avanzo d’un triste passato” e “rudero del medio evo”)  senza che una voce si alzasse a difendere il più insigne monumento della Taranto laica e “fu sciocchezza e malvagità grande” avrebbe sentenziato lo Speziale; cfr. P. COCO, Come fu demolita la Torre di Raimondello, in “Voce del Popolo”, 22 dicembre 1928; P. IMPERATRICE, La Cittadella fu abbattuta per “imponenti ragioni… di salute pubblica”, in “Voce del Popolo”, 5 dicembre 1929; ID, Le curiose vicende della “Torre”, in “Voce del Popolo”, 16 gennaio 1929; P. COCO, Elogio della diruta Cittadella”, in “Voce del Popolo”, 21 marzo 1936; R. NISTRI, E la Torre Orsini cadeva sotto i colpi di piccone, in “La Gazzetta del Mezzogiorno”, 8 febbraio 1984; G. ACQUAVIVA, Quando piazza Fontana cambiò volto, in “Corriere del Giorno”, 25 maggio 1993.
3)    Prima della costruzione del Canale navigabile esisteva il “fosso” che, sfruttando la conformazione del banco di tufo, “era stato scavato nel Cinquecento a difesa del Castello Aragonese con una profondità di meno di 2 metri ed una ampiezza, nel punto più stretto, di appena 36 metri” (F. CAFFIO, ibidem; cfr. anche V. CAZZATO, R. DAVANZO, M. DI PUOTO, E. RODIO , Il porto di Taranto, Roma, 1978, p.28; A. DELLA RICCA - M. VUOZZO, Il fosso, il canale, il ponte, Taranto, 1984).
4)    Prima ancora della installazione dell’Arsenale Militare, l’italica “potenza” aveva fatto clamorosamente cilecca proprio a Taranto, quando la forza navale venne duramente sconfitta nella battaglia di Lissa, anche per la vanità dell’ammiraglio Persano che ritardò la partenza per godersi i cospicui onori che gli venivano conferiti e la buona compagnia di vispe ballerinette. L’incantesimo della molle Tarentum si meritò gli sferzanti versi carducciani: “Bah! Qui porgono la mano / Vaghe donne, a sprizzi fervidi / Lo sciampagna esulta qui. / Conte Carlo di Persano, / Oggi a festa i bronzi rombano: / Non mancate al lieto dì” (Cfr. A. RIZZO, I lieti dì tarantini dell’ammiraglio Persano, in “Voce del Popolo”, 18 giugno 1966.
5)    Cfr. P. RESTA, Identità a confronto, Reg. Puglia, Taranto, 1990, in particolare il capitolo I modelli di uno sviluppo donato.
6)    G. C. SPEZIALE, op. cit., p. 241.L’impostazione di Conversano ubbidiva ad una logica razionalistica di suddivisione del territorio in lotti minuti, organizzati su una maglia a scacchiera secondo assi tra loro ortogonali, con una evidente cesura rispetto all’articolazione volumetrica della “seconda Taranto”: “Ci alziamo a volo nella freschezza dell’aria mattutina. Sotto di noi compare, bianca come un sogno orientale, la città di Taranto con la sua bizzarra topografia: di qua e di là dal ponte la vecchia città come raggrumata sullo scoglio cinerognolo del tufo, col suo dedalo di strade tortuose, la città nuova squadrata e regolare in bel disegno geometrico come il sogno artistico di un ragioniere” (I. BALBO, Da Roma a Odessa, 1930). Si prospettava il sobborgo occidentale come il futuro centro dell’attività commerciale e industriale mentre al contrario il centro di gravità del movimento edilizio e demografico si sarebbe determinato ad est con il “Borgo” vero e proprio (cfr. G. IMPORTUNO, Taranto: gli albori del “Borgo”, in “Rinascenza salentina”, 1941, pp.12-20; sulle sorti del piano Conversano, cfr. F. PORSIA - M. SCIONTI, Taranto, Bari, 1989, pp. 98-125; P. MASSAFRA, Quel canale è forse un muro?, in “Quotidiano”, 22 maggio 1985). Il  movimento è eterodiretto, le regole sono dettate dalla Marina Militare che acquisisce acque e territorio, privando la civitas di ogni autonomia decisionale (cfr. N. CAPUTO, Investivamo alla marinara, Taranto, 1989, pp. 20-21: l’unico scrittore “cataldiano” che si sia misurato con questa problematica).
7)    H.G. PRECONI, Italianischer Sommer, 1910. Nell’ottobre del 1882, approvata la legge per la costruzione dell’Arsenale a Taranto, si passa alla demolizione del torrione Sant’Angelo del Castello aragonese e poi dei torrioni Mater Dei, della Monacella e del Vasto che estendevano l’antica fortificazione sino a Mar Piccolo (cfr. F. CAFFIO, Il Canale dovette mutilare il Castello, in “Voce del Popolo”, 1 febbraio 2007). Con la demolizione del ponte in muratura con le sue arcate, scompare definitivamente l’immagine della turrita città medievale. Tre chilometri di spiaggia, dal canale al Pizzone, vengono sterrati con la scomparsa di ville, giardini e materiale archeologico traslato in prossimità delle isole di San Pietro e San Paolo: “Non sapremo mai in quale dei due mari furono affogati i resti della immensa villa Beaumont (poi Peripato), quelli della villa di monsignor Capecelatro e le antiche testimonianze della chiesa di Santa Lucia” (N. CAPUTO, ivi, p.35).
8)    Sulla desolante banalità estetica, anche Vito Forleo: “Si prese un promontorio aperto alle più varie e sorridenti e originali prospettive di cui sia capace un panorama acquatico, un rialzo dolcemente digradante alle due opposte spiagge, e se ne fece, a correzione del Creatore, una pianura sulla quale le strade potessero avanzare con l’ortogonismo più irreprensibile. Gloria alla Scacchiera!” Sulla conformazione “a schiena d’asino” dell’area tra i due mari e sul sito di Montedoro nella parte centrale del Borgo, cfr. N. CIPPONE, Quel Borgo sopraelevato, in “Quotidiano”, 24 maggio 1985; F. CAFFIO, Da qualsiasi punto si vedevano i due mari, in “Voce del Popolo”, 1 ottobre 2006.

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