La farmacia del diavolo
di Roberto Nistri, in “Galaesus”, n.21, pp. 295-297, Taranto, 1998.
© Roberto Nistri 2016. Tutti i diritti sono riservati.
Il rituale
immaginario del Sabba costituisce il pezzo forte della credenza nella
stregoneria: non appena un giudice ha tra le mani una strega, l’obiettivo che
si prefissa è quello di far confessare la partecipazione al Sabba, il che equivale ad una sentenza di morte. Gli inquisitori annotano
con cura le modalità dell’accoppiamento con il diavolo: “La baciava e amava
meglio di suo marito, anche se lo trovava sempre decisamente freddo” (Mandrou, I
magistrati e le streghe). Veniva trascurato un fatto strano: l’amplesso
produceva dolore causato dalla penetrazione: “esse sostengono che gli organi
virili dei demoni sono talmente grossi e duri che è impossibile introdurli
senza provare un dolore atroce” (Remy, Daemonolatreia). Il coito era accompagnato
dalla sensazione di acerbo dolore e orrore, a causa del seme del caprone, che essa sentiva
gelido come ghiaccio (Guaccio, Compendium
maleficarum). Si tratta di una costante in tutte le testimonianze rese
dalle povere allucinate: sintomo di primaria importanza per spiegare la
meccanica del Sabba, come intuisce
Freud, che nel 1897 Scrive a Flies: “Se arrivassi soltanto a sapere,
perché nelle loro confessioni, le streghe dicono sempre che lo sperma del
diavolo è freddo”.
L’origine di
questo sintomo, come anche del tipico “volo a cavallo della scopa”, è ormai del
tutto chiarita da una vasta letteratura scientifica (ricordiamo almeno gli studi di Ioan Couliano
e Paolo A. Rossi, che hanno ben esplorato il laboratorio del Sabba). Unguento,
unguento, mandami alla noce di
Benevento, supra acqua et supra vento et supre ad omne maltempo.
Questa formula, ripetuta in tutte le versioni dei racconti sulle streghe, che si davano convegno sotto il magico noce,
evocava con forza immaginativa il rituale preparatorio al volo notturno .
Nel Cinquecento
è Paracelso il primo ad intuire la composizione dell’unguento satanico: sugna,
resina, fiori di canapa, rosolaccio e semi di girasole, ma è solo con il Della
Porta che si prende piena coscienza del rapporto fra le sostanze
neuropsicoattive contenute nell’unguento e il delirio indotto (P. A. Rossi). Il
medico napoletano assiste alla preparazione di un unguento che una vecchia
contadina si spalma sul corpo, strofinando
la pelle fino ad arrossirla, per poi cadere in un sonno profondo. Al suo risveglio la “strega” sostiene di aver
attraversato mari e motagne, mentre in realtà si è appisolata in cucina. Della
Porta indica alcuni ingredienti interessanti: l’aconitum, napellus, detto ( Il veleno del lupo) e l’atropa
belladonna (donna sta per Domina) piante ricche di alcaloidi fra cui la
scopolamina, l’ iosciamina e l’atropina.
Si tratta di veleni vegetali molto
attivi, che a medi dosaggi provocano modificazioni neuropsicologiche. Il grande
Giordano Bruno ci ha lasciato nel De Rerum
principiis la ricetta di un brodo psicoattivo a base di coriandro, alio, hyoscyamo cum cicuta…
et sandali rubro et papavere nigro… Con un simile beverone può scoppiare il
Pandemonium, cioè la festa di tutti i diavoli!
All’inizio del
‘900 vennero approfonditi gli studi su quegli unguenti. Il Teirlink, come ingredienti psicoattivi
usava Datura Stramonium (o “erba del diavolo”) e Hioscyamus niger “Poco dopo essermelo
applicato, mi parve di volare attraverso
un tornado… feci sogni assai vividi di treni velocissimi e di meravigliosi
paesaggi tropicali”. L’hyoscyamus o
giusquiamo - derivante da culti celtici -
ancora oggi viene fumato nelle campagne romane, contro il mal di denti: ribattezzato erba di
Santa Apollonia, che venne martirizzata con l’estrazione violenta di tutti i
denti.
Datura,
Giusquiamo, Atropa e Mandragora, a bassi
dosaggi danno euforia , alterazioni spazio-temporali e vividezza nelle
percezioni sensoriali, mentre ad alte dosi compaiono dilatazione della pupilla,
allucinazioni e delirio. Effetti
psichici sono indotti anche da altre piante tipiche del corredo stregonesco:
Cicuta con paralisi motoria e eccitazione convulsiva. il Verbasco e la Valeriana producono
sedazione. Morella e Dulcamara provocano allucinazioni, vertigine, paralisi
dell’attività motoria e respiratoria. Digitale produce disorientamento
spazio-temporale, il Salice induce forme stuporose e sindrome maniacale. Nelle
ricette è ricorrente la Cannabis indica.
Il libro di cucina delle streghe (dette anche herbariae) è zeppo di orride bambolate: grasso di bambino non battezzato, sangue di pipistrello, ossa di morti… Non si
deve invece sottovalutare la presenza del rospo che, baciato al punto giusto,
si trasforma in principe: il punto giusto s’individua in ghiandole cutanee
contenenti Bufotenina che,
succhiata, induce stati allucinatori.
Molto vari sono gli effetti che possono produrre i composti ritrovati nella
pelle degli anfibi, come si può leggere nell’aureo libretto di Albert Most (Rospi psichedelici, Edizioni Nautilus).
In molte lingue o dialetti il rospo viene associato al fungo allucinogeno (vedi
Alice). In cina l’Amanita Muscaria si chiama fungo-rospo mentre a Treviso l’Amanita pantherina è chiamata Fongo Rospèr. Silvio Pagani ha
studiato delicatessen come la
Psilocybe semilanceata.
A
proposito di funghi, quando Hofmann scoprì l’acido lisergico (LSD nella claviceps purpurea, fungo crittogamico
che infesta la segale in fase di crescita, si sovvenne di strani fenomeni di
allucinazione collettiva che si verificavano di frequente fra i contadini che
si nutrivano di pane di segale. A questo punto ce n’è abbastanza per chiarire
l’esperienza del “volo”. Ma perché a cavallo di una scopa? E l’amplesso del
diavolo? I nomi di pixidariaee o baculariae
affibbiati alle streghe, rivelano quanto
importanti fossero nelle loro pratiche la scatola di un unguento e il manico di
una scopa. Giordano da Bergamo dice esplicitamente che esse montavano a cavallo
di un bastone spalmate di unguento. Ebbene, per assorbire attraverso la pelle
gli estratti delle solanacee “le zone del corpo più sensibili sono le ascelle
e, nelle donne per assorbire attraverso la pelle gli estratti delle solenacee
“le zone del corpo più sensibili sono le ascelle e, nelle donne, la vulva” (Couliano).
Data l’alta probabilità di infezione,
infiammazione e vaginite di ogni ordine e grado, la sofferenza fisica si
traduceva sul piano fantasmatico in un rapporto doloroso con un partner dotato
di un organo grosso e scaglioso. L’evaporazione dell’unguento, invece,
produceva la famosa sensazione di “freddezza”. Sic transit gloria diabuli. Questa è la banale verità, ben diversa
da quella che condusse al rogo migliaia di povere disgraziate.
Oltre ai testi citati, C. Corvino, Credenze stregoniche e interpretazioni farmacologiche a cura di M. Di Rosa, 1990. Pozioni stupefacenti in “Medio Evo, 7 agosto 1997.