Articolo tratto da: Corriere del Mezzogiorno, 2013
di Michele Pennetti
TARANTO - Una sudditanza condivisa per decenni, un invischiamento deliberato, una rivoluzione passiva che si è tradotta fuori tempo massimo in una sintesi di cittadinanza attiva. Se il presente e il futuro di Taranto restano legati al suo passato, all'Ilva o ex Italsider che dir si voglia, è per l'incapacità di emendarsi dal peccato originale dell'etero-direzione e per le troppe battute perse anche quando c'erano carta (i soldi) e penna (gli strumenti normativi) per schizzare un progetto differente dalla company town. Dicendola con Roberto Nistri, professore di storia e filosofia in pensione, studioso forsennato dei processi d'industrializzazione in terra jonica, scrittore prolifico che nel libro "Tarentinità un'identità residuale" del 2011 aveva previsto lo sbaraccamento dei Riva e il facsimile dell'esproprio, "domani, nonostante l'azione della magistratura e il commissariamento del governo, non si riesce a immaginare Taranto senza un'Ilva, nè a individuare una proposta di risarcimento, una corsia d'uscita dal tunnel della monocultura dell'acciaio. In egual modo, senza l'adattamento di Taranto al potente di turno e la bassezza della sua borghesia, senza una classe politica che negli ultimi 40 anni è salita alla ribalta nazionale solo grazie a Giancarlo Cito, senza il piegamento al padrone pubblico o privato, non ci sarebbe stata questa Ilva inquinante e giganteggiante. Il Riva premiato in Germania è il medesimo di Taranto. La differenza è che in Germania le regole le fanno rispettare, a Taranto l'unica regola era che non esistevano regole. Fossero esistite, non si sarebbe sprecato un patrimonio di credibilità riassunto da un film del 1967, "Promesse di marinaio", che raccontava la vicenda di ragazza milanese scesa a Taranto per cercare lavoro".
Ma il difetto di fabbricazione viene da lontano se già nel 1913, un secolo fa, Luigi Ferrajolo su "La voce del popolo" invocava la calata degli imprenditori del Nord per dare impulso al turismo e divincolarsi dalla morsa naval-militare sopravvenuta a fine '800 con l'innesto dell'Arsenale. "Un passaggio - ricorda Nistri - che portò la città fuori da una rocca, dall'isola in cui era rimasta inscatolata per 1300 anni, determinando la nascita dell'attuale borgo. Una trasmutazione piovuta dall'alto così come le successive commesse belliche, fonte di ricchezza, espansione e persino accettazione di condizioni lavorative al limite. La Spangler tratteneva agli operai il 25% dei salari. Ma il contesto assistenziale e distributivo, intrecciato all'opera di contenimento del municipio, garantiva la pace sociale". La stessa che nel secondo dopoguerra Taranto sembrò smarrire.
Tra il 1948 e il 1960 - anno della posa della prima pietra all'Italsider - si susseguirono cortei, manifestazioni di piazza, proteste collettive. La gente rivendicava una città diversa, che uscisse dalla nuova rocca: quella innalzata dalla Marina. "Il problema è che quando è stata costruita la terza - continua il prof - la comunità ad ogni livello si è accucciata là dentro, nel suo habitat naturale. Chi è abituato a forgiare tondini, mediamente può essere un eccellente esecutore però non un creativo, un inventore, un produttore di idee e soluzioni". Piuttosto, un collezionista di occasioni sciupate. Triennio 1959-1961: il consorzio Asi ottiene in affidamento il piano urbanistico connesso all'area industriale e lo delega, per inabilità di competenze, all'Italsider. Anno 1972: Muschio Schiavone, presidente della Provincia, inizia a combattere la presenza di elevati tassi di inquinamento e impianta le prime centraline di rilevamento, rimosse dal suo successore Tarantino. Anno 1989: una legge "di sostegno e deindustrializzazione", a margine di uno studio di Gregotti Associati e con un meccanismo di dismissione compensato da 3119 nuovi posti di lavoro, viene stracciata da un saccheggio di risorse che ha la sua sublimazione nel caso della Sural. E poi lo schiacciamento perpetuo sull'acciaieria. "Favorito - spiega Nistri - da un approccio discorde. Con l'Italsider non si registrarono grandi eventi corruttivi. Si agì di pastetta, come nell'affidamento della formazione alla Fim-Cisl controllata da monsignor Motolese. Si largheggiò con gli straordinari. E si fece leva sul circolo Ilva per creare un feeling con la città inondandola di tessere gratis e biglietti omaggio. Con l'Ilva tutto questo è diventato subcultura, degradando dal familismo al paternalismo autoritario, dai concerti sull'erba ai tornei aziendali di calcetto, dal distacco oggettivo con la vita della città alle relazioni untuose con l'arcivescovado". Per non parlare dei buoni da 100 euro da spendere presso Auchan, incassati dagli operai nei reparti dove si verificano ufficialmente meno incidenti e, sostengono le malelingue, si nascondono per convenienza non pochi sinistri. "E in mezzo tra le due epoche c'è stata la regressione etica dell'indotto, con "Il Messicano" Antonio Modeo che riciclò il denaro sporco della criminalità organizzata". Una storia di fronte alla quale, nel bene e nel male, a dispetto di inchieste e commissariamenti, la città appaltata non è ancora in grado di calcolare una via di fuga.
Michele Pennetti
domenica 30 giugno 2013
Una sudditanza condivisa
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sabato 29 giugno 2013
Dalla dittatura alla Repubblica. Recensione di Gaetano De Monte
da: TarantoOggi,
Mercoledì 8 Maggio 2013, pagina 7
Un
viaggio a più voci nel libro di Giovanni Battafarano su taranto
Dalla
dittatura alla Repubblica
Una
vasta cornice di pubblico, lunedì sera, nella sala del centro sportivo Magna
Grecia, ha fatto da cornice alla presentazione del libro ‘Taranto Democratica,
dalla dittatura alla Repubblica 1943-1946’, da pochissimi giorni in libreria,
edito da Scorpione Editrice. Un volume collettaneo, a più voci, curato da
Giovanni Battafarano, responsabile Anpi per il Mezzogiorno e presidente
provinciale della stessa associazione dei partigiani d’Italia. Un’opera che si
avvale degli storici tarantini Alfredo Anzoino, Roberto Nistri, Pinuccio Stea.
“E’l’ultimo lascito scientifico che Alfredo Anzoino consegna alla città” dice
subito, in apertura di serata, un commosso Giovanni Battafarano mentre ricorda la
figura dello storico contemporaneista, scomparso solo pochi giorni fa. Anzoino,
intellettuale apprezzato, dirigente scolastico dell’Archita, rappresentava al
meglio una generazione di giovani docenti che negli anni ’60 erano convinti di
avere una missione fondamentale. Quella di garantire la possibilità, cioè, agli
studenti dei ceti popolari, di acquisire gli strumenti culturali. In un Paese,
l’Italia, che negli ultimi trent’anni ha attraversato un profondo processo di
rimozione e mistificazione della guerra di liberazione, in cui si è fatta
strada, a livello politico e storiografico, l’immagine del “fascismo buono”, la
stessa, identica, operazione culturale che fu fatta per le colonie e “gli
italiani brava gente”, ‘Taranto Democratica, dalla dittatura alla Repubblica 1943-1946’
ha la pretesa di colmare i vuoti lasciati dalla storicistica ufficiale, dagli
insegnamenti nelle scuole, dalle stesse posizioni, a volte ambigue, delle
istituzioni politiche. Per raccontare, spiegare, far conoscere, tutto ciò che è
avvenuto, senza limiti, luci ed ombre, di quel periodo, momenti di vittoria e
sconfitta, di elaborazione e lutto. Ma ‘Taranto Democratica, dalla dittatura
alla Repubblica 1943-1946’ è un’opera fondamentale, anche, perché mira a
sfatare un pregiudizio: quello del sud che ha conosciuto poco la resistenza, ed
ancor meno l’antifascismo. “Pregiudizi infondati, perché Taranto ha conosciuto l’antifascismo,
espressosi in varie forme, così come in altre città del sud”, si legge nella
prefazione scritta da Carlo Smuraglia, presidente nazionale Anpi, al volume che
fa parte di un percorso che l’Anpi di Taranto ha avviato già da qualche tempo: quello
di far vivere il percorso della memoria attraverso momenti di grande spessore
artistico e culturale. Come è stato già fatto con la mostra di pittura sulla
resistenza del maestro Enzo Falcone, tenutasi l’anno scorso nella galleria del
Castello aragonese. O così come si sta facendo con il progetto di costituzione
della biblioteca dell’antifascismo a Taranto, (1922- 1946); un piano di lavoro
che avvalendosi di un apposito comitato scientifico, coordinato da Giuseppe
Stea, e composto da valenti storici, giovani e meno giovani, si sta ponendo
l’obiettivo di costituire un archivio della documentazione esistente
sull’antifascismo e la resistenza in terra ionica. L’opera, quindi, altro con è
che un tassello di quell’opera di ricostruzione della nostra storia locale che
va dagli ultimi anni del fascismo fino alla nascita della Repubblica, che l’Anpi
sta portando avanti. In una città, Taranto che pagò un alto prezzo in termini
di carcere e morte per gli antifascisti. Un antifascismo, quello ionico, di
matrice prevalentemente comunista, che poteva contare su leader prestigiosi
come Odoardo Voccoli, sindaco di Taranto e senatore della Repubblica, Giuseppe Latorre,
deputato al Parlamento, ma anche su un diffuso numero di quadri intermedi che
permettevano all’organizzazione di radicarsi non solo tra gli operai, ma anche
tra i pescatori, gli artigiani e i ferrovieri. “Ma Taranto ebbe la
particolarità di essere stata anche una città fascistissima” scrive Giovanni
Battafarano. E prove lo sono il ruolo di primo piano assegnato alla città dalla
strategia espansionistica del regime e i tantissimi investimenti
infrastrutturali che determinarono la piena occupazione e di conseguenza un
vasto consenso al regime. Questo volume, quindi, ha anche l’ambizione di
ricostruire la maniera in cui Taranto passa dall’entusiasmo per la guerra alla
lotta antifascista. All’interno tre saggi ricostruiscono gli ultimi anni della
guerra che poi diventerà di liberazione. Nel primo ‘L’altro dopoguerra e la
nascita della nuova Italia’, Roberto Nistri ricostruisce il periodo che va
dall’8 settembre 1943 al 25 aprile 1945. Descrivendo la caduta del regime,
arricchendola con note farsesche che dimostrano quanto qui il regime non cadde
con quell’aurea di tragicità che si riscontra da altre parti d’Italia. Nel
saggio uscito postumo, Alfredo Anzoino ricorda i tarantini caduti durante la resistenza
e la guerra di liberazione, a tanti dei quali è dedicata, anche, una lapide a
Palazzo di Città, affissa dalla giunta municipale il 25 aprile 1947. In quella
lapide manca una figura prestigiosa di quella gloriosa pagina di storia
tarantina. Il colonnello dei carabinieri Ugo De Carolis, caduto alle Fosse
Ardeatine. Non manca la figura del carabiniere, invece, nella rievocazione
offerta nel libro, da Anzoino. Al posto del docente scomparso, è toccato a
Salvatore Romeo, giovane dottorando in storia, relazionare nell’incontro.
Nell’ultimo saggio scritto da Giuseppe Stea, siamo già oltre la guerra: 25
aprile 1945 – 2 giugno 1946 è il periodo breve ma intentissimo con cui si
chiude il libro. Quella gloriosa tradizione di storia politica, culturale e
sociale, sul cui ritorno, nel tempo in cui si richiama una nuova stagione
costituzionale, si dichiara scettico il magnifico rettore dell’ateneo barese
Corrado Petrocelli, a cui sono state affidate le conclusioni dell’incontro.
Gaetano
De Monte
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venerdì 28 giugno 2013
Taranto a vita bassa: La ricchezza perduta dei due mari
Taranto a vita bassa: La ricchezza perduta dei due mari
Il giornalista - attivista Gaetano De Monte cita il mio libro "Taranto a vita bassa":
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