di Roberto Nistri
già edito in: Taranto Oggi - 31 dicembre 2013
Nei primi anni
Ottanta Taranto viveva la sua ultima stagione felice. Era una città con una
forte e riconosciuta identità: godeva ancora di un benessere più o meno diffuso
e risultava plausibile una prospettiva di innovazione culturale , un non- solo-
acciaio volto ad arginare lo strapotere della monocultura. Con la conclusione
della Vertenza Taranto, bene o male era stata riassorbita la disoccupazione di
ritorno e la base operaia rimaneva ancora la spina dorsale della città , mentre
alla Fiat la composizione metalmeccanica subiva una pesantissima contrazione.
Certo la felicità non disdegnava la compagnia dell’ottusità. Il mucchio
selvaggio delle ditte appaltatrici rimaneva il brodo di cultura di una rampante
economia criminale, mentre sul mercato dell’acciaio i paesi emergenti diventavano
sempre più competitivi. Nel futuro di Taranto erano sempre appostati i mille
errori del suo passato.
“Era il migliore dei tempi, era il peggiore dei tempi”,
aveva scritto Dickens nel Racconto delle
due città, e anche quel titolo calzava a pennello per l’eterna Taranto
duale. Il giocattolo doveva essere frantumato da un articolo del grande Sandro
Viola, Un salto nell’Italsider, così Taranto si è uccisa, in “la
Repubblica” del 29 settembre 1985. Era il de
profundis della città-azienda, destinato a suscitare polemiche e proteste
fra gli operatori culturali, che proprio in quegli anni si erano impegnati nel
risanamento della Città vecchia e in una strategia di reconquista di un primato culturale antagonista rispetto al tardo
municipalismo “cataldiano”. In verità Viola non aveva mancato di apprezzare una
“buona sorpresa”: una piccola scuola di
storici della Taranto industriale, che aveva già prodotto validi
approfondimenti scientifici, “a partire dal fortunato esordio di un libro di
Roberto Nistri, Cafoni, arsenalotti e
galantuomini”. In effetti, per la prima volta e in pochi anni, la cultura cittadina poteva esibire un corredo
di pubblicazioni molto apprezzate nella storiografia nazionale, che dovevano
funzionare da volano per la nascita di riviste e di case editrici ancora oggi
operative, anche con un ruolo propositivo da parte delle Istituzioni. Veniva a
determinarsi una sinergia miracolosa fra Giuliana Ermacora, dirigente del CRSEC
Regione Puglia, Giuseppe Francobandiera dirigente del circolo aziendale
dell’Italsider e massimo operatore culturale del Mezzogiorno, nonché Tommaso
Anzoino, illuminato assessore alla cultura del Municipio di Taranto.
Si trattava dunque di un passaggio realmente cruciale e
ricco di chiaroscuri. E’stato
piacevolmente rievocato il 18 dicembre 2013 nella splendida location di via Duomo, con una godibile “chiamata alle
arti” di molti operatori musicali e artistici di quegli anni, in occasione
della presentazione del libro di Sergio Natale Maglio: Taranto new Wave, una meritoria pubblicazione dell’editore
Scorpione che, nell’immane pubblicistica jonica inzuppata di diossina e
benzoapirene, ha offerto la storia
inedita di una musica giovane prodotta
da ragazzi che inseguivano una utopia fra due mari: “Dedicato a chi l’ha
visto e a chi non c’era / e a chi quel
giorno lì / inseguiva una chimera”
(Ivano Fossati).
Si racconta la romantica vicenda di una generazione nata in
piazza della Vittoria che, fra gli ultimi anni ’70 e i primi anni ’80, ha voluto puntare su Taranto, ha cercato di
essere protagonista di una svolta al contempo politica e musicale, al di fuori
e contro il recinto siderurgico, costruendo gemellaggi sonori con altre
dimensioni musicali come Pordenone, avendo anche come sponda eccentrici
intellettuali “adulti” che frequentavano
il mitico Caffè di via D’Aquino; una esperienza anche quella
proficua e irripetibile. L’onda
lunga della contestazione giovanile doveva frangersi sulla Nuova Frontiera della
droga e della malavita organizzata. Ma
della storia dispersa di quella meglio gioventù si continuerà ancora a raccontare. Utopia, utopia, per
piccina che tu sia…
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