giovedì 21 maggio 2015

Biblioteca meridionale: Franco Cassano, Il pensiero meridiano


FRANCO CASSANO, Il pensiero meridiano, Bari 1996.

Recensione di Roberto Nistri

Abbiamo presentato il libro il 28 maggio 1996, nel salone de “La nuova Sem”. 
Il testo integrale dell’intervento è reperibile  in “Galaesus”, Taranto, n.20.

Con la lama gentile di una scrittura accattivante e lieve, ma strutturata come una rete a maglie strette che sembra non lasciar sfuggire alcuna delle questioni cruciali del nostro tempo, Cassano taglia e sagoma la fisionomia di uno scritto di fine millennio, un testo-manifesto che già nelle prime sei pagine offre una sorta di dichiarazione programmatica: “Non pensare il sud alla luce della modernità ma, al contrario, pensare la modernità alla luce del Sud”. Un pensiero unico è la peggiore delle idolatrie . E’ legittimo lavorare solo per una cultura che riconosce la parzialità di ogni dimensione. Il Mediterraneo che “media le terre” ne è l’esplicazione. Il confine non è il luogo dove il mondo finisce ma quello dove i diversi si incontrano. Il pensiero meridiano nasce dal “sospetto per questa chiusura del mondo in cui i vincitori pretendono di imbottigliare l’umanità all’interno di un solo gioco, quello in cui hanno vinto e continueranno a vincere… Si racconta una favola ai perdenti: questa volta è andata male,  ma le iscrizioni alla corsa sono sempre aperte. Ognuno si presenta da solo e deve battersi contro tutti, tentando almeno di lasciarsi qualcuno dietro le spalle. Agli uomini “correnti” che hanno interiorizzato l’imperativo della velocità, tanto da amministrare il proprio corpo come impresa, il pensiero mediterraneo offre un riparo ai profughi del pensiero veloce, “quando la macchina inizierà a tremare sempre di più e nessun sapere riuscirà a soffocare il tremito”.
      Il mare greco è arcipelago, simbolo di differenza e di relazione. Fra dialogos e polemos è nata l’Europa. Ma il pensiero meridiano perde se non cambia la vecchia pelle del pensiero “meridionalistico”, se non affronta una prassi straordinaria che, diceva Giordano Bruno, comporta il “disquarto” della vecchia pelle. Non possiamo ritrarci di fronte alla mutazione. Questo Sud, questo territorio sarà universale o morirà.

martedì 19 maggio 2015

Biblioteca meridionale: Claudio Fava, L'Italia dimenticata dagli italiani


CLAUDIO FAVA, L’Italia dimenticata dagli italiani, Milano 1995.

(Un viaggio nel sud d’Europa, in “Taranto Città futura”, “LiberEta”, agosto 1995)

Recensione di Roberto Nistri
Pubblicazione integrale in “Galaesus”, n. 19.

Claudio Fava, figlio di Giuseppe Fava, vittima della mafia, conferma un limpido impegno civile senza committenza politica, senza appartenenza di botteghe e complicità di cordata. L’unica appartenenza, dichiarata e irrinunciabile, è ad una terra, a una storia, a una memoria: a un sud che non è quello lagnoso e vittimista, cinico e rapace, ma è quello che ha il volto fiero e malinconico di Gian Maria Volontè nelle sue interpretazioni dei personaggi di Sciascia. Da giornalista di razza, Fava percorre e ripercorre le strade di questo sud, continuamente scrivendo e riscrivendo le carte dei bisogni e delle speranze, dei vecchi e dei nuovi poteri, la topografia dei contropoteri, della resistenza alla sopraffazione e al degrado. Una voce che rompe il silenzio del sud, un sud che è stato zittito, colpevolizzato da una sorta di rivoluzione passiva che lo indica come il “piombo” nelle ali dello svilippo… Se vogliamo liberarci da questa sorta di ipnosi, non dobbiamo cedere alla tentazione del cupio dissolvi, dello spirito apocalittico, del pathos della rovina, dell’estetica del relitto. Dobbiamo resistere al canto delle sirene dei malintenzionati adulatori, dei colonialistici “valorizzatori”,  con i loro stipendiati trombettieri. Il vero amico del Sud non può essere uno specialista della dimenticanza, uno stiratore di panni sporchi o un fabbricatore di scacciapensieri. Deve essere un uomo-contro, che riesce a serbare la memoria del dolore, che è capace di criticare amando… 

sabato 16 maggio 2015

Piazza Giordano Bruno e la storia d'Italia

Piazza Giordano Bruno nel 1900

Giovanni Artieri, "Roghi e duelli"

di ROBERTO NISTRI

Articolo tratto da "QUOTIDIANO", del 5 aprile 1994)

Si presenta come un intenso pellegrinaggio nel passato delle idee, nella storia di una romantica "Italietta" di cento anni, fa, il dodicesimo volume di Giovanni Artieri: Roghi e duelli. Eretici, martiri, provocatori (Mondadori). Viene offerta un'esposizione documentaria e quasi giornalistica, più che un'analisi storica, di semi-dimenticati eventi e personaggi dell'età crispina, perché spesso - dice Artieri - il lettore ha maggior diletto nel toccare con la mente le prove, gli scritti, le testimonianze. La storia si conclude con il colpo di sciabola nella gola del deputato Felice Cavalletti, "il bardo della democrazia". Le prime pagine del libro ci fanno invece girovagare per Campo dei Fiori dove oggi riposa, nella solitudine propria dei monumenti dimenticati, la statua di Giordano Bruno eretta nel 1889: fatidica epitome del libero pensiero, gli occhi polemicamente rivolti verso quel Vaticano che lo spirito postrisorgimentale vedeva come avversario della patria una e laica. Il 1888 era stato un anno segnato da duri scontri fra clericali e anticlericali.

Dopo vani negoziati con la Santa Sede, il Crispi aveva dato sfogo alla delusione scatenando una campagna che doveva culminare nella solenne manifestazione romana per l'inaugurazione di un monumento al grande eretico, nel luogo stesso ove Giordano Bruno aveva trovato la morte sul rogo. La statua venne commissionata allo scultore Ettore Ferrari, gran maestro della massoneria, che aveva disseminato in tutta Italia un numero incalcolabile di Garibaldi, Mazzini, Vittorio Emanuele a cavallo e via dicendo. Il 9 giugno l'orazione inaugurale venne tenuta dall’indiscusso specialista in laiche predicazioni, Giovanni Bovio che aveva dettato la bella epigrafe: A BRUNO / IL SECOLO DA LUI DIVINATO / QUI/DOVE IL ROGO ARSE.
A leggere queste prime pagine del libro sulla statua di Bruno e l'epigrafe
di Bovio, non poteva non ritornarci alla memoria un episodio di storia jonica, che certamente avrebbe incuriosito Giovanni Artieri.
Già un anno prima la città di Taranto si era mobilitata per sostenere la celebrazione dei filosofo "d'ogni legge nemico e dogni fede", inviando al Presidente del Consiglio l'ordine del giorno dettato dall'avvocato Pietro Pupino-Carbonelli: "Taranto, commemorando oggi il martire del libero pensiero, Giordano Bruno, fa voti che nel luogo dove la ferocia della Curia romana arse vivo l'eroe in nome di Dio, sorga tosto il monumento che voto di popolo gli ha decretato, qual rivendicazione dovuta alla memoria del sommo filosofo, come protesta solenne della coscienza nazionale". Questo ordine del giorno era stato adottato all'unanimità dai partecipanti alla manifestazione del 19 febbraio 1988, quando venne intestata al filosofo nolano la piazza centrale del Borgo.
Così la cronaca del periodico Taras: "Il Comitato, composto dalla rappresentanza municipale, con a capo il nostro Sindaco, Cavalier Vincenzo Sebastio di tutte le scuole del Ginnasio Archita, delle Tecniche e delle elementari, e parecchie associazioni, si mosse al suono dell'inno dal palazzo di città per recarsi allo scoprimento della lapide commemorativa ... Mentre altri sindaci canonizzano insieme al clericalume i loro santi, il Sindaco di Taranto, insieme alla rappresentanza comunale, battezza la gran piazza del Borgo col nome più grande, più puro, Giordano Bruno". A questo punto l'egregio sindaco scoprì la lapide con l'epigrafe dettata da Giovanni Bovio (non meno bella di quella per Campo dei Fiori), su invito del Pupino Carbonelli: CHI MUORE PER IL LIBERO PENSIERO / ONORA LA PATRIA / APPARTIENE AL MONDO / BRUNO.
Dopodiché il corteo si recò nell'atrio del ginnasio Archita, dove il pubblico fu sfiancato dall'esimio professor Pellizzari, la cui conferenza durò "più ore" (come annota La Sentinella e "tutto estesamente trattò, cosa che annoiò un tantino" (come riferisce il cronista di Taras). E così la città ebbe la sua Piazza Giordano Bruno, che continuò per un pezzo a essere luogo di conllitti fra fazioni, come l'anno successivo, i1 9 giugno, quando i cattolici fecero affiggere, sulla chiesa di San Domenico una epigrafe "riconsacratoria" della città.
I cittadini presero familiarità con il combattivo nome della piazza, ma nel contempo, a partire dal "patto Gentiloni”, presero a smorzarsi i bui lenti spiriti laici della classe dirigente tarantina: per frate Giordano tornavano i tempi brutti. Il Fascismo non poteva certo tollerare a lungo questa bandiera dci "libero pensiero" infissa al centro della città: alla prima occasione la lapide scomparve e piazza Giordano Bruno fu "normalizzata" e ribattezzata piazza Italo Balbo.

Alla caduta del fascismo scompariva il nome del barbuto gerarca. Per  coerenza e senso storico sarebbe stato opportuno ripristinare la vecchia intestazione della piazza, sia perché tutti i tarantini continuavano a chiamarla "Giordano Bruno" sia perché questo nome ben avrebbe rappresentato la volontà di rinascita contro il dispotismo. E invece, sotto l'egida del commissario prcfettizio cav. uff. avv. Agilulfo Cararnia, vecchio liberale e massone, si passò da P. Giustizia e Libertà a P. della Conciliazione, per approdare, infine, a P. Maria Immacolata (come si vede, la storia d'Italia in una pialla). L’avv. Temistocle Scalinci della commissione per la toponomastica, tentò nel 1946 di convincere il sindaco comunista Voccoli di ripristinare il vecchio toponimo e ci riprovò nel 1951 e nel 1957 con altre amministrazioni. Tutto inutile: forse anche le forze politiche della "nuova Italia" non avevano in grande simpatia il "libero pensiero".

Comunque, per strade tortuose, il filosofo perseguitato ha continualo a resistere. La vecchia lapide venne ritrovata da Scalinci e fatta apporre a sud-est del Palazzo degli Uffici, ove l'epigrafe di Bovio continua ad ammonire i ragazzetti che si accalcano attorno ai telefoni. E resiste anche l'abitudine di qualche vecchio tarantino che ancora oggi, dopo tanti anni, continua a chiamare la piazza centrale del Borgo: Piazza Giordano Bruno.