«Taranto rinasce con i provinciali»
Nistri: il mancato rapporto fra città e hinterland è stato la grande occasione perduta
Articolo pubblicato in: La Gazzetta del Mezzogiorno di Lunedì 18 gennaio 2016, p. VI
di Fulvio Colucci
«L’idea del libro mi è venuta ricordando l’anziano contadino
della provincia che mi chiedeva sempre: “e tu, a ci appartieni?”. Lo storico
Roberto Nistri ama ironizzare con graffiante leggerezza sugli episodi della
storia, grandi o piccoli che siano. Così, rievocando il passato, trovano spazio
le uova di Martina Franca «arrivavano freschissime » e mille altri aneddoti di quella
galassia, finora poco esplorata dal punto di vista storiografico, delle
relazioni (mancate) fra la città e il suo hinterland. «Una incerta appartenenza
» è il titolo dell’ultimo libro dell’intellettuale tarantino edito da Scorpione
(10 euro). «Analizzo un periodo importante: dal 1860 al 1914, con un occhio
particolare alla Belle Époque. Nei suoi ultimi lavori la Taranto del passato
diventava occasione per riflettere sul futuro, in particolare rispetto alla
vicenda siderurgica. Le pagine di “Una incerta appartenenza” rappresentano,
invece, una cesura con quel filone narrativo. «Ho chiuso con la dimensione tarantino-siderurgica.
Ho travasato a sufficienza due mari in un bicchiere. Ritenevo inutile accanirsi
sul “paziente”. Mancava, invece, la dimensione del racconto storico sulle relazioni
fra la città e la provincia. Un grande punto di debolezza per Taranto, una grande
occasione perduta».
Perché?
«Quando si dice: occorrono alternative alla siderurgia si dimentica
che esistevano ben prima della nascita delle acciaierie. A Taranto e in
provincia. Penso all’agricoltura e al commercio. Al porto mercantile. Nel libro
analizzo storicamente la situazione al momento dell’arrivo della Marina Militare,
quando tutto cambia. S’impone l’industria pesante e la politica si adatta, chinando
la testa. Penso alle figure dei sindaci dell’epoca, ridottesi a gestire
finanziamenti a pioggia arrivati dallo Stato, grazie ai buoni uffici del sottosegretario
alla Guerra Federico Di Palma. Avrebbero potuto, invece, tessere relazioni con
i Comuni vicini: Martina Franca, Manduria, Massafra erano realtà economicamente
vivaci. La mancanza di rapporti ha nuociuto di più alla città».
In che modo?
«Perché i Comuni della provincia hanno continuato a fare da
soli mantenendo la propria vivacità. Taranto si è intorpidita nelle sorti
progressive della Marina e poi dell’acciaio. E ha fatto propria quella visione
di cui parlava Enrico Presutti, il funzionario tecnico del governo Giolitti che
due secoli fa stese una specie di “planimetria economica” del territorio.
Presutti scriveva, guardando alle trattative tra proprietari terrieri e rappresentanti
sindacali dei braccianti: “I padroni non considerano i contadini uomini come
loro”. Ecco, questo concetto può estendersi alla borghesia tarantina, borghesia
del mattone, i palazzinari che fuori dal circuito degli espropri terrieri e
della cementificazione, non hanno saputo elaborare un’idea di città. Essi non
vedevano solo il proletariato e il sottoproletariato cittadino fuori dalla
sfera “umana”, ma anche gli abitanti della provincia. Quest’errore pesa sulle
spalle di Taranto in modo decisivo».
Che intende col termine provincia vivace?
«Oggi se provi a portare il nome di un intellettuale come Cacciari
o di un architetto come Renzo Piano a Taranto rischi di non vedere nessuno all’incontro.
Diversamente, in provincia, il fermento culturale è palpabile e se porti un nome
importante troverai le sale piene. Sembrano dettagli, ma non lo sono. Aggiungo
che “Una incerta appartenenza” scandaglia la storia dei Comuni del Tarantino
rilevando la presenza di fatti e personaggi importanti, per esempio nella
storia del movimento socialista, tra gli anarchici. Se la città e i centri
minori avessero avuto una coscienza dell’identità e del destino comune, la
storia sarebbe andata diversamente e Taranto non avrebbe vissuto quel torpore secolare
cui facevo cenno».
Ma è possibile riconnettere le identità?
«Io provo a sfidare dal punto di vista culturale la mia
città in questo senso. Per me è possibile far nascere una “quarta Taranto”
integrando, finalmente, la comunità tarantina e l’hinterland. Però attenzione:
il mio è un discorso di principio. Non ho un piano operativo. Il libro rappresenta
un contributo culturale e spero ne seguano altri, sempre nell’ottica degli studi
storici. Certo non possiamo insistere con la storia della Città vecchia».
Ma come? L’Isola è vista da tutti come il futuro.
«Dall’Isola si può tirar fuori poco, facciamocene una
ragione. Ammesso poi che arrivino risorse consistenti. La sua fragilità, a
partire dal tessuto urbano, è evidente. Come la tela di Penelope, la Città vecchia
un giorno si fa e l’altro si disfa. Mancano le idee e non si può piroettare
funambolicamente sul filo teso fra Sparta e Matera».
Torna ad essere duro con chi propone lo sviluppo alternativo?
«No io parlo sulla base della storia e dei dati di fatto.
Una “quarta Taranto” potrebbe nascere da un nuovo intreccio fra città e
provincia, insisto a dirlo. Una specie di trasfusione di sangue dall’hinterland
per troppi anni penalizzato dalla città e dalla divorante monocultura, prima militar-industriale
e poi siderurgica. Io mi auguro che, saltando l’impianto delle Province, gli
attuali amministratori dei Comuni, a partire dal sindaco di Taranto, possano riflettere
su un rinnovato contesto di rapporti fra le città: vocazioni artistiche come quelle
di Massafra, Manduria, Grottaglie o Martina Franca non vanno sottovalutate.
Travasando le energie provinciali è possibile rigenerare la città. Del resto
sono proprio gli abitanti dei Comuni più piccoli che hanno fatto grandi le
città. Penso a Milano, per esempio, che si dice sia stata costruita dai
bergamaschi».
È stato faticoso scrivere «una incerta appartenenza»?
«È stata una operazione difficile, certo. Ho provato a
tracciare una mappa ma era impossibile ricostruirla del tutto. Prima accennavo
alla speranza di altri studi storici che seguano questo solco appena tracciato.
Per trovare altre carte a Taranto e negli altri Comuni, ricostruire il passato,
rendere giustizia alla memoria storica e guardare al futuro con una
possibilità».
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