venerdì 18 marzo 2016

«Taranto rinasce con i provinciali» Nistri: il mancato rapporto fra città e hinterland è stato la grande occasione perduta



«Taranto rinasce con i provinciali»

Nistri: il mancato rapporto fra città e hinterland è stato la grande occasione perduta

Articolo pubblicato in: La Gazzetta del Mezzogiorno di Lunedì 18 gennaio 2016, p. VI

di Fulvio Colucci

«L’idea del libro mi è venuta ricordando l’anziano contadino della provincia che mi chiedeva sempre: “e tu, a ci appartieni?”. Lo storico Roberto Nistri ama ironizzare con graffiante leggerezza sugli episodi della storia, grandi o piccoli che siano. Così, rievocando il passato, trovano spazio le uova di Martina Franca «arrivavano freschissime » e mille altri aneddoti di quella galassia, finora poco esplorata dal punto di vista storiografico, delle relazioni (mancate) fra la città e il suo hinterland. «Una incerta appartenenza » è il titolo dell’ultimo libro dell’intellettuale tarantino edito da Scorpione (10 euro). «Analizzo un periodo importante: dal 1860 al 1914, con un occhio particolare alla Belle Époque. Nei suoi ultimi lavori la Taranto del passato diventava occasione per riflettere sul futuro, in particolare rispetto alla vicenda siderurgica. Le pagine di “Una incerta appartenenza” rappresentano, invece, una cesura con quel filone narrativo. «Ho chiuso con la dimensione tarantino-siderurgica. Ho travasato a sufficienza due mari in un bicchiere. Ritenevo inutile accanirsi sul “paziente”. Mancava, invece, la dimensione del racconto storico sulle relazioni fra la città e la provincia. Un grande punto di debolezza per Taranto, una grande occasione perduta».

Perché?

«Quando si dice: occorrono alternative alla siderurgia si dimentica che esistevano ben prima della nascita delle acciaierie. A Taranto e in provincia. Penso all’agricoltura e al commercio. Al porto mercantile. Nel libro analizzo storicamente la situazione al momento dell’arrivo della Marina Militare, quando tutto cambia. S’impone l’industria pesante e la politica si adatta, chinando la testa. Penso alle figure dei sindaci dell’epoca, ridottesi a gestire finanziamenti a pioggia arrivati dallo Stato, grazie ai buoni uffici del sottosegretario alla Guerra Federico Di Palma. Avrebbero potuto, invece, tessere relazioni con i Comuni vicini: Martina Franca, Manduria, Massafra erano realtà economicamente vivaci. La mancanza di rapporti ha nuociuto di più alla città».

In che modo?

«Perché i Comuni della provincia hanno continuato a fare da soli mantenendo la propria vivacità. Taranto si è intorpidita nelle sorti progressive della Marina e poi dell’acciaio. E ha fatto propria quella visione di cui parlava Enrico Presutti, il funzionario tecnico del governo Giolitti che due secoli fa stese una specie di “planimetria economica” del territorio. Presutti scriveva, guardando alle trattative tra proprietari terrieri e rappresentanti sindacali dei braccianti: “I padroni non considerano i contadini uomini come loro”. Ecco, questo concetto può estendersi alla borghesia tarantina, borghesia del mattone, i palazzinari che fuori dal circuito degli espropri terrieri e della cementificazione, non hanno saputo elaborare un’idea di città. Essi non vedevano solo il proletariato e il sottoproletariato cittadino fuori dalla sfera “umana”, ma anche gli abitanti della provincia. Quest’errore pesa sulle spalle di Taranto in modo decisivo».

Che intende col termine provincia vivace?

«Oggi se provi a portare il nome di un intellettuale come Cacciari o di un architetto come Renzo Piano a Taranto rischi di non vedere nessuno all’incontro. Diversamente, in provincia, il fermento culturale è palpabile e se porti un nome importante troverai le sale piene. Sembrano dettagli, ma non lo sono. Aggiungo che “Una incerta appartenenza” scandaglia la storia dei Comuni del Tarantino rilevando la presenza di fatti e personaggi importanti, per esempio nella storia del movimento socialista, tra gli anarchici. Se la città e i centri minori avessero avuto una coscienza dell’identità e del destino comune, la storia sarebbe andata diversamente e Taranto non avrebbe vissuto quel torpore secolare cui facevo cenno».

Ma è possibile riconnettere le identità?

«Io provo a sfidare dal punto di vista culturale la mia città in questo senso. Per me è possibile far nascere una “quarta Taranto” integrando, finalmente, la comunità tarantina e l’hinterland. Però attenzione: il mio è un discorso di principio. Non ho un piano operativo. Il libro rappresenta un contributo culturale e spero ne seguano altri, sempre nell’ottica degli studi storici. Certo non possiamo insistere con la storia della Città vecchia».

Ma come? L’Isola è vista da tutti come il futuro.

«Dall’Isola si può tirar fuori poco, facciamocene una ragione. Ammesso poi che arrivino risorse consistenti. La sua fragilità, a partire dal tessuto urbano, è evidente. Come la tela di Penelope, la Città vecchia un giorno si fa e l’altro si disfa. Mancano le idee e non si può piroettare funambolicamente sul filo teso fra Sparta e Matera».

Torna ad essere duro con chi propone lo sviluppo alternativo?

«No io parlo sulla base della storia e dei dati di fatto. Una “quarta Taranto” potrebbe nascere da un nuovo intreccio fra città e provincia, insisto a dirlo. Una specie di trasfusione di sangue dall’hinterland per troppi anni penalizzato dalla città e dalla divorante monocultura, prima militar-industriale e poi siderurgica. Io mi auguro che, saltando l’impianto delle Province, gli attuali amministratori dei Comuni, a partire dal sindaco di Taranto, possano riflettere su un rinnovato contesto di rapporti fra le città: vocazioni artistiche come quelle di Massafra, Manduria, Grottaglie o Martina Franca non vanno sottovalutate. Travasando le energie provinciali è possibile rigenerare la città. Del resto sono proprio gli abitanti dei Comuni più piccoli che hanno fatto grandi le città. Penso a Milano, per esempio, che si dice sia stata costruita dai bergamaschi».

È stato faticoso scrivere «una incerta appartenenza»?

«È stata una operazione difficile, certo. Ho provato a tracciare una mappa ma era impossibile ricostruirla del tutto. Prima accennavo alla speranza di altri studi storici che seguano questo solco appena tracciato. Per trovare altre carte a Taranto e negli altri Comuni, ricostruire il passato, rendere giustizia alla memoria storica e guardare al futuro con una possibilità».

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