L'eguaglianza è ciò che fa la differenza
di
ROBERTO NISTRI
Recensione a "Destra e sinistra" di Norberto Bobbio, pubblicata in: Quotidiano di martedì 22 marzo 1994
Il
Gran Bazar del “nuovismo” continua freneticamente a spacciare luccicanti
patacche, nel rumoroso talk-show
affollato da tutti i magliari e gli imbonitori della peggiore
politica-spettacolo. L'orchestrina degli ideologi della “morte di tutte le
ideologie” ha suonato a ripetizione il motivo della “obsolescenza delle vecchie
categorie della Destra e della Sinistra”, ed ecco che la nuova legge elettorale
ci restituisce pari pari, con il suo implacabile “o di qua o di là”, la buona
vecchia coppia antitetica: appunto, la Destra e la Sinistra. E che la cosa non
sia per niente sorprendente ce lo spiega, con l'impagabile chiarezza che è propria
della grande onestà intellettuale, Norberto Bobbio con il suo ultimo pamphlet: Destra
e Sinistra. Ragioni e significati di una
distinzione politica (1994).
La maggior
parte delle persone ritiene che questa distinzione abbia ancora un valore, ma i
criteri per giustificarla sono i più vari, ed è merito di Bobbio l'aver
delucidato con metodo rigoroso tali criteri ed aver affrontato la questione a
partire dal suo più profondo nucleo teorico. E facile constatare l’esistenza di
molte “destre” e molte “sinistre”, ma questa constatazione di fatto induce non
all'elusione ma alla ridefinizione dell’essenza più intima della distinzione, del
criterio per distinguere la destra dalla sinistra. Perché di questo si parla quando
s'invoca la tanto sospirata alternanza, fra che cosa? Ma si capisce, fra una
sinistra e una destra, al di là delle cortine fumogene.
La differenza consiste nel diverso atteggiamento
che le due parti - il popolo di destra e il popolo di sinistra - sistematicamente
mostrano nei confronti dell'idea di eguaglianza: la “contrapposizione fra
visione orizzontale ed egualitaria della società e visione verticale o
inegualitaria”. Naturalmente,
eguaglianza e diseguaglianza sono concetti relativi: né la sinistra pensa che
gli uomini siano in tutto eguali, né la destra pensa che essi siano in tutto
diseguali. Ma coloro che si proclamano di sinistra danno maggiore importanza,
nella loro condotta morale e nella loro iniziativa politica, a ciò che rende
gli uomini eguali, o ai modi di attenuare e ridurre i fattori della
diseguaglianza: mentre coloro che si proclamano di destra sono convinti che le diseguaglianze
siano un dato ineliminabile, e che in fin dei conti non se ne debba neanche
auspicare la soppressione.
Questa idea è ampiamente
condivisa, anche da parte di persone che appartengono a schieramenti opposti. Così
un intellettuale di sinistra come Cacciari: “L'esistenza di condizioni di base d'uguaglianza,
e dunque di politiche di difesa dei ceti meno protetti, più deboli, vale per me
come componente essenziale della qualità della vita”. Bobbio cita anche il
parere dell'ideologo di Alleanza Nazionale, Fisichella: “Mentre la sinistra è fondata
sull'idea di eguaglianza, la destra su quella di non egualitarismo”. La rivista
di destra “l'Italia” pubblica articoli intitolati Abbasso l'eguaglianza, così come la rivista politica ufficiale del fascismo
era intitolata “Gerarchia”.
Bobbio tratta
le “ragioni” di entrambi i campi, ma gli sembra evidente che la spinta verso
una sempre maggiore eguaglianza sia irresistibile. Ogni superamento di questa o
quella discriminazione “rappresenta una tappa, se pure non necessaria ma soltanto
possibile, del processo di incivilimento”. Nel suo saggio Bobbio ha analizzato
l'uso delle due parole all’interno della tradizione politica che risale alla
Rivoluzione francese, ma se è vero che “essere di sinistra significa mettersi
dalla parte dei più deboli”, questa qualificazione si deve misurare con una simbologia che da millenni accompagna
tutta la storia della cultura (ad eccezione dell'Estremo Oriente).
Secondo Silvio
Curletto, in La forma e il suo rovescio (1990) “destra e sinistra rappresentano due poli opposti che nella
loro reciproca azione di attrazione/repulsione caratterizzano la vita dell'uomo
e dell'universo”. Nella cultura
arcaica la destra è la parte della “forza” e quindi del “bene”: tutto quello
che è bello, piacevole, conveniente e prospero rientra nel dominio della
destra, mentre il cattivo, l'infausto e il dannoso domina nella sinistra. La
destra incarna il principio dell'ordine e della normalità in opposizione
all'anomalo, identificato con il mancino, diverso e pericoloso. La sinistra pertiene alla potenza passiva
femminile, la destra a quella
attiva maschile. Presso i greci, a sinistra e a destra si collocavano le coppie
materia-spirito, notte-giorno, luna-sole, pari-dispari, madre-padre. I presagi
favorevoli apparivano sulla destra, come segno del successo. Si pensava che le bambine
provenissero dal testicolo sinistro e i maschietti da quello destro.
Presso i latini
la parola sinister aveva un senso negativo,
conservato nella nostra lingua: si pensi al valore di termini come “sinistro”,
“sinistrato”, “destro”, “maldestro”. Nella Bibbia, guardare a destra (Salmi,
142, 5) significa guardare dal lato del difensore, verso la salvezza. Alcuni
commentatori rabbinici precisano che il primo uomo Adamo, prima della
scissione, era maschio dal lato destro e femmina dal lato sinistro.
Il Medioevo cristiano non è sfuggito a
questa tradizione, opponendo la sinistra femminile, notturna e satanica, alla
destra maschile, diurna e luminosa. Così le messe nere comportano il segno
della croce fatto con la mano sinistra e il diavolo marchia i suoi adepti sotto
la palpebra sinistra. I mancini sono maghi e stregoni temibili perché capaci di
alterare il corso regolare dell'esistenza. Nelle raffigurazioni del Giudizio
Universale gli eletti sono posti a destra e i dannati a sinistra. Scrive
Guglielmo di S. Thierry: “L'umiltà è il segno certo della pecora del Signore che
va messa a destra; così la domanda orgogliosa del non credente è segno del caprone,
da mettere a sinistra”.
Nella Commedia la
regola impone a Dante e Virgilio di procedere sempre a sinistra nell’Inferno e sempre
a destra nel Purgatorio.
Nessuna
speranza dunque per i deboli, le
donne e i “dannati”? La storia del mondo è la storia di questa speranza, quella
dei vinti che non vogliono sognare il sogno dei vincitori. Giustamente Bobbio
mette in guardia contro la sovrapposizione del linguaggio religioso univoco (assoluta
positività della destra) sul linguaggio politico relativistico (i buoni e i cattivi
possono trovarsi tanto a destra quanto a sinistra).
Ma è proprio così univoco il linguaggio
religioso? Chi è alla destra di chi? Da dove vengono Gioacchino da Fiore e
Thomas Muntzer, i Lollardi e i Livellatori, e la Teologia della Liberazione?
Non vengono forse dal più grande capovolgimento dei valori, dalla inversione della
regola che qualifica la tradizione evangelica? “Beati i poveri di spirito ... beati
i miti ... beati quelli che piangono ... beati i pacifici ... “ (Matteo, V), beati
in sostanza tutti coloro che il mondo ha sempre giudicato infelici od inetti. Non
vogliamo intervenire nella eterna “querelle” (Gesù è di destra o di sinistra?)
riaperta da monsignor Luigi Bettazzi, vescovo di Ivrea, con una dichiarazione
di tipo “progressista”. Ci limitiamo a ricordare la figura del sindacalista americano Powers
Hapgood, organizzatore dei minatori e indomabile agitatore negli anni '30. Nel
corso di uno dei tanti processi da lui subiti, il giudice Claycomb gli chiese:
“Come mai una persona di buona famiglia e istruita, come lei, ha scelto di
vivere come lei vive?”. “Perché?”, gli rispose Hapgood. “Mah, per via del
Sermone della Montagna, signore”.
***
In tanti hanno
ceduto spesso alla dolce tentazione del né né (di destra o di sinistra) che Zagrebelski considera
un luogo politico inesistente: quando si affronta il piano delle decisioni, la
scelta è inevitabile. Non c’è “terzismo che tenga”. Ne è convinta anche una
politologa non di sinistra come Sofia Ventura: “Se non ci fossero disposizioni
nello spazio politico, non ci sarebbe neppure la politica”. Chi si muove è
tenuto a dire dove va, senza cincischiare sprezzantemente sulla geografia dell’agorà.
Nel 2014 Matteo Renzi ha proposto una revisione della dicotomia bobbiana, utilizzando la parola magica della
Innovazione. Il mito del Nuovo sembrerebbe la chiave interpretativa per
orientarsi nella grande arena della creatività, dal marketing all’industria, dalle arti alla didattica, inseguendo
una iperbolica Rivoluzione di fuochi d’artificio lessicali.
Ancora una
volta, niente fatti ma giochi di parole , nel repertorio vintage buono per Grillo e Berlusconi e compagnia cantando. Intanto
la diseguaglianza sembra ancora figlia della natura e di Dio. La forbice si è
sempre più allargata, diritti sociali e welfare sembrano antiquariato, il neoliberismo spadroneggia
ovunque secondo la logica del ciascuno per sé e Gratta e vinci per tutti. Alla fin fine, ritorna alla ribalta una
coppia che di nuovo offre ben poco: energia personale darwiniana più la “lingua
della solidarietà di papa Francesco”. Herbert Spencer e il Vangelo tornano a fare
coppia come nell’Ottocento.
Malgrado gli sconvolgimenti sociali di
portata eccezionale, determinatisi nell’ultimo ventennio, anche per Daniel
Cohn-Bendit il testo di Bobbio rimane un punto di riferimento fondamentale. La
battaglia democratica è lungi dall’essere conclusa, anche per la stanchezza
europea e una certa assuefazione all’intolleranza e all’ingiustizia dentro e al
di fuori delle frontiere dell’Unione.
Nell’età della diffidenza
generalizzata, una crisi di legittimità
e una crisi identitaria che richiedono una superiore qualità della performance dei gruppi dirigenti. Aggiungiamo da parte nostra che
urge disseppellire la più importante arma della sinistra: l’universalismo
democratico contro le ossessioni particolaristiche.
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