Dove affiggere il Manifesto per Taranto di Roberto Nistri
Intervento di Fabio Caffio
Ha
ragione Piero Massafra nel dire che il Manifesto di Roberto Nistri andrebbe affisso in una qualche cattedrale laica che a Taranto non si sa
dove sia.
Purtroppo
la mancanza di un nucleo di
persone impegnate nel culto del bene
della Città è da secoli il limite della nostra Taranto, sempre interessata al contingente, a volte anarchica, spesso non costruttiva ed incapace di
andare oltre lo sberleffo del ce'
te la face fa'.
Forse Nistri ci direbbe che
l'unica eccezione a questo stato di cose -derivante da chissà quali
caratteristiche genetiche- può ritrovarsi nel periodo magnogreco del governo
illuminato di Archita.
A
scorrere la storia millenaria di Taranto si ritrova in effetti una capacità di
autolesionismo ed un'inerzia nell'azione che non ha eguali altrove. Basti
ricordare il traumatico passaggio
dalle Due Sicilie al Regno d'Italia in cui la Città tardomedievale e
la zona dell'attuale Borgo fu
quasi distrutta e stravolta in nome dell' affarismo di pochi e dello
sviluppo tumultuoso delle opere di difesa e cantieristica militare. Altro
scempio fu quello urbanistico commesso dopo la costruzione
dell'Italsider, quando le Amministrazioni comunali autorizzarono una massiccia ed insensata cementificazione
edilizia nelle vie del Borgo.
In
aggiunta, Taranto appare ora -come è stato detto- una Città popolata da apolidi
che, non avendo memoria di una patria comune, sono privi di un metro per
giudicare il presente. Ancora una volta
la colpa di questo va ricercata nella mancanza di un nucleo fondante di
cittadini interessati al bene comune. Ma anche nel fatto che la Città appare
drammaticamente preda dell'attivismo dei Comuni del suo entroterra e della non
nascosta logica colonizzatrice di Bari e Lecce cui fa comodo l'ignavia
tarantina.
A
ragionare con il parametro del cui prodest, potrebbero formularsi molte ipotesi maliziose
sui perchè dell'inarrestabile
precipitare della crisi dell'ILVA, dei mancati dragaggi dei fondali del
porto, della chiusura del terminal
container ("provvisoriamente" trasferito a Bari), dello strano
maleficio che impedisce al District Park di decollare, dell'ultradecennale
chiusura "per lavori" del glorioso Museo Archeologico Nazionale dalle
cui ceneri è nato un MarTa apparentemente migliore ma di fatto depotenziato, della
subdola soppressione per "accorpamento" della Soprintendenza, della
liquidazione del Corriere del Giorno, dall'editto barese contro l'operatività dell'aeroporto
di Grottaglie.
Su
chi contare, allora?
Certo
sarebbe auspicabile un primo cittadino che conosca bene i mali della Città
e si batta con energia ogni giorno e, soprattutto, in momenti come questi in
cui le risorse finanziarie del CIS Taranto sono ancora in attesa di essere impegnate
in progetti concreti. Insomma un
Tarantino di alto profilo
come quel Francesco Trojlo che nei suoi dieci anni di governo municipale evitò
la lottizzazione della Villa Beaumont-Peripato e la "privatizzazione"
del Mar Piccolo. Un Cataldiano il quale non abbia timore di giudicare la sua
Città senza ricorrere a verità di
comodo, e si concentri su settori come le attività produttive legate al mare,
le potenzialità turistiche, le sinergie con il Materano, le condizioni di vita
al quartiere Tamburi, l'arredo e l'igiene urbana, i parcheggi, il riuso delle
aree militari non più necessarie alla Difesa, la valorizzazione del Mar Piccolo.
Inoltre ci vorrebbero politici combattivi che contrastino,
nell'Amministrazione regionale, le pulsioni egoistiche dei capoluoghi vicini e
spronino il Governatore ad agire
in modo super partes
anche nell'interesse di Taranto.
Dove
affiggere dunque il Manifesto
di Nistri ? Escluso per ora il Palazzo Municipale, avendo il Palazzo del
Governo una funzione per così dire
statica, non udendosi più le voci autorevoli del soppresso Dipartimento della
Marina, della trasferita Soprintendenza e del nascosto Liceo Archita ma solo una pluralità di coristi
spesso non coordinati tra loro, essendo
l'Arcivescovado una sede sì
autorevole ma diversa da quella dei tempi del grande Monsignor Capecelatro, non
resta che pensare alla Dogana del Pesce di Piazza Fontana sopravvisuta con la
pensilina liberty. Luogo magico della Tarentinità che per millenni è stato l'ingresso della Porta Napoli, l'approdo
di pescatori e cozzaruli, il ritrovo di una popolazione operosa e paziente. Lì
è il Mar Piccolo, di lì si vedono le ciminiere dell'ILVA, il triste scafo di
Nave "Vittorio Veneto, i resti desolati dei Cantieri Tosi. Ma lì c'è
ancora la vita pulsante di molluschicolturi e marinai che attendono da decenni il
riscatto della loro condizione di precarietà e subalternità in attesa di essere
nuovamente posti, con regole chiare e moderne da rispettare, al centro della
vita economico-sociale della Comunità. Se lo faremo, quelli tra noi che sono senza
patria cominceranno
a capire cos'è veramente Taranto !