Roberto Nistri
Jonici graffiti
Il Politeama Paisiello nel 1900 |
3. Il Teatro sognato
© Roberto Nistri 2015. Tutti i diritti sono riservati.
La vecchia
Taranto pullulava di teatri e teatrini, quasi tutti ricordati dal compianto
Giuseppe Cravero. Nel mentre il Borgo acquisiva una fisionomia compiuta, nel
1834, nella seduta d’apertura del Consiglio generale di Terra d’Otranto, l’intendente
della Provincia annunziava che a Taranto stava compiendosi un “magnifico
teatro” e che, per vederlo perfezionato nell’anno, il sindaco e i maggiorenti
della Città s’impegnavano ad anticipare i tremila ducati occorrenti. Nessuno
vide mai quel teatro. Veniva fuori invece, nel 1857, un primo teatrino della città, ubicato quasi
all’inizio di via Duomo: una grande galleria che da palazzo Calò passava di
proprietà al marchese Francesco D’Ayala-Valva. Veniva adattata dall’architetto
Conversano: tre file di Palchetti, prosceni, 200 posti, tutti venduti in abbonamento. Rimase
memorabile la serata del 1913, con l’esibizione sul palcoscenico, per la prima volta , della già affermata diciassettenne
concittadina Maria Annita Pappacena Laganà, in arte Anna Fougez.
All’inizio della guerra a Taranto funzionavano
7 teatri e 3 sale cinematografiche. Non male per una popolazione inferiore ai
90mila abitanti. Si contavano l’Alhambra in via Cavour, l’ Internazionale in
via Giovinazzi, l’Orfeo e l’Eden in via Pitagora, il Marconi in piazza
Garibaldi, il S.Angelo in Piazza Castello, Il Paisiello in via De Cesare,
l’Olimpia in via Cavour, il Vittoria in via d’Aquino. La concorrenza diventava
anzi eccessiva, con una certa dequalificazione.
Se nel 1895 “La
Voce del popolo” aveva esaltato i trionfi di Eleonora Duse, nel 1907 “La Folla”
denunciava il dilagare delle sceneggiate cammurriste
e nel 1911 “La Protesta” si vergognava per il macchiettista triviale e la
canzonettista oscena, con il pubblico
che si sbracava: “La vogliamo nuda!”.
Fra tutti quei locali , il solo
Politeama Alhambra poteva essere
considerato un vero e proprio teatro, anche se sorto sulle ceneri del Livio “Andronico”
distrutto da un incendio il 20 ottobre del 1907. Ampio, con grande palcoscenico, era stato
inaugurato il 25 agosto 1909 e aveva ospitato nomi di primo piano, da Ninchi a
Zacconi, da Emma Gramatica a Tito Schipa,
fino a Vincenzo Scarpetta. Memorabile la Madama
Butterfly del 5 dicembre 1927, una
serata di gala in onore del principe ereditario Umberto di Savoia. Nel 1929
si registrava un successo strepitoso della Aida
concertata dal Maestro Poggi. Ma per il
povero Alhambra suonava la campana a morto , pur trovandosi in buone condizioni
di salute: doveva essere distrutto per
far posto al faraonico Palazzo del
Governo. Dall’Aida a Femena ‘nfame,
commentava tristemente Antonio Rizzo.
Ci piace ricordare un pioniere come Vincenzo Fusco,
figlio di un fruttivendolo della via
Maggiore che , con suo fratello Gennaro (ambedue validi musicisti della banda
municipale) ebbe l’idea di costruire il “Politeama
Paisiello”, utilizzando niente di meno che il legno di un veliero naufragato
presso la spiaggia di Chiatona. La prima idea doveva essere quella di un circo
equestre, ma la passione per il teatro era predominante, a partire dalle
compagnie dialettali e di varietà: Scarpetta, Petito, Maldacea… Malgrado
l’umile origine, da quel teatro dovevano passare i migliori nomi della prosa,
della lirica, della operetta. Don Vincenzino si rifiutava di contrabbandare
agli spettatori merce dozzinnale, pagando cifre spropositate pur di accaparrarsi
le migliori compagnie del tempo, come
quella di Cesare Rossi, che rimaneva
sconcertato di fronte a quella baracca squinternata: “Fusco, Fusco, dove mi hai
condotto!” e Fusco rispondeva:
“Commendatore, non è il teatro che fa l’artista, è l’artista che fa il
Teatro!” Il “Paisiello” era uno scrigno di memorie: il maestro Bastia che
dispettosamente metteva il piede sullo strascico della “primadonna”, mentre nel palchetto B , i gaudenti dell’epoca
si scatenavano con le ballerinette del can-can. Il Politeama veniva demolito
nel 1914, quasi a simbolo del tramonto della bèlle epoque. Mentre si abbatteva il piccone e all’orizzonte
comparivano i primi bagliori della Grande Guerra, forse don Vincenzino, con gli
occhi della fantasia, vedeva il suo Teatro ritrasformarsi in vascello e salpare
per il mare grande dei ricordi, con le
sue luci, i suoi orchestrali, le sue ballerine.
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