lunedì 5 ottobre 2015

Jonici graffiti. 3. Il Teatro sognato



Roberto Nistri

Jonici graffiti
Il Politeama Paisiello nel 1900


3. Il Teatro sognato

 © Roberto Nistri 2015. Tutti i diritti sono riservati.

      La vecchia Taranto pullulava di teatri e teatrini, quasi tutti ricordati dal compianto Giuseppe Cravero. Nel mentre il Borgo acquisiva una fisionomia compiuta, nel 1834, nella seduta d’apertura del Consiglio generale di Terra d’Otranto, l’intendente della Provincia annunziava che a Taranto stava compiendosi un “magnifico teatro” e che, per vederlo perfezionato nell’anno, il sindaco e i maggiorenti della Città s’impegnavano ad anticipare i tremila ducati occorrenti. Nessuno vide mai quel teatro. Veniva fuori invece, nel 1857,  un primo teatrino della città, ubicato quasi all’inizio di via Duomo: una grande galleria che da palazzo Calò passava di proprietà al marchese Francesco D’Ayala-Valva. Veniva adattata dall’architetto Conversano: tre file di Palchetti,  prosceni,  200 posti,  tutti venduti in abbonamento. Rimase memorabile la serata del 1913, con l’esibizione sul palcoscenico,  per la prima volta ,  della già affermata diciassettenne concittadina Maria Annita Pappacena Laganà, in arte Anna Fougez.
       All’inizio della guerra a Taranto funzionavano 7 teatri e 3 sale cinematografiche. Non male per una popolazione inferiore ai 90mila abitanti. Si contavano l’Alhambra in via Cavour, l’ Internazionale in via Giovinazzi, l’Orfeo e l’Eden in via Pitagora, il Marconi in piazza Garibaldi, il S.Angelo in Piazza Castello, Il Paisiello in via De Cesare, l’Olimpia in via Cavour, il Vittoria in via d’Aquino. La concorrenza diventava anzi eccessiva, con una certa dequalificazione.
      Se nel 1895 “La Voce del popolo” aveva esaltato i trionfi di Eleonora Duse, nel 1907 “La Folla” denunciava il dilagare delle sceneggiate cammurriste e nel 1911 “La Protesta” si vergognava per il macchiettista triviale e la canzonettista oscena,  con il pubblico che si sbracava:  “La vogliamo nuda!”. Fra tutti quei locali , il solo  Politeama Alhambra  poteva essere considerato un vero e proprio teatro, anche se sorto sulle ceneri del Livio “Andronico” distrutto da un incendio il 20 ottobre del 1907.  Ampio, con grande palcoscenico, era stato inaugurato il 25 agosto 1909 e aveva ospitato nomi di primo piano, da Ninchi a Zacconi, da Emma Gramatica a Tito  Schipa, fino a Vincenzo Scarpetta. Memorabile la  Madama Butterfly  del 5 dicembre 1927, una serata di gala in onore del principe ereditario Umberto di Savoia.  Nel 1929  si registrava un successo strepitoso della  Aida  concertata dal Maestro Poggi. Ma per il povero Alhambra suonava la campana a morto , pur trovandosi in buone condizioni di salute: doveva essere   distrutto per far posto al faraonico  Palazzo del Governo.  Dall’Aida a Femena ‘nfame, commentava tristemente Antonio Rizzo.
       Ci piace ricordare un pioniere come Vincenzo Fusco,  figlio di un fruttivendolo della via Maggiore che , con suo fratello Gennaro (ambedue validi musicisti della banda municipale)  ebbe l’idea di costruire il “Politeama Paisiello”, utilizzando niente di meno che il legno di un veliero naufragato presso la spiaggia di Chiatona. La prima idea doveva essere quella di un circo equestre, ma la passione per il teatro era predominante, a partire dalle compagnie dialettali e di varietà: Scarpetta, Petito, Maldacea… Malgrado l’umile origine, da quel teatro dovevano passare i migliori nomi della prosa, della lirica,  della operetta.  Don Vincenzino si rifiutava di contrabbandare agli spettatori merce dozzinnale,  pagando cifre spropositate pur di accaparrarsi le migliori compagnie del tempo,  come quella di Cesare Rossi,  che rimaneva sconcertato di fronte a quella baracca squinternata: “Fusco, Fusco, dove mi hai condotto!” e Fusco rispondeva:  “Commendatore, non è il teatro che fa l’artista, è l’artista che fa il Teatro!” Il “Paisiello” era uno scrigno di memorie: il maestro Bastia che dispettosamente metteva il piede sullo strascico della “primadonna”,  mentre nel palchetto B , i gaudenti dell’epoca si scatenavano con le ballerinette del can-can. Il Politeama veniva demolito nel 1914, quasi a simbolo del tramonto della bèlle epoque. Mentre si abbatteva il piccone e all’orizzonte comparivano i primi bagliori della Grande Guerra, forse don Vincenzino, con gli occhi della fantasia, vedeva il suo Teatro ritrasformarsi in vascello e salpare per il mare grande dei ricordi,  con le sue luci,  i suoi orchestrali,  le sue ballerine.

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