mercoledì 7 ottobre 2015

Jonici Graffiti. 7. Paradisi perduti



Roberto Nistri

Jonici Graffiti


7. Paradisi perduti

 © Roberto Nistri 2015. Tutti i diritti sono riservati.

      Arrivarono un giorno i Signori della Guerra, e dell’Eden fecero macerie.
      In quegli anni felici per i distruttori dei beni culturali, sopravvenne  la demolizione per la Torre Nova alla Marina,  i Bastioni Carducci,  la Chiesa di San Giovanni,  il monastero dei Fatebenefratelli, dichiarati tutti irrecuperabili. Miracolosamente si salvava qualche frammento della villa del più “nobile spirito di Taranto”: quel Monsignore “giacobino”,  Giuseppe  Capecelatro,  che aveva ospitato Goethe,  Lamartine,  Madame de Stael. Quel Paradiso terrestre  doveva malinconicamente mutarsi in Ospedale della Regia Marina, con i due antichi leoni ridotti a pietrosi cani da guardia di marinai a riposo.
      La  villa Capecelatro era stata acquistata nel 1837  dal tenente  generale Florestano Pepe. Dopo la sua morte, nel 1851, passava in eredità al fratello Guglielmo Pepe, che il 9 marzo 1850   sposava   la nobildonna scozzese Marianna Coventry.  Rimasta vedova nel 1855, Marianna visse abbastanza nella Villa, divenendo benefattrice locale e stringendo amicizia con Cataldo Nitti. Si spegneva il 9 marzo 1865. Alla fine la tenuta rimaneva all’ultima proprietaria, la nipote Luisa Carlotta Coventry.    
     Piace rievocare l’eccentrica presenza di quella comunità di scozzesi sulle rive dello jonio, dove ancora si avvertiva la presenza del favoloso “Casino di Monsignore”: un paradiso per umanisti. Nel 1883 giungeva  l’esproprio militare e quindi la demolizione. Ma è bello pensare a notturni incontri di nobili  fantasmi fra due mari: giacobini, patrioti antiborbonici, che incontrano in sogno bonapartisti letterati  come  Monsieur Laclos, ritto in piedi sul suo fatidico scoglio fra le isole Cheradi. Fra le ombre anche l’autentico  Conte di Montecristo, segregato dai sanfedisti nel Castello Aragonese:  tutti confortati,  nelle notti senza luna,  dal suono antico delle cornamuse scozzesi.

Crediti: grazie a Valerio Lisi e Mina Chirico.

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