martedì 6 ottobre 2015

Jonici graffiti. 5. Cacciatori d’oro fra i due mari


Il convento di S. Pasquale nel 1900

Roberto Nistri

Jonici graffiti


5. Cacciatori d’oro fra i due mari


© Roberto Nistri 2015. Tutti i diritti sono riservati.

      Il trafugamento  dei beni archeologici è il romanzo criminale più vergognoso della storia della Taranto moderna: la documentazione storica è giustamente doviziosa,  ma anche dolente. Il miglior narratore di questa vicenda è stato Narciso Bino, caro amico prematuramente scomparso, che ci ha lasciato un testo, Sui mari d’argento, i cercatori d’oro. L’uomo nero della storia è  stato il ricchissimo agrario e deputato  Pietro D’Ayala Valva, che usava i suoi suoli come musei privati permanenti,  come terreno per safari archeologici pilotati, che si concludevano inevitabilmente con ritrovamenti estemporanei,  come reperti di monete da distribuire agli ospiti, a seconda della loro importanza. Il suo uomo di fiducia era tal Vito Panzera, detto Miniminosce  o anche  ind’a li cosce.  Sempre rispondendo bosciur o  bogiur,  era schernito   per l’ostinazione a parlare un  francese storpiato:   non diceva buon giorno sibbene bosciur .Ex caffettiere, indossava lo Stiffelius e battezzava il cagnolino  Sciulì da jolì.  Alto poco più di un metro,  trafficava in continuazione con i contadini per la ricerca di preziosi reperti.  Sul biglietto da visita non osava scrivere Archeologo,  ma accettava  di buon grado  il suggerimento fornitogli dall’Avv. Carbonelli; orgogliosamente girava per i negozi presentandosi con un biglietto da visita molto impegnativo: Lenone.
traordinario:
       In quella città,  il più grosso trafficante di di antichità era l’industriale Carlo Cacace, suocero di Luigi Viola,  fondatore del Museo e legittimo tutore dei beni archeologici tarantini. Trovandosi  in una sitituazione imbarazzante il Viola  veniva rimosso,  nel pieno di una guerra fra bande archeologiche,  che trasferivano in giro per il mondo tesori di eccezionale valore. Il 1893 era un anno decisivo per il profilo marittimo militare che la città andava assumendo. In quella fase il ministro Racchia decretava l’istituzione a Taranto di un Osservatorio. L’arrivo della Squadra inglese poneva in stato d’agitazione la Giunta cittadina.  De Cesare era contrario al coinvolgimento economico della pubblica amministrazione.  Quale utilità per i tarantini?  Si sborsava una certa somma per i festeggiamenti, con qualche  “ accorgimento” amministrativo. Si gonfiavano i gonfaloni, si organizzavano le bande municipali.
      Ma erano gli affari a determinare interessanti opzioni con la  Union Jack.  L’astuto deputato Pietro era intento ad acquistare suoli a destra e a manca,  ma pensava anche di organizzare una eccentrica gita nei suoi possedimenti,  fingendo di portare alla luce preziosi beni archeologici , da lui opportunamente occultati e,  a sorpresa,  distribuiti generosamente agli ospiti, secondo una graduatoria di autorevolezza.   Venivano trasbordate grandi ceste di monili e monete.  Erano previsti omaggi anche per la Regina,  ma italiani e inglesi tendevano a trascurare tale aspetto: a corte doveva giungere solo un misero papiello contenente un inno abborracciato dal faccendiere  Panzera. E così beni pubblici si volatilizzavano per oliare qualche appetitosa transazione. Noi Tarantini facciamo così.

R. N. , I predatori dell’oro perduto, 10 agosto 2015

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