lunedì 10 marzo 2014

L'llva, l'ambiente, la sinistra



L'llva, l'ambiente, la sinistra

di Alessandro Leogrande

in Corriere del Mezzogiorno, 08/03/2014, pag. 4

Rispetto alla parabola della primavera pugliese, Taranto è sempre stata un caso a sé. Non solo per la vicenda Ilva e per il disastro ambientale, ma anche per i disastri della politica locale, maturati nell'arco della Seconda repubblica. La sinistra jonica sembrò avere la sua primavera nel 2007, quando Ippazio Stefàno (con Nichi Vendola già alla presidenza della Regione) vinse le elezioni a sindaco successive al crack del comune non solo contro il ritorno di Cito, ma anche contro l'allora candidato del Pd Gianni Florido. Sembra passata un'era geologica. Nel mezzo, oltre all'impasse della giunta comunale, è esploso il ciclone Ilva. Così, il rapporto tra la città lacerata, i movimenti ambientalisti e il governo regionale si è fatto via via più problematico. Da una parte Vendola sostiene di aver sempre agito nell'interesse degli operai e della trasformazione della fabbrica. Dall'altra i settori più accesi della protesta hanno visto in lui (molto più che nelle giunte cittadine tra il 1993 e il 2007 o nei governi nazionali che si sono succeduti) il volto della politica compiacente.
Taranto è una città difficile, in cui il consenso politico è un'alchimia molto complessa da mettere insieme, e soprattutto da mantenere per più di un lustro; in cui a lunghe fasi di apatia si alternano jaquerie improvvise, come quelle del 2012. Pertanto, la notizia della richiesta dei rinvii a giudizio per il caso Ilva sembra prolungare uno strano limbo. Chi crede che la trasformazione della fabbrica sia possibile continua a pensarla così, magari con un po' di pessimismo in più. Chi sostiene che l'unica soluzione sia chiudere lo stabilimento, e che l'unico potere sano sia quello della magistratura inquirente, avrà modo di radicalizzare la sua posizione. Ma cosa pensa del rapporto tra Vendola e la città di Taranto chi in questi anni ha continuato a raccontare la città dell'acciaio?
Per Roberto Nistri, autore di una decina di libri sulla città jonica, l'ultimo dei quali è “La ballata degli affumicati”, “il rapporto tra Vendola e Taranto si è incrinato da tempo”. Da una parte, sostiene, “Vendola ha evitato negli ultimi anni incontri pubblici con la cittadinanza, dall'altra va anche detto che non gli sarebbe stato possibile farne qualcuno senza subire pesanti contestazioni dall'area più accesa del fronte no-fabbrica”.
Taranto è una città in cui molti dibattiti ultimamente si sono svolti in una sorta di “zona rossa”, per evitare che saltassero. Il paradosso è che molti incontri con il leader nazionale di Sel, nella città epicentro del disastro ambientale e di tanti crocevia della sinistra, si siano dovuti svolgere a porte chiuse. “La richiesta di rinvio a giudizio non cambia di molto le cose”, prosegue Nistri, “ma indebolisce ulteriormente la coppia Vendola-Stefàno”.
Sulla stessa lunghezza d'onda è anche Salvatore Romeo, tra gli animatori del blog “Siderlandia”, uno dei pochi luoghi di riflessione giovanile. “Ci sono state molte attese nei confronti di Vendola, e molte sono rimaste disilluse. Forse non era giusto attendersi questo solo dalla Regione, ma è quanto è successo. Già dal rilascio della prima Aia, c'è  chi ha pensato che non era più possibile dialogare con chi aveva firmato quel testo, e quindi anche con Vendola.”
Al di là della vicenda giudiziaria, e di come si pronuncerà il gup, la sinistra “a sinistra del Pd” che ha governato Taranto in questi anni appare in crisi. Intorno alla giunta Stefàno non si è radicata una nuova area politica, mentre il vendolismo è parso un fenomeno distante. Così, quando la protesta è montata, il piatto è stato diviso tra il successo dei grillini e la furia anti-politica di alcuni comitati di protesta. “La sinistra”, dice ancora Romeo, “non è riuscita a creare una saldatura tra l'ambientalismo e l'operaismo... Ma di questo la colpa è di Stefàno e di Vendola, o più in generale della storia politica di questa città?”
Mario Desiati, che ha scritto spesso di Taranto negli ultimi anni, non solo nel romanzo “Il paese delle spose infelici”, allarga ulteriormente lo sguardo. “Ho sempre pensato che fosse molto complicato interpretare la fabbrica e il suo mondo fatto di metalmezzadri, e che ciò fosse ancora più complicato dopo la privatizzazione.” La difficoltà del rapporto con la città nasce da qui. “Ricordo ancora”, dice Desiati, “quando nel 2009, presentammo a Taranto il libro sull'Ilva di Giuliano Foschini, 'Quindici passi'. C'era molta tensione in sala. Lì ho capito che una parte di città, già esasperata, non voleva più avere rapporti con la politica, anche se prometteva un cambiamento.”