Epicedio per Mustaki: un gigante buono e contestatore
di Roberto Nistri
© Roberto Nistri. Tutti i diritti sono riservati. Opera già edita a stampa in "Voce del Popolo", 15 settembre 2004
"Sono ormai vent'anni che il sergente Pepper ha fondato la sua banda ... noi siamo la banda ... sedetevi e aspettate che arrivi la sera": agli albori del Sessantotto quel disco dei Beatles accompagnava le storie della "meglio gioventù". Sono trascorsi oltre trent'anni da quella mitica stagione, non pochi della vecchia tribù del Maggio sono ormai andati via, eppure ci sembra che la banda non abbia ancora smesso di suonare. Alla Masseria Belmonte, la sera del 3 settembre, mentre il suono della Taranta trascinava un pubblico entusiasta, gli organizzatori hanno voluto dedicare il concerto alla memoria di Salvatore Gigante detto "Mustaki". E un momento di dolce commozione ha accomunato tutti i presenti, anche tutti quei "pizzicomani" che non erano neanche nati quando Salvatore e altri giovani corsari s'imbarcarono sulla gran Tortuga della "contestazione".
Forse qualcuno poteva ancora ricordare le ultime avventure di quel gigante buono e barbuto, come quella del novembre 1988, quando per le strade di Taranto si manifestava contro l'attracco della Deep Sea Carrier, la cosiddetta "nave dei veleni": le forze dell'ordine stavano trattando un
po' ruvidamente una studentessa e l'indignato Mustaki intervenne prontamente. Intimando "lassate sta' a uagnedda", causò qualche danno a cinque vigili urbani, rimediando per conto suo tre giorni di cella. Ma ben altre imprese avevano nutrito la sua "chanson de geste": dalla spazzolata ai fascisti di Reggio Calabria, nel 1970, alla messa in fuga di un noto squadrista che si era presentato davanti alla sezione di "Lotta continua" brandendo una pistola.
Ma i vecchi compagni sanno bene quale sia stata la più bella impresa
di Salvatore: non è diventato sindaco come quel tale squadrista, non è diventato un capo camorrista come quel suo famoso coetaneo della città vecchia, ma (pur formandosi in un contesto ambientale di miseria e di violenza) ha lavorato onestamente tutta la vita prima come carbonaio e muratore, poi come operaio e cuoco, spendendosi generosamente in difesa dei più deboli, sempre intendendo per "compagni" coloro che si dividono lo stesso pane. E , quando i prepotenti di tutte le risme ferirono la democrazia con pugnali pistole e bombe, lui continuò ad usare le mani nude e il suo buon cuore.
Nato nel cuore della città vecchia, ha vissuto in Arco Loiucco con i suoi dieci fratelli. In una intervista rilasciataci nel 1988, così raccontava il suo ingresso in politica: "Ebbi il mio primo scontro con la polizia nel 1964 quando, durante una vertenza per l'Inam, ci fu una carica durante uno sciopero, con decine di arresti. Allora facevo il carbonaio, e partecipai alla manifestazione tutto sporco di carbone. Non mi iscrissi mai al Pci, ma frequentavo spesso la sezione Gramsci, che era molto forte nel quartiere. Nel '68 lavoravo con la ditta edile Gattinari, e mi trovavo sopra una impalcatura quando vidi passare un grosso corteo di studenti, con i cartelli. Scesi dall'impalcatura, lasciai il lavoro e me ne andai con il corteo. In quel periodo lavorai con una cooperativa dei cantieri navali, poi due mesi a Milano, poi con ditte-pirata che fornivano lavoro a termine attorno all'Italsider, senza assicurazione e senza niente. Fui regolarmente assunto dalla Peyrani come tubista e in quel periodo si cominciava a costituire il consiglio di fabbrica, c'era Nello De Gregorio che interveniva per la Fiom. Quando conobbi Lotta Continua, capii che era l'organizzazione fatta per me, spontaneista e per la lotta dura. Aprimmo la prima sede sui Tamburi, per la vicinanza con le ditte, e poi quella nella Città vecchia, nella via di Mezzo. In fabbrica conquistammo subito molti simpatizzanti, operai bravi erano il napoletano Francesco Simeone e il calabrese Pasqualino Gulemì, ma il certificato di nascita di Lc fu l'occupazione delle case dalle parti di via Archimede, dove organizzammo una serie di baraccati che vivevano vicino al cimitero. C'erano assemblee ogni domenica e mi ricordo i primi scontri con il Pci. L'occupazione durò un anno, c'erano manifestazioni per l'attacco della luce e dell'acqua. Alla fine ci fu lo sgombero da parte della polizia, alcuni occupanti fecero resistenza, due compagni di Lotta Continua furono arrestati. Poi quegli occupanti finirono nelle case di via Cesare Battisti, vicino l'Oviesse, e noi mantenemmo con loro i contatti".
Lotta Continua era l'organizzazione più scapestrata della giovane sinistra extraparlamentare per cui, aprendo la nuova sede in via Giusti, attirava ragazzi e ragazze a frotte, inseguiti dai genitori che consideravano Mustaki come una specie di orco. In realtà lo spirito di trasgressione era molto bonario, sul tipo dell'infiltrazione in un ricevimento tenuto dagli ufficiali presso la Lega velica: mentre qualcuno staccava la corrente, gli altri fecero sparire in un battibaleno interi tavoli coperti di cibarie, che vennero fatte fuori in una colossale mangiata sotto il Lungomare. Così ci raccontava Enzo Quazzico di quella volta che "avevamo organizzato una grande assemblea in un cinema di Talsano, dove avevamo una sezione (ce n'erano altre a Massafra e Palagiano) ma gli oratori tarantini arrivarono in ritardo perché si erano intrattenuti a chiacchierare, tirando 4 litri di vino e 72 bottiglie di birra da tre quarti. Salvatore entrò salutando tutti calorosamente e fece un bel discorso. Solo che lo ripetette quattro volte, e alla quinta dovemmo tirarlo giù dal palco". Bella era la vita nel Movimento: ma la pelle era sempre in gioco: Salvatore se la vide brutta quella sera dell'11 febbraio del '75 quando, durante una manifestazione in Piazza della Vittoria, una canaglia fascista gli piazzò a tradimento una coltellata fra le costole.
Dopo il dolce, veniva l'amaro. All'allegria subentrava la frustrazione, il generoso spirito di utopia veniva soffocato dalla violenza più cupa.
Molti scomparvero nel buio delle carceri o della droga, alcuni giocarono la carta del pentitismo e rinnegarono i loro sogni. Salvatore, il candido popolano della Città Vecchia, è uno di quelli che sono riusciti a consegnare alle generazioni successive la bella memoria di una vita spesa nella ricerca non del profitto ma della felicità condivisa, comunitaria: il lascito migliore della storia di una festa, di una passione e di una rabbia, vissuta a sud del Sessantotto, a sud del mondo. Per questo nessuno lo ha dimenticato, anche molti anni dopo che aveva lasciato Taranto, peregrinando fra il Sud America e la Grecia. Per questo, giunta da Bologna la notizia della sua infermità, in tanti si sono subito prodigati per soccorrerlo. Come in tanti lo hanno accompagnato nell'ultimo viaggio di ritorno nel grembo della città proletaria, quella Tarde Vecchje che lo ha accolto con la sua bandiera e le sue canzoni.
Di quelle tre giornate passate al fresco, lui raccontava: "Durante l'ora d'aria grattini e carcerati vari mi chiedevano: Cos'hai fatto, Mustaki? Rispondevo sinceramente. E loro: Ma chi te l'ha fatta fare!". Cosa spingeva Isadora Duncan a danzare e Jimi Hendrix a suonare la chitarra? Cosa spingeva un ragazzo dei vicoli a ribellarsi di fronte ad ogni sopraffazione? Forse si nasce sotto una stella rossa. Che la vecchia banda continui a suonare, in onore di Salvatore Gigante, detto Mustaki!
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