"Il balilla in collina"
di Roberto Nistri
© Roberto Nistri. Tutti i diritti sono riservati. Opera già edita a stampa in "Corriere del Giorno", 10 gennaio 1998
L'immagine dell' infanzia aggredita e mortificata, comune denominatore degli sterminati scenari di sopraffazione e avvilimento che avvolgono la luccicante vetrina della società opulenta, rimane sempre un criterio forte per chiamare a giudizio la Storia maiuscola, quel grande fiume della prepotenza che sui libri di scuola celebra i suoi trionfi travolgendo i dimenticati, i tanti "piccoli" senza nome. Speriamo che lo studio del '900 faccia finalmente entrare nelle scuole anche un romanzo come " La storia" di Elsa Morante, che tanti dibattiti e polemiche suscitò nel momento della sua pubblicazione, nel 1974. L'autrice opponeva alla Storia con la S maiuscola la vicenda minuscola, ma tragica, delle "cavie", che non sanno il perché della loro morte, o dei "piccoli" del Vangelo di Luca: la maestra elementare calabrese Iduzza e il suo bambinello Useppe, annientati dalla guerra e dal dopoguerra, erano gli "emarginati dalla storia" ("terza specie", secondo la Morante, rispetto ai ricchi che si nutrono "a spese dei poveri", e ai poveri che tendono "a pigliare il posto dei ricchi"), rappresentanti di un mondo "necessariamente e come fatalmente subalterno, perchè non ha neppure la coscienza di esserlo" (Romano Luperini).
Ma anche la storiografia più rigorosa, che ha imparato ormai ad avvalersi criticamente delle testimonianze "minime" e delle tradizioni orali, può reperire nel diario di un bambino un autentico patrimonio di documentazione civica. Così un diario di vita scolastica, compilato dal piccolo Antonio Amatulli quando frequentava la quarta elementare nel 1931/32, costitui-
sce il filo conduttore di una preziosa ricerca di microstoria municipale, pubblicata dalla Scorpione Editrice:" Quando eravamo balilla. Frammenti degli anni '20 e '30 a Mottola". Un nutrito gruppo di studiosi (R. Colucci D'Eredità; A. Amatulli, S. N. Maglie, T. Errico, D. Scapati, P. Lentini, R. Mandorino, V. Fumarola, A. De Santo, S. Caragnano) ha lavorato sapientemente su testi e immagini, restituendo tutta la sua ricchezza e la sua complessità, in un sempre difficile equilibrio fra localismo e globalismo, ad una situazione esemplare di fascismo rurale nel Mezzogiorno.
Così Antonio descrive il primo giorno di scuola: "Alzandomi questa mattina mi sentivo molto più allegro perché pensavo alla scuola. Al suono della sirena mi sono incamminato per la strada e pò in gondrato tutti i miei vecchi compagni di classe. Ci siamo salutati romanamente e poi endrati in una nuova aula abbiamo ritrovato il nostro amato professore". È costui il vero destinatario della traballante grammatica di Antonio: la stesura del diario quotidiano è una pratica largamente diffusa nella scuola primaria dell' epoca fascista, "una sorta di indiretto controllo sulla ortodossia politica ed ideologica della famiglia e dell' ambiente sociale dello scolaro" (S. Maglio).
L'ossequio al regime è garantito: "Oggi il nostro maestro in classe ci à fatto una conferenza sui benefici che l'Italia faceva alle altre Nazioni. A' liberato la Francia che oggi non doveva essere alla luce del mondo, come anche la Siberia, ed altre Nazioni aleate. Ma adesso la Francia, la Siberia, unite con le altre N azione, sono i più terribili nemici dell' Italia, dopo avergli salvato la vita". Con sicura soddisfazione del maestro, la conclusione è perentoria: "Doveva essere allora il nostro amato Duce come adesso per comandare tutto" (20 maggio 1932).
Autentica è l'esultanza per l'inaugurazione della fontana monumentale posta in piazza Plebiscito: "hanno venuto tanti Fascisti forestieri, dopo e venuto il Prefetto e siamo andati a benedire la fontanina. Mentre il Parago la benedetta la commara apresa una bottiglia scimpagnia la peso al collo di un pescio, gli adato un urto e la bottiglia si è rotta, allora la fontanina si a messo abbuttare acqua. In piazza era tutto alluminato che sembrava un paradiso. Evviva il nostro Duce che cià data la basa principale del nostro paese".
Con sincerità emerge anche la miserella condizione sociale del piccolo Amatulli. La madre vedova e disoccupata, con a carico sei figli in tenera età, non si può permettere di regalargli un gelato o di riempirgli la calzina il giorno della Befana: "lo era tanto aflitto perché la mia madre non mià potuto cresimare per mancanza del vestito nuovo". Pure riesce a tirare fuori senza fiatare qualche spicciolo per la "Croce Rossa": presiede la raccolta dei fondi il potente ras fascista Giuseppe Turi (la cui figura viene attentamente ricostruita da Sergio Maglio in alcuni capitoli di notevole cura storiografica).
In una provincia che nel ventennio non riesce ad esprimere una forte e caratterizzante leadership politica, dove anzi lo scontro fratricida tra i clan dei gerarchi legati ai vari potentati pugliesi si protrae senza fine, l' avv. Turi si segnala fra i pochi protagonisti di un qualche rilievo. Di estrazione liberale, con passeggere simpatie per i socialisti, si lega subito al Fascio mottolese (il primo ad essere costituito nel Circondario di Taranto), viene eletto per acclamazione segretario federale del P.N.F. di Terra Jonica, nel '27 è il primo Podestà di Mottola e nel '29 viene nominato primo Preside della Provincia dello Jonio.
La sua folgorante carriera viene troncata agli inizi del '39 dalle furibonde lotte di fazione, in sintonia con il declino del suo referente nazionale, Achille Starace. Grazie al suo peso politico, Mottola ha goduto di un potenziamento reale della sua rete di servizi pubblici ed infrastrutture civili. Pur rimanendo sostanzialmente in una condizione di sottosviluppo economico e sociale, il paese sulla collina elabora miticamente l'età del'oro" ormai conclusa, mentre il castello di carte del regime è ormai prossimo al suo inglorioso crollo. Nel suo diario il balilla Antonio aveva mostrato di saper affrontare le miserie e i dolori del quotidiano, grazie alla speranza che "se Dio vuole ci farà campiare condizione".
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