domenica 30 giugno 2013

Una sudditanza condivisa

Articolo tratto da: Corriere del Mezzogiorno, 2013

di Michele Pennetti

TARANTO - Una sudditanza condivisa per decenni, un invischiamento deliberato, una rivoluzione passiva che si è tradotta fuori tempo massimo in una sintesi di cittadinanza attiva. Se il presente e il futuro di Taranto restano legati al suo passato, all'Ilva o ex Italsider che dir si voglia, è per l'incapacità di emendarsi dal peccato originale dell'etero-direzione e per le troppe battute perse    anche quando c'erano carta (i soldi) e penna (gli strumenti normativi) per schizzare un progetto differente dalla company town. Dicendola con Roberto Nistri, professore di storia e filosofia in pensione, studioso forsennato dei processi d'industrializzazione in terra jonica, scrittore prolifico che nel libro "Tarentinità un'identità residuale" del 2011 aveva previsto lo sbaraccamento dei Riva e il facsimile dell'esproprio, "domani, nonostante l'azione della magistratura e il commissariamento del governo, non si riesce a immaginare Taranto senza un'Ilva, nè a individuare una proposta di risarcimento, una corsia d'uscita dal tunnel della monocultura dell'acciaio. In egual modo, senza l'adattamento di Taranto al potente di turno e la bassezza della sua borghesia, senza una classe politica che negli ultimi 40 anni è salita alla ribalta nazionale solo grazie a Giancarlo Cito, senza il piegamento al padrone pubblico o privato, non ci sarebbe stata questa Ilva inquinante e giganteggiante. Il Riva premiato in Germania è il medesimo di Taranto. La differenza è che in Germania le regole le fanno rispettare, a Taranto l'unica regola era che non esistevano regole. Fossero esistite, non si sarebbe sprecato un patrimonio di credibilità riassunto da un film del 1967, "Promesse di marinaio", che raccontava la vicenda di ragazza milanese scesa a Taranto per cercare lavoro".
Ma il difetto di fabbricazione viene da lontano se già nel 1913, un secolo fa, Luigi Ferrajolo su "La voce del popolo" invocava la calata degli imprenditori del Nord per dare impulso al turismo e divincolarsi dalla morsa naval-militare sopravvenuta a fine '800 con l'innesto dell'Arsenale. "Un passaggio - ricorda Nistri - che portò la città fuori da una rocca, dall'isola in cui era rimasta inscatolata per 1300 anni, determinando la nascita dell'attuale borgo. Una trasmutazione piovuta dall'alto così come le successive commesse belliche, fonte di ricchezza, espansione e persino accettazione di condizioni lavorative al limite. La Spangler tratteneva agli operai il 25% dei salari. Ma il contesto assistenziale e distributivo, intrecciato all'opera di contenimento del municipio, garantiva la pace sociale". La stessa che nel secondo dopoguerra Taranto sembrò smarrire.
Tra il 1948 e il 1960 - anno della posa della prima pietra all'Italsider - si susseguirono cortei, manifestazioni di piazza, proteste collettive. La gente rivendicava una città diversa, che uscisse dalla nuova rocca: quella innalzata dalla Marina. "Il problema è che quando è stata costruita la terza - continua il prof - la comunità ad ogni livello si è accucciata là dentro, nel suo habitat naturale. Chi è abituato a forgiare tondini, mediamente può essere un eccellente esecutore però non un creativo, un inventore, un produttore di idee e soluzioni". Piuttosto, un collezionista di occasioni sciupate. Triennio 1959-1961: il consorzio Asi ottiene in affidamento il piano urbanistico connesso all'area industriale e lo delega, per inabilità di competenze, all'Italsider. Anno 1972: Muschio Schiavone, presidente della Provincia, inizia a combattere la presenza di elevati tassi di inquinamento e impianta le prime centraline di rilevamento, rimosse dal suo successore Tarantino. Anno 1989: una legge "di sostegno e deindustrializzazione", a margine di uno studio di Gregotti Associati e con un meccanismo di dismissione compensato da 3119 nuovi posti di lavoro, viene stracciata da un saccheggio di risorse che ha la sua sublimazione nel caso della Sural. E poi lo schiacciamento perpetuo sull'acciaieria. "Favorito - spiega Nistri - da un approccio discorde. Con l'Italsider non si registrarono grandi eventi corruttivi. Si agì di pastetta, come nell'affidamento della formazione alla Fim-Cisl controllata da monsignor Motolese. Si largheggiò con gli straordinari. E si fece leva sul circolo Ilva per creare un feeling con la città inondandola di tessere gratis e biglietti omaggio. Con l'Ilva tutto questo è diventato subcultura, degradando dal familismo al paternalismo autoritario, dai concerti sull'erba ai tornei aziendali di calcetto, dal distacco oggettivo con la vita della città alle relazioni untuose con l'arcivescovado". Per non parlare dei buoni da 100 euro da spendere presso Auchan, incassati dagli operai nei reparti dove si verificano ufficialmente meno incidenti e, sostengono le malelingue, si nascondono per convenienza non pochi sinistri. "E in mezzo tra le due epoche c'è stata la regressione etica dell'indotto, con "Il Messicano" Antonio Modeo che riciclò il denaro sporco della criminalità organizzata". Una storia di fronte alla quale, nel bene e nel male, a dispetto di inchieste e commissariamenti, la città appaltata non è ancora in grado di calcolare una via di fuga.

Michele Pennetti

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