lunedì 11 agosto 2014

Il silenzio delle pietre e il sapiente bambino

Plinio il Vecchio

Il silenzio delle pietre e il sapiente bambino


Prefazione di Roberto Nistri a I sogni del sottosuolo, Taranto 1999.
Traduzione di Flora Stefàno del libro XXX della Naturalis historia di Plinio il vecchio.

      Nel gennaio del 1981 Marguerite  Yourcenar pronunciava all'Académie française il tradizionale discorso di elogio di colui del quale aveva preso il posto: Roger Caillois, morto nel 1978 a 65 anni. Era un uomo, concludeva la Yourcenar, che "cercava di dirigersi nel senso delle cose": il rigido assertore dei valori razionali e umanistici che si era velluto a trovare, lungo il suo percorso intellettuale, sempre più dalla parte della natura. Un "antropomorfismo alla rovescia ", quello di Caillois, perchè il "senso delle cose" è andato a cercarlo oltre l'uomo, prima  nell'animale e poi nella pietra.
Si può dire che alle pietre Caillois abbia dedicato i suoi ultimi libri: Pierre réfléchies, Récurrences dérobées, Fleuve Alphée. L'avventura della "tribù umana" sulla terra viene ridimensionata a vantaggio del silenzio delle pietre, "non suscettibili d'emozioni", che forse dicono sull'uomo più di quanto l'uomo riesca a proiettare di sé su di loro. Così Caillois accentua alla fine l'interesse per il "sacro ",  per il fondo misterioso della realtà, per le "analogie" di sapore quasi alchemico che egli percepisce in quell' "alleanza di splendore e abbandono" propria della natura e che non è costata "né veglie né sudori". Questa prospettiva di umanesimo maturo comincia ad acquistare larga cittadinanza solo nelle più recenti espressioni dell'eco-cultura: si tratta di un ripensamento complessivo di noi stessi e del nostro ruolo nel mondo, abbandonando una ingenua (e fondamentalmente aggressiva) tradizione antropocentrica.
      Ci sembrano non impropri questi riferimenti alla "filosofia minerale" di Caillois, suscitati dalla lettura delle pagine della Naturalis historia dedicate alle pietre preziose e con tanta passione tradotte dall'amica Flora Stefàno. Lungi da noi l'idea di improponibili attualizzazioni di Plinio nell'area dell'ecologia contemporanea o di anacronistici confronti con studiosi molto più di Plinio raffinati e dotati di spirito critico. Quel naturalista del primo secolo non valeva molto come pensatore e raccoglieva spesso acriticamente e con scarso controllo della validità scientifica le notizie trasmesse dagli autori precedenti. In base alla tipologia proposta da Bacone potremmo individuare Plinio come uno scienziato-formica, sostenitore del "raccogli tutto e porta a casa". Ma l'autore della Naturalis historia rimane un grande per quella sintesi di illuminismo e di fiabesco che continuamente riaccende lo "stupore" (la più autentica molla del sapere, secondo Aristotele) di fronte alla materia e ai suoi incantesimi, dei quali il sapiente bambino è il cronista devoto e infaticabile.
      Trattando delle pietre preziose, Plinio parla poco e con disprezzo del loro valore-di-scambio (che si traduce in potere dell’uomo sull'altro uomo) ma è invece affascinato dal loro valore di-verità e cioè la potenza espressiva attraverso la quale lo Natura condensa e celebra il suo Geist. Nella premessa leggiamo di "quelle gemme che, pur piccole, rappresentano tutta la magnificenza della natura" e sono "talmente splendide da poter indurre la maggior parte degli uomini alla suprema contemplazione". Roger Caillois esortava al rispetto delle grandi pietre, la cui contemplazione “soddisfava, attraverso le fughe della immaginazione, il bisogno di eternità dell’uomo”. Per dare coerenza a queste brevi note, proponiamo una ipotesi interpretativa di questa categoria della "suprema contemplazione".
      Nel par. XIV Plinio ci tiene a ribadire una linea di demarcazione fra scienza e non-scienza, impegnandosi a biasimare "la nefanda vanità dei maghi". Nel corso del libro, i maghi sono definiti "impostori" (par. XL) e "menzogneri" (par. LVI) e "sfrontati" (par. LX). Durante tutta lo sua opera, II nostro razionalista non ha perso occasione per tenere alta la bandiera dell'anti-magismo, rilevando come lo "scienza dei Magi", fraudulentissima artium, sia in contrasto non solo con  lo ius humanum (Iib. XXVIII XXVlII2, 4), ma anche con quello divino (lib. XXVlll 2, 9 e XXX 2, 11) e con lo stesso mos humanus (lib. XXVIlI 2, 4). Nel libro XXX vi è una interessante esposizione delle connnessioni fra la medicina, lo religione e l'astrologia con le "imposture magiche", grazie alle quali "la più fraudolenta delle arti ha avuto per molti secoli un potere grandissimo in tutto il mondo".
      Etimologicamente il termine magia, derivato dal greco magheia,  indica lo "scienza dei Magi", secondo Plinio nata in epoca antichissima in Persia , arricchita da molteplici contributi orientali, giunta a Roma tramite la mediazione greca (ma nel libro XXX anche lui riconosce lo presenza in Italia di pratiche magiche, prima di qualsiasi contatto con l'Oriente). Di fronte a questa ars Plinio condivide la decisa condanna che da sempre Roma ha formulato, anche se (proprio perché) i romani non mancavano di usufruire dei suoi servigi.
      La prima attestazione repressiva di azioni magiche è data dalla condanna decemvirale del maleficio contro le persone e le messi nelle leggi delle XII tavole, la cui composizione risale alla metà del V secolo a. C. Ma i provvedimenti più specifici risalgono al 33 a. C. quando, sotto il  triumvirato, si cacciano dalla Urbs gli astrologi e nel 16 d. C. quando, sotto Tiberio, un senato consulto mette al bando i magi; durante lo stesso regno, il reato di magia comincia a essere punito con lo pena capitale. Per l'uomo romano lo magia non è soltanto falsa e immorale; egli prova un autentico horror di fronte al potere di ire contra naturam (Quintiliano). Dal punto di vista della Weltangschauung romana ciò che è contro natura appartiene alla categoria dei monstra. Plinio definisce Ostane monstrorum artifex (lib. XXVIII2, 6) e dichiara che l'intera umanità deve gratitudine allo Stato romano per l'offensiva condotta contro quei poteri e pratiche eversive dell'equilibrio cosmico che sono le "mostruosità" magiche (Iib. XXX 4, 13). Ma i mostri sono buoni per pensare, dice Maurizio Bettini. Il mostruoso non è solo il luogo dell’orrore, ma anche quello di una fascinazione misteriosa, perché incarna qualcosa che pure abitando in noi stessi ci eccede, diventando un oggetto, al tempo stesso, d’angoscia e di curiosità.  Valga il film di Joe Dante, The Hole del 2009: davanti a un buco senza fondo, i ragazzini devono scendere in una botola per ingaggiare una battaglia contro le loro paure più fanciullesche.
      Non possiamo sviluppare più di tanto questo tema, ma vogliamo rimarcare le profonde implicazioni dell'antimagismo romano: da una parte la tensione "illuministica" ed "ecologica" contro le trasgressioni dell'ordine naturale, irriducibili alla ratio e allo ius, dall'altra il conservatorismo implicito nella condanna di ogni pratica non conforme al mos maiorum , come eversiva dell'ordine cosmico e quindi dell'ordine sociale (per chiarirci, veniva repressa non ogni forma di divinazione, ma quella mantica non controllabile dallo Stato). Si pensi che in epoca imperiale la magia veniva assimilata al crimen maiestatis:  l'accusa diventava un efficace strumento repressivo contro gli oppositori politici e le culture antiromane e curiosamente, gli imperatori che tralignavano dal loro "giusto" ruolo finivano contestati come maghi.  Plinio accusava esplicitamente Nerone, nel libro XXX, di voler imperare  tramite la magia. Si pensi al paradosso della Chiesa cristiana, perseguitata per le pratiche magiche esercitate in riunioni segrete e quindi illegali, che in seguito rivendicava il ruolo di continuatrice della missione anti-magica dello Stato romano: come giustamente osserva Uboldo Lugli, "come per l'ideologia quirite era magico tutto ciò che appariva come non-romano, per quella cristiana (erede dell'antimagismo xenofobico alto-testamentario) era assimilabile alla magia ogni manifestazione religiosa ad essa estranea".
      Come abbiamo visto, Plinio era, a proposito della magia, perfettamente allineato con lo tradizione latina e non perdeva  occasione per sbeffeggiare la scarsa serietà degli orientali e degli stessi Greci. Ma a questo punto non possiamo non sottolineare  il carattere storicamente riduttivo di questa definizione della "magia", rispetto ad una ricca tradizione che va ben al di là del mondo latino. In fondo Plinio colloca pacificamente sotto lo categoria della "scienza" tutta una serie di proprietà terapeutiche delle pietre preziose che da sempre la "magia" ha considerato di sua legittima competenza. Ma solo un passo vogliamo indicare, nel par. XV di questo libro: "nella natura, come ho cercato di dimostrare in tutta l'opera, ci sono accordi e disaccordi chiamati, con termine greco, simpatie e antipatie". È questa "legge di simpatia" (alla base, fra l'altro, della medicina omeopatica, dell'intera iatrobotanica e delle terapie dei Magi nel mondo antico) che conferisce un senso pieno a quella "suprema contemplazione" da cui siamo partiti.
      In questo quadro categoriale l'effetto-verità produce una comprensione-riconciliazione con il mondo sicut bonum. Contro l'aggressività bassamente egoistica di una "magia" disposta ad ire contra naturam per soddisfare un miserabile utile personale (ai giorni nostri non conosciamo forse i guasti di tale  magia nera, di questo logos del comando volto a trasformare in profitto e consumare  l'altro uomo e infine il mondo stesso?) riemerge la figura del vero scienziato, che difende i valori dell'umanesimo maturo contro il rozzo soggettivismo del calcolo e del tornaconto, che propone una "gaia scienza" capace di godere del  mondo  sub specie aeternitatis.
      Nella figura del Sapiente Bambino abbiamo pensato di poter apparentare il post-moderno Caillois e l'antico Plinio.  Le pietre preziose, le scheggie luminose che lampeggiano nel firmamento delle dimore oscure , dove s’intrecciano membrature intrecciate di visibile e invisibile, indicano la porta dell’Estate:      
Lumen in tenebris”.     
      L'erudito Plinio, il cronista dei tormenti e delle gioie della materia, lasciò i suoi libri e s'inerpicò lungo le pendici del Vesuvio, dopo aver visto i primi segnali di quella eruzione che doveva seppellire Pompei, Stabia ed Ercolano: "accorreva donde gli altri fuggivano, senza timore per se stesso, annotando tutto ciò che osservava di quello spettacolo pauroso”  (Concetto Marchesi). Come poteva fermarsi? Stava ascoltando lo voce degli abitanti di una "notte opposta a quella astrale" : Il mundus dei romani costituiva una via tanto per gli Inferi quanto per il Cielo. Era la stessa voce che dalla profondità del mundus (abisso) s'innalzava verso l'immensità del mundus (cielo). Stairway to heaven. L 'eruzione infuriava. Sulle navi cadeva una pioggia sempre più densa di cenere e di lapilli infuocati. Plinio trovò la morte e  vinse le sue paure, nel momento estremo, al cospetto del Grande Pozzo.   Una traduzione è l'eco di un eco, una piccola operazione magica per chi, come la preziosa Flora Stefàno, è convinta che anche fra le pagine di un dizionario possa svelarsi il pertugio che conduce verso il grembo delle fiabe. 

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