venerdì 25 luglio 2014

Biblioteca tarantina: Antonio Fino




Biblioteca tarantina

Schede a cura di Roberto Nistri



ANTONIO FINO, Società civile e "riconquista" cattolica di una diocesi del sud tra otto e novecento, Milella, Lecce, 1983. 
(ampliamento de La riconquista di una diocesi un secolo fa,  in "La Gazzetta del Mezzogiorno",  21 giugno 1984).

      La ricerca storiografica sulla città di Taranto sta godendo di una buona stagione se è vero che in questi Anni Ottanta, accanto ai residui di una produzione ingenua e approssimativa, è possibile segnalare studi dalla struttura scientifica che hanno riqualificato sul piano nazionale l'attenzione degl i storici soprattutto "contemporaneisti": valga come esempio l' interesse attorno alla realtà tarantina che si è evidenziato nel convegno tenutosi ai primi dì giugno a cura dell'Istituto romano per la storia d'Italia dal fascismo alla Resistenza. Se alcuni lavori hanno giù determinato cospicui passi avanti nella comprensione dei lineamenti socio-economici e dell'evoluzione del movimento operaio tarantino, possiamo ora segnalare con soddisfazione la pubblicazione di uno studio sul movimento cattolico che provoca anche in questo campo una decisa transizione dalla pre-o- parastoriografia alla storiografia vera e propria. Si tratta di Società civile e "riconquista" cattolica in una diocesi del sud tra otto e novecento, una ricerca che Antonio Fino, assistente di Storia del Risorgimento presso la Facoltà di Magistero dell'Università di Lecce, ha dedicato alle vicende politiche e pastorali dell' episcopato tarantino di mons. P.A. Jorio (1885-1908), vicende che vengono scandagliate con grande scrupolosità metodologica e con un sguardo attento al più ampio contesto nazionale del confronto - scontro fra Chiesa cattolica, Stato liberale e nascente movimento operaio e contadino.
      Negli anni del decollo del Regio Arsenale, Taranto si presentava come una città abbastanza incerta nella fisionomia socio-economica, impossibilitata a mediare e ad evolvere consapevolmente nel confronto aperto con la grande industria. In questa città acefala giunse un personaggio che mostrò poi di possedere tutte le credenziali per candidarsi al comando del processo di mutazione cui la società civile, sprovvedutamente ma ineluttabilmente, stava andando incontro: monsignor Pietro Alfonso Jorio venne trasferito a Taranto il 27 marzo 1885 e prese possesso della sede arcivescovile il 1° o ottobre dello stesso anno. Così Antonio Fino descrive il personaggio: "cresciuto nel pieno fervore del processo di unificazione del Paese, a differenza di altri suoi conterranei Iorio non rifiutava il nuovo ordine di cose né aspettava fideisticamente la crisi e la disintegrazione del giovane Stato italiano. Libero da ogni legame col vecchio regime considerava ormai stabile la realtà politica nata dalla rivoluzione risorgimentale e perciò riteneva che i cattolici, accettando il dato di fatto, dovessero intervenire con tutte le loro forze e capacità, nelle forme che la legge consentiva, per modificare in senso cristiano la realtà. Uomo d'azione, Jorio non rimpiangeva il passato, né indugiava, come altri vescovi del tempo, in geremiadi sull'apostasia del mondo moderno e sulla crisi del religioso nella società contemporanea".
      Con questa prospettiva, Pietro Jorio si integrava pienamente nel lavoro dell'Opera dei congressi, l'organismo cattolico articolato in varie sezioni, una delle quali - la seconda - si occupava specificamente di opere sociali, soprattutto casse rurali e società di mutuo soccorso. Probabilmente Jorio fu solo infastidito dalla sempre più accentuata differenziazione, all'interno dell'Opera, fra la tendenza degli "intransigenti" (i cattolici non disposti ad alcuna transazione con lo Stato italiano e, nel contempo, chiusi ad ogni progetto di riforma sociale) e quella dei "democratici cristiani" (ostili allo Stato "padronale" e propugnatori dell' autorganizzazione delle classi lavoratrici). Agli occhi di Jorio l'Opera dei congressi si presentava come una ben congegnata macchina di potere, idonea a fornire una spina dorsale a quella schiera di cattolici che, seguendo rigidamente le direttive del clero, si apprestava ad "aggredire" il nuovo secolo con una articolata strategia di riappropriazione del politico e del sociale.
      Come abbiamo indicato in un nostro saggio (pubblicato nel volume collettivo La città al borgo) riuscì a far passare la sua idea, che un' organizzazione di massa e nello stesso tempo fortemente centralizzata dalla direzione  ecclesiastica era la precondizione per un positivo intervento nella Società dei "grandi numeri", un intervento che doveva penetrare in tutte le pieghe e i risvolti di una dimensione industriale che in maniera sempre nuova andava differenziandosi e articolandosi: sin dal I0 febbraio 1896 veniva costituito a Taranto il Comitato Cattolico, sostenuto da figure non secondarie del ceto benestante tarantino e anche da un numero non piccolo di operai dei cantieri. È vero che, in queste operazioni, Jorio non era un pioniere in assoluto: su scala nazionale c'era tutto un fermento motivato dalla Rerum novarum emanata cinque anni prima da Leone XIII. Eppure una certa primogenitura bisogna riconoscergliela: il Comitato cattolico di Taranto fu uno dei primi del Mezzogiorno e anche in questo la industrializzata città jonica presentava interessanti aspetti eccentrici e anticipatori differenziandosi nettamente, per esempio, dalla situazione leccese o brindisina, dove per anni non doveva segnalarsi l'esistenza né di Comitati parrocchiali o diocesani, né di Associazioni cattoliche di alcun genere).
      Ma c'è di più: sembra che monsignor Jorio, più che ottemperare con zelo alle direttive pontificie, abbia in esse riscontrato la conferma di un progetto e di uno stile di lavoro già da un pezzo inserito nella sua prospettiva. Per cui, considerando la sicurezza con cui il presule innestava il suo Comitato cattolico al centro di una sequenza d'iniziative sociali che andavano dalla "Società Cattolica del Preziosissimo Sangue" con annessa la "Cassa di Sconto e Pegni" (25 marzo 1888) ai Circoli di operai, studenti, pescatori, spazzini, degli ultimi anni dell’800, alla fondazione della Banca di Credito Agricolo e Commerciale (1899), alla Società Cattolica di M. S. "Regina Pacis" (12 febbraio 1908), certo non sembra esagerato parlare di Jorio come di un vero e proprio precursore dell' Azione Cattolica, tanto nella metodologia quanto nelle finalità.
      Si trattava di un uomo di polso, di notevoli capacità organizzative e di fiuto politico non indifferente, che perseguiva con tenacia lo scopo di costruire una direzione cattolica ( e clericale) per una comunità che tendeva a dissolversi in un pigro e aproblematico consumismo. Rispetto alle due fazioni politiche (Pietro D' Ayala Valva contra Nicola Lo Re) che si contendevano il potere con stile elettorale e con programmi veramente di piccolo cabotaggio, la figura di Jorio si stagliava con nettezza per audacia progettuale, comprendendo egli con lungimiranza la necessità, per una strategia di potere, di adeguarsi al passaggio da una realtà proto-borghese, in cui i piccoli numeri erano controllabili da un comando personale, ad una società industriale di massa, in cui i grandi numeri erano governabili solo attraverso una struttura organizzativa, ramificata e capillare nell'intervento sociale. L'ottimo libro di            Fino sviscera fino in fondo la dimensione ecclesiastica dell'intervento di Jorio , lasciando ancora aperta la questione: in che misura questa anomala figura di vescovo (fondatore di circoli cattolici, organizzazioni operaie, banche) ha inciso nell'evolversi della struttura socio-economica della città di Taranto, già agli inizi del '900 un 'anomalia iperindustriale nel Mezzogiorno d'Italia?  Bisognerebbe anche aggiungere che Jorio veniva allontanato dalla sede di Taranto senza grande rimpianto, anzi  con diffuso malanimo e ostilità nei suoi confronti. Il vescovo di Gallipoli, in una lettera del 3 maggio 1901, aveva qualificato Jorio come “cammorrista”, aggiungendo che lui e il suo alleato Pasquale Berardi erano “due menti spostate, che stanno così ai confini della follia da passarli spesso per sola distrazione”.

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