Biblioteca tarantina
Schede a cura di Roberto Nistri
ANTONIO FINO, Società civile
e "riconquista" cattolica di una diocesi del sud tra otto e novecento,
Milella, Lecce, 1983.
(ampliamento de La
riconquista di una diocesi un secolo fa,
in "La Gazzetta del Mezzogiorno", 21 giugno 1984).
La ricerca
storiografica sulla città di Taranto sta godendo di una buona stagione se è
vero che in questi Anni Ottanta, accanto ai residui di una produzione ingenua e
approssimativa, è possibile segnalare studi dalla struttura scientifica che
hanno riqualificato sul piano nazionale l'attenzione degl i storici soprattutto
"contemporaneisti": valga come esempio l' interesse attorno alla
realtà tarantina che si è evidenziato nel convegno tenutosi ai primi dì giugno
a cura dell'Istituto romano per la storia d'Italia dal fascismo alla
Resistenza. Se alcuni lavori hanno giù determinato cospicui passi avanti nella
comprensione dei lineamenti socio-economici e dell'evoluzione del movimento
operaio tarantino, possiamo ora segnalare con soddisfazione la pubblicazione di
uno studio sul movimento cattolico che provoca anche in questo campo una decisa
transizione dalla pre-o- parastoriografia alla storiografia vera e propria. Si
tratta di Società civile e
"riconquista" cattolica in una diocesi del sud tra otto e novecento,
una ricerca che Antonio Fino, assistente di Storia del Risorgimento presso la
Facoltà di Magistero dell'Università di Lecce, ha dedicato alle vicende
politiche e pastorali dell' episcopato tarantino di mons. P.A. Jorio (1885-1908),
vicende che vengono scandagliate con grande scrupolosità metodologica e con un
sguardo attento al più ampio contesto nazionale del confronto - scontro fra
Chiesa cattolica, Stato liberale e nascente movimento operaio e contadino.
Negli anni del
decollo del Regio Arsenale, Taranto si presentava come una città abbastanza
incerta nella fisionomia socio-economica, impossibilitata a mediare e ad
evolvere consapevolmente nel confronto aperto con la grande industria. In
questa città acefala giunse un personaggio che mostrò poi di possedere tutte le
credenziali per candidarsi al comando del processo di mutazione cui la società
civile, sprovvedutamente ma ineluttabilmente, stava andando incontro: monsignor
Pietro Alfonso Jorio venne trasferito a Taranto il 27 marzo 1885 e prese
possesso della sede arcivescovile il 1° o ottobre dello stesso anno. Così
Antonio Fino descrive il personaggio: "cresciuto nel pieno fervore del
processo di unificazione del Paese, a differenza di altri suoi conterranei Iorio
non rifiutava il nuovo ordine di cose né aspettava fideisticamente la crisi e
la disintegrazione del giovane Stato italiano. Libero da ogni legame col
vecchio regime considerava ormai stabile la realtà politica nata dalla
rivoluzione risorgimentale e perciò riteneva che i cattolici, accettando il
dato di fatto, dovessero intervenire con tutte le loro forze e capacità, nelle
forme che la legge consentiva, per modificare in senso cristiano la realtà.
Uomo d'azione, Jorio non rimpiangeva il passato, né indugiava, come altri
vescovi del tempo, in geremiadi sull'apostasia del mondo moderno e sulla crisi
del religioso nella società contemporanea".
Con questa
prospettiva, Pietro Jorio si integrava pienamente nel lavoro dell'Opera dei
congressi, l'organismo cattolico articolato in varie sezioni, una delle quali -
la seconda - si occupava specificamente di opere sociali, soprattutto casse
rurali e società di mutuo soccorso. Probabilmente Jorio fu solo infastidito
dalla sempre più accentuata differenziazione, all'interno dell'Opera, fra la
tendenza degli "intransigenti" (i cattolici non disposti ad alcuna
transazione con lo Stato italiano e, nel contempo, chiusi ad ogni progetto di
riforma sociale) e quella dei "democratici cristiani" (ostili allo
Stato "padronale" e propugnatori dell' autorganizzazione delle classi
lavoratrici). Agli occhi di Jorio l'Opera dei congressi si presentava come una
ben congegnata macchina di potere, idonea a fornire una spina dorsale a quella
schiera di cattolici che, seguendo rigidamente le direttive del clero, si
apprestava ad "aggredire" il nuovo secolo con una articolata
strategia di riappropriazione del politico e del sociale.
Come abbiamo
indicato in un nostro saggio (pubblicato nel volume collettivo La città al borgo) riuscì a far passare
la sua idea, che un' organizzazione di massa e nello stesso tempo fortemente
centralizzata dalla direzione
ecclesiastica era la precondizione per un positivo intervento nella
Società dei "grandi numeri", un intervento che doveva penetrare in tutte
le pieghe e i risvolti di una dimensione industriale che in maniera sempre
nuova andava differenziandosi e articolandosi: sin dal I0 febbraio 1896 veniva
costituito a Taranto il Comitato Cattolico, sostenuto da figure non secondarie
del ceto benestante tarantino e anche da un numero non piccolo di operai dei
cantieri. È vero che, in queste operazioni, Jorio non era un pioniere in
assoluto: su scala nazionale c'era tutto un fermento motivato dalla Rerum novarum emanata cinque anni prima
da Leone XIII. Eppure una certa primogenitura bisogna riconoscergliela: il
Comitato cattolico di Taranto fu uno dei primi del Mezzogiorno e anche in
questo la industrializzata città jonica presentava interessanti aspetti
eccentrici e anticipatori differenziandosi nettamente, per esempio, dalla
situazione leccese o brindisina, dove per anni non doveva segnalarsi
l'esistenza né di Comitati parrocchiali o diocesani, né di Associazioni
cattoliche di alcun genere).
Ma c'è di più:
sembra che monsignor Jorio, più che ottemperare con zelo alle direttive
pontificie, abbia in esse riscontrato la conferma di un progetto e di uno stile
di lavoro già da un pezzo inserito nella sua prospettiva. Per cui, considerando
la sicurezza con cui il presule innestava il suo Comitato cattolico al centro
di una sequenza d'iniziative sociali che andavano dalla "Società Cattolica
del Preziosissimo Sangue" con annessa la "Cassa di Sconto e
Pegni" (25 marzo 1888) ai Circoli di operai, studenti, pescatori,
spazzini, degli ultimi anni dell’800, alla fondazione della Banca di Credito
Agricolo e Commerciale (1899), alla Società Cattolica di M. S. "Regina
Pacis" (12 febbraio 1908), certo non sembra esagerato parlare di Jorio
come di un vero e proprio precursore dell' Azione Cattolica, tanto nella metodologia
quanto nelle finalità.
Si trattava di
un uomo di polso, di notevoli capacità organizzative e di fiuto politico non
indifferente, che perseguiva con tenacia lo scopo di costruire una direzione
cattolica ( e clericale) per una comunità che tendeva a dissolversi in un pigro
e aproblematico consumismo. Rispetto alle due fazioni politiche (Pietro D'
Ayala Valva contra Nicola Lo Re) che
si contendevano il potere con stile elettorale e con programmi veramente di
piccolo cabotaggio, la figura di Jorio si stagliava con nettezza per audacia
progettuale, comprendendo egli con lungimiranza la necessità, per una strategia
di potere, di adeguarsi al passaggio da una realtà proto-borghese, in cui i
piccoli numeri erano controllabili da un comando personale, ad una società
industriale di massa, in cui i grandi numeri erano governabili solo attraverso
una struttura organizzativa, ramificata e capillare nell'intervento sociale.
L'ottimo libro di Fino
sviscera fino in fondo la dimensione ecclesiastica dell'intervento di Jorio ,
lasciando ancora aperta la questione: in che misura questa anomala figura di
vescovo (fondatore di circoli cattolici, organizzazioni operaie, banche) ha
inciso nell'evolversi della struttura socio-economica della città di Taranto, già
agli inizi del '900 un 'anomalia iperindustriale nel Mezzogiorno d'Italia? Bisognerebbe anche aggiungere che Jorio
veniva allontanato dalla sede di Taranto senza grande rimpianto, anzi con diffuso malanimo e ostilità nei suoi
confronti. Il vescovo di Gallipoli, in una lettera del 3 maggio 1901, aveva
qualificato Jorio come “cammorrista”, aggiungendo che lui e il suo alleato
Pasquale Berardi erano “due menti spostate, che stanno così ai confini della
follia da passarli spesso per sola distrazione”.
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