giovedì 31 luglio 2014

Biblioteca tarantina. Incontri a Taranto: con Claudio Fava. Con Alessandro Leogrande




Biblioteca tarantina

Schede a cura di Roberto Nistri



Incontri a Taranto: con Claudio Fava (Sud 1995).

“Questa città si è arresa molto tempo fa. Ma nessuno si fa avanti per conquistarla”, mi ha spiegato Roberto Nistri. Insegna filosofia ai ragazzi del classico e non sembra un uomo felice. Un tempo cercò invano le parole e i compagni per fare la rivoluzione. Adesso che è rimasto solo si è messo a scrivere libri, il prossimo su Giordano Bruno. E intanto raccoglie ritagli e pensieri su Taranto. Qualcuno lo va ancora a trovare: professore, gli dicono, siamo nella merda. “Siamo figli del Mediterraneo” , fa lui. “Abbiamo tirato a campare facendoci conquistare dagli altri. Greci, turchi, aragonesi, angioini, svevi… Celebriamo il mito dei vinti”. Fuma certi sigari lunghi e sottili. Inspira, tossisce. Lo vedresti in un bistrot di Saint-Germain. Invece dalla sua finestra si scorgono i camini dell’Ilva, l’acciaieria. Dice: “ C’è stato un momento in cui se fosse venuto un tipo a dire, buongiorno signori, voglio comprarmi la città, gliel’avrebbero data subito. Il fatto è che non si è presentato nessuno”. Non è esatto, professore. Uno si è fatto avanti: Giancarlo Cito. Se l’è presa lui la città. “In questa città non c’è nulla da dirigere”, dice il professore. Lo senti incattivito. Per se stesso, più che per Taranto. Dice: “Si è guardato in giro? Abbiamo consumato quello che c’era da consumare, ricchezza, orgoglio. Ma il potere a Taranto è “una scatola vuota, un gioco di gregari”. Si fa in fretta ad andare via da Taranto. Me lo diceva anche Nistri, il professore di filosofia: “Siamo come un popolo di pellirosse in fuga, cancelliamo le nostre tracce. Le facce si consumano rapidamente , ti guardi intorno e non riconosci più nessuno”. Lui, però, non se n’è andato.
      Incontri a Taranto:  con Alessandro Leogrande (Fumo sulla città, 2013). Nistri, storico cittadino e punto di riferimento per molti di noi, è stato insegnante di filosofia al mio ex liceo, il vetusto Archita, per almeno tre decenni. Ora è in pensione. Oltre che coordinare due amplissimi volumi collettivi (Dagli ulivi agli altiforni e L’età dell’acciaio, ha dedicato alla città una decina di libri e continua a scriverne almeno uno ogni due anni. Sono stato a trovarlo durante le vacanze di Natale e abbiamo chiacchierato un intero pomeriggio nel suo studio, tra scaffali stracolmi di libri, dvd e cimeli della nuova sinistra… Ha anche un blog in cui raccoglie i suoi articoli sulla città: si chiama Nistrikòs. Negli anni ho imparato che il suo pessimismo lucido, espresso in una inconfondibile voce rauca a causa del fumo della pipa e delle sigarette, è una bussola con cui confrontarsi, anche quando magari non si è del tutto d’accordo… “Quella struttura era già vecchia quando è nata l’Italsider. Era stravecchia quando se l’è presa Riva. Riabilitarla è difendere l’indifendibile. Una acciaieria integralmente nuova verrebbe a costare molto di meno”. E quindi?, gli chiedo… “Riva in questo momento sta inquinando. Tra cinque minuti sta ancora inquinando, domani inquinerà ancora. E noi dobbiamo attrezzarci perché il picco della tossicità si farà sentire tra 15-20 anni… Allora ti dico: un ragazzo di sedici anni che vive ai Tamburi che idea può avere del suo futuro?”.  E’ uno dei motivi - gli dico, per cui è inevitabile un intervento forte dello Stato… “La gente sta aspettando. Quando capirà che il governo adotta la strategia della sedia a dondolo (ci si muove, ma non si va da nessuna parte) potrebbe scoppiare il putiferio”. Colui che abbiamo sempre chiamato il Professore o, nella variante tarantina, u’professore, tiene fermo il punto del suo ragionamento e borbotta: “Questa terra è la nostra terra”…

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