Biblioteca tarantina
Schede a cura di Roberto Nistri
LINO DE MATTEIS (a cura di), Fianco Sud. Puglia, Mezzogiorno, Terzo Mondo: rapporto sui processi
di militarizzazione. Piero Manni ed,
Lecce 1969.
(Terra di frontiera,
in "Quotidiano" del 17 novembre 1989)
II Regio
Arsenale di Taranto venne inaugurato ufficialmente il 21 agosto 1889 con la
visita di Umberto I, accompagnato dal principe di Napoli Vittorio Emanuele e da
Francesco Crispi. Come si usa quando si attendono ospiti illustri, il comitato
organizzatore della festa fece del suo meglio per garantire una buona
accoglienza: come hanno ricordato in un loro saggio Vuozzo e Della Ricca.
Vennero cosparse di sabbia le zone più luride, i muretti pericolanti venero
spalmati di sapone onde evitare che qualcuno vi si potesse arrampicare, gruppi
di prestanti cittadini vennero pagati perché applaudissero al re.
La celebrazione risultò solenne ma anche sinceramente
festosa, in una gara di tricolori e di fiori, di fiaccole e fuochi d'artificio.
Mentre il sovrano ringraziava dei fiori e accarezzava le fanciulle dello Istituto VerginelIe, come ricorda il
cronista de "La Voce del Popolo", alcuni personaggi di buon appetito
"presero d'assalto il buffet e lo divorarono tutto. Ci furono certi
amicissimi del Municipio che empirono i fazzoletti di quel ben di Dio ch' era
al buffet, portandoli a casa!".
Mentre gli amici
del Municipio erano intenti ad abbuffarsi, un amabile conversare veniva
registrato da Roberto Bracco, che collaborava al "Corriere di Napoli"
con il curioso pseudonimo di Baby: "II Re era di buonissimo umore. Presso
al bacino disse a Brin: Fatemene una diecina di questi bacini per accogliere
una diecina di queste Italie. Crispi soggiunse: Quanto a me, non desidero che
cento milioni di lire per comperare un altro milione di fucili a cento lire
ognuno. Altri discorsi simpatici si fecero durante la
visita. lo domandavo all' elegante generale Guidotti quando
sarebbe divenuto generale d'armata ed egli, rivolgendosi a Crispi, disse: Sarò
generale d'armata, quando Crispi mi farà una guerra".
Cento anni sono
trascorsi da quei bei giorni, una lunga storia che certo non può essere
liquidata con le facili battute su una Taranto progressivamente divorata da
quelle eterne gole profonde degli Amici del Municipio e dei Signori della
Guerra. Intervenendo al convegno conclusivo delle manifestazioni celebrative
per il centenario del grande cantiere navale, Giovanni Spadolini ha giustamente
sottolineato come la storia dell'Arsenale sia la storia di tutta una città e
anche un pezzo, tutt' altro che insignificante, della storia d'Italia. Una
storia dalla quale molte lezioni possiamo trarre, perché venga interrogata e
compresa nella sua globalità. Non è un
buffet, dove poter scegliere le pietanze di proprio gradimento.
Le mortificazioni di un territorio strategicamente asservito
alla industria bellica; le oscillazioni di un'economia in espansione quando
particolarmente aggressiva è stata la politica estera (dalla conquista della
Libia alla prima guerra mondiale, dalla crisi etiopica al secondo conflitto) e
pesantemente recessiva quando si è esaurita la spinta bellica (il "biennio
rosso" nel primo dopoguerra, la paralisi dei cantieri dopo il '45); il
clientelismo elettorale di guerrafondai come Federico Di Palma e le spietate
discriminazioni e i licenziamenti di arsenalotti per motivi politici; la nuclearizzazione
del territorio che sottende la costruzione della Base navale a Mar Grande;
siamo convinti che anche di questi argomenti si sia discusso nel convegno dal
titolo allettante, L'Arsenale militare
marittimo di Taranto tra politica, strategia di difesa e sviluppo industriale.
Ma, per il
prevalere dello spirito di clan e della tradizionale vocazione autarchica, i
risultati del convegno rimangono per noi arcana
imperii: pur ripetendo continuamente che la storia dell' Arsenale è la
storia di Taranto, la manifestazione si è svolta non in un locale pubblico ma
nel chiuso del Circolo Ufficiali, tirando fuori gli inviti da una manica molto
stretta (le riprese televisive hanno mostrato, fra l'altro, come non pochi
posti siano rimasti inutilizzati). Non sono state invitate le segreterie
territoriali di Cgil, Cisl e UiI. Non sono stati invitati studiosi tarantini
che, sulle vicende dell'industria navalmeccanica, hanno più volte relazionato a
convegni nazionali ed hanno pubblicato ricerche ampiamente citate in testi
autorevoli, come il volume dedicato alla Puglia della einaudiana Storia d'Italia e quello dedicato a
Taranto della collana laterziana Le città
nella storia d'Italia.
Agli esclusi
dall'ufficialesco cenacolo consigliamo, come proficua alternativa, la lettura
di un eccellente volume: Fianco Sud -
Puglia, Mezzogiorno, Terzo Mondo: rapporto sui processi di militarizzazione. Con grande maestria
gli autori hanno condensato in 140 leggibilissime pagine una gran mole di
informazioni aggiornate su tutti gli insediamenti bellici in Puglia e una
meditata riflessione sulla strategia aggressiva che si viene a delineare, con
la nuova Base di Taranto come testa di ponte.
Come spiega nel suo saggio Lino De Matteis, l'ampliamento
della base navale a Taranto, i Tornado a Gioia del Colle, la 61° Brigata aerea
a Galatina, la base americana di San Vito dei Normanni, il battaglione
"San Marco" a Brindisi, i poligoni militari sulla Murgia barese, la
"Cittadella militare" a Lecce, sono solo alcuni momenti del più generale
processo di militarizzazione che, con l'installazione degli F 16 a Crotone e lo
spostamento da Londra a Napoli del Comando delle forze navali Usa in Europa,
tende a rafforzare il ruolo strategico del Fianco Sud della Nato.
Una
militarizzazione che denuncia la volontà dell'alleanza Atlantica, assecondata
dalla politica della Difesa italiana, di trasformare il Mezzogiorno d'Italia in
un avamposto non solo contro i paesi dell'Est ma, e soprattutto, contro i paesi
africani e mediorientali. Un avamposto militare insomma proteso verso il Terzo
Mondo, pronto ad intervenire qualora lo sviluppo di quei paesi dovesse sfuggire
al controllo o minacciare gli interessi dell'Occidente industrializzato.
Questo volume vuole essere un contributo alla
cultura della pace e questo filo conduttore si svolge con perfetta coerenza
anche negli altri saggi, tutti rigorosamente argomentati, di Nicola Occhiofino,
Tonino Bello, Manlio Dinucci, Loredana Flore e Mario Proto. Il volume si chiude
degnamente con le parole dei vescovi della Metropolia di Bari: "È già
pesante il pedaggio che la Puglia sta pagando, in fatto di servitù, ai
programmi di riassetto militare. Eppure il nostro popolo ha espresso più volte,
in termini civili e democratici, il netto proposito di non lasciarsi
spossessare del diritto di decidere sul suo presente. E anche sul suo futuro,
ha chiaramente manifestato di volergli imprimere concrete proiezioni di pace
... Oggi più che mai, infatti, la Puglia è chiamata, dalla storia e dalla
geografia, a protendersi nel suo mare come 'arca' di pace, e non curvarsi
minacciosamente come 'arco' di guerra".
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