SALVATORE QUASIMODO, Leonida
di Taranto, Catalogo a cura dell'Amministrazione Provinciale di Taranto,
Tipografia Jonica Editrice, 1969. SALVATORE QUASIMODO, Leonida di Taranto, con
un saggio su Quasimodo di Carlo Bo, Presentazione di Antonio Rizzo, Lacaita
Editore, Manduria 1969.
(ampliamento de La
voce del mite poeta, in "Quotidiano" del 9 marzo 1966).
Apprendiamo
dalla stampa che molto probabilmente l'archivio di Salvatore Quasimodo finirà
all'estero. Il figlio del Premio Nobel 1959 per la poesia, l'attore Alessandro
Quasimodo, dichiara di non essere più in grado di curare personalmente un
patrimonio di carte, documenti e quadri, che per 28 anni ha custodito e messo a
disposizione degli studiosi (molte fotografie sono state pubblicate in Salvatore Quasimodo. Biografia per immagini, di Rosalma Salina Borello e
Patrizia Barbaro, Gribaudo 1995). Fino ad ora l'eredità del Poeta non è stata
smembrata e non è stata ceduta neanche una delle preziose opere d'arte
conservate (di Guttuso, BirolIi, Sironi, Manzù, Cassinari ... ). Ma alle
istituzioni pubbliche milanesi sembra che l'archivio non interessi, mentre con
la Regione Sicilia e con il Comune di Messina ci sono state trattative per
creare una memorial house, senza
tuttavia produrre risultati. È quindi possibile che Alessandro Quasimodo decida
di vendere all' estero questo pregiato fondo, eventualità questa che non può
non farmi malinconicamente rievocare quel lontano incontro a Taranto con
Quasimodo, quasi trent'anni fa: uno di quei momenti aurei che nutrono la
memoria e rendono vera la vita.
A determinare il matrimonio spirituale fra il Poeta e la
città bimare fu Antonio Rizzo, il più grande operatore culturale nella storia
della Taranto moderna: fu lui che invitò Quasimodo a tradurre in panni moderni
gli epigrammi dell'antico Leonida, ben avvertendo l'intima comunanza fra i due
grandi poeti mediterranei. E, dopo la pronta adesione del Nobe1, Rizzo continuò
ad esercitare un ruolo poco visibile ma assolutamente decisivo in tutta
l'operazione (come attesta l'epistolario pubblicato da Aldo Perrone in Lettere ad Antonio Rizzo, Taranto 1992)
che doveva liberare Leonida dalla pania delle traduzioni pedanti e accademiche
e nel contempo produrre di Quasimodo il lascito maggiore (come doveva
confermare tutta la critica, dopo che la traduzione venne diffusa dapprima per
le edizioni Apollinaire, poi Lacaita e infine Mondadori).
La sera della
lettura, l’ 11 aprile del '67, nel salone della Provincia di Taranto, una
strepitosa folla di tarantini visse l'istante magico dell'incontro fra due
"immortali". L'identificazione del siciliano Quasimodo col
greco-tarantino Leonida fu totale. In una sorta di testamento spirituale Quasimodo
delineò del "poeta degli umili e della morte" un ritratto che era il
suo estremo autoritratto: "Ogni poeta lascia di sé la figura più velata e
più esatta".
Il pubblico fu
percorso da un fremito durante la lettura della mirabile traduzione: "Molto
lontano dormo dalla terra / d'Italia e dalla mia patria, Taranto. / Questo è
per me più amaro della morte,Tale Tale è la vana vita d'ogni nomade. / Ma le
Muse mi amarono, e per tutte / le mie sventure mi diedero in cambio / la
dolcezza del miele./ Il nome di Leonida non è morto. / I doni delle Muse lo
tramandano / per ogni tempo". E Quasimodo ricordava il dialogo costante,
mai interrotto del tarantino col mare: i porti fitti di velieri, le tempeste, i
naufragi, i dispersi fra le onde. Leggeva in Leonida "il tempo intero di
un pellegrinaggio nel Mediterraneo, a colloquio con le leggende create dal
popolo a proposito delle tragedie misteriose degli abissi". Sulle acque
agitate i marinai alzano le vele: è l'umanità "della sorte meridionale che
agisce come in una tragedia greca, senza staccarsi però dalla propria radice
materiale". Il mare di Leonida veniva Ietto da Quasimodo come il luogo
universale dell'esilio ma anche del ritorno: alla giovinezza di tutti i poeti,
"al desiderio, al possesso di una patria, o di una terra comune". Dal
luogo dell'eterno toccarsi del mare e della terra, Quasimodo-Leonida restituiva
al sud l'antica dignità di soggetto del pensiero poetante, liberandolo dai
paradigmi dell'arretratezza e della subalternità.
Personalmente ebbi
modo di godere, il giorno dopo, di un secondo incontro con il Maestro,
improvvisato grazie a Rizzo nella civica Biblioteca Acclavio, con un gruppo di
giovani studenti universitari. Conservo gelosamente una foto che ritrae
l'illustre ospite attorniato dai ragazzi dell'anno prima del '68, tutti con gli
occhiali modello "ragioniere" e un look poveramente finto-adulto. Con
grande disponibilità il Nobel rispose pacatamente alle domande più
scombiccherate; ebbe molta pazienza anche con un personaggio alquanto alterato
che lo accusava di essersi fatto integrare nella Società dei consumi (proprio
lui che non frequentava i salotti, che viveva a Milano in casa d'affitto e non
rifiutava mai spiegazioni e aiuti a quanti, giovani o meno giovani, bussavano
alla sua porta). Fummo sorpresi e commossi nel sentirlo discutere con noi sulla
tensione civile e critica che anima ogni espressione autenticamente poetica,
contro le tentazioni dell'estetismo consolatorio e d'evasione. Quello era, lo
capimmo, un grande uomo: mite, gentile, premuroso con tutti. A distanza di
tanti anni, mentre si affolla il rumoroso empireo dei corsari della
cultura-spettacolo, per fortuna posso ricordare l'esempio di un Nobel all'apice
della fama, giunto all'immortalità attraverso la poesia, che era rimasto un
uomo integro, indifferente ai miti della società del benessere.
Nel
giugno del '78 Rizzo organizzò a Taranto un incontro con il figlio dello
scomparso poeta e insieme riascoltammo, da un registratore, quella voce di
undici anni prima, che ripeteva le ragioni di una poesia. Poi anche Rizzo se ne
è andato e quella Taranto sembra dimenticata e anche le carte di Quasimodo
stanno per volare via. Ci rimane, nella stanza della memoria, solo la parola
del poeta: il nome di Leonida non è morto.
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