mercoledì 30 luglio 2014

Biblioteca tarantina: Salvatore Quasimodo



Salvatore Quasimodo a Taranto. Archivio privato

Biblioteca tarantina


Schede a cura di Roberto Nistri


SALVATORE QUASIMODO, Leonida di Taranto, Catalogo a cura dell'Amministrazione Provinciale di Taranto, Tipografia Jonica Editrice, 1969. SALVATORE QUASIMODO, Leonida di Taranto, con un saggio su Quasimodo di Carlo Bo, Presentazione di Antonio Rizzo, Lacaita Editore, Manduria 1969.
(ampliamento de La voce del mite poeta, in "Quotidiano" del 9 marzo 1966).


      Apprendiamo dalla stampa che molto probabilmente l'archivio di Salvatore Quasimodo finirà all'estero. Il figlio del Premio Nobel 1959 per la poesia, l'attore Alessandro Quasimodo, dichiara di non essere più in grado di curare personalmente un patrimonio di carte, documenti e quadri, che per 28 anni ha custodito e messo a disposizione degli studiosi (molte fotografie sono state pubblicate in Salvatore Quasimodo. Biografia per immagini, di Rosalma Salina Borello e Patrizia Barbaro, Gribaudo 1995). Fino ad ora l'eredità del Poeta non è stata smembrata e non è stata ceduta neanche una delle preziose opere d'arte conservate (di Guttuso, BirolIi, Sironi, Manzù, Cassinari ... ). Ma alle istituzioni pubbliche milanesi sembra che l'archivio non interessi, mentre con la Regione Sicilia e con il Comune di Messina ci sono state trattative per creare una memorial house, senza tuttavia produrre risultati. È quindi possibile che Alessandro Quasimodo decida di vendere all' estero questo pregiato fondo, eventualità questa che non può non farmi malinconicamente rievocare quel lontano incontro a Taranto con Quasimodo, quasi trent'anni fa: uno di quei momenti aurei che nutrono la memoria e rendono vera la vita.
A determinare il matrimonio spirituale fra il Poeta e la città bimare fu Antonio Rizzo, il più grande operatore culturale nella storia della Taranto moderna: fu lui che invitò Quasimodo a tradurre in panni moderni gli epigrammi dell'antico Leonida, ben avvertendo l'intima comunanza fra i due grandi poeti mediterranei. E, dopo la pronta adesione del Nobe1, Rizzo continuò ad esercitare un ruolo poco visibile ma assolutamente decisivo in tutta l'operazione (come attesta l'epistolario pubblicato da Aldo Perrone in Lettere ad Antonio Rizzo, Taranto 1992) che doveva liberare Leonida dalla pania delle traduzioni pedanti e accademiche e nel contempo produrre di Quasimodo il lascito maggiore (come doveva confermare tutta la critica, dopo che la traduzione venne diffusa dapprima per le edizioni Apollinaire, poi Lacaita e infine Mondadori).
      La sera della lettura, l’ 11 aprile del '67, nel salone della Provincia di Taranto, una strepitosa folla di tarantini visse l'istante magico dell'incontro fra due "immortali". L'identificazione del siciliano Quasimodo col greco-tarantino Leonida fu totale. In una sorta di testamento spirituale Quasimodo delineò del "poeta degli umili e della morte" un ritratto che era il suo estremo autoritratto: "Ogni poeta lascia di sé la figura più velata e più esatta".
      Il pubblico fu percorso da un fremito durante la lettura della mirabile traduzione: "Molto lontano dormo dalla terra / d'Italia e dalla mia patria, Taranto. / Questo è per me più amaro della morte,Tale Tale è la vana vita d'ogni nomade. / Ma le Muse mi amarono, e per tutte / le mie sventure mi diedero in cambio / la dolcezza del miele./ Il nome di Leonida non è morto. / I doni delle Muse lo tramandano / per ogni tempo". E Quasimodo ricordava il dialogo costante, mai interrotto del tarantino col mare: i porti fitti di velieri, le tempeste, i naufragi, i dispersi fra le onde. Leggeva in Leonida "il tempo intero di un pellegrinaggio nel Mediterraneo, a colloquio con le leggende create dal popolo a proposito delle tragedie misteriose degli abissi". Sulle acque agitate i marinai alzano le vele: è l'umanità "della sorte meridionale che agisce come in una tragedia greca, senza staccarsi però dalla propria radice materiale". Il mare di Leonida veniva Ietto da Quasimodo come il luogo universale dell'esilio ma anche del ritorno: alla giovinezza di tutti i poeti, "al desiderio, al possesso di una patria, o di una terra comune". Dal luogo dell'eterno toccarsi del mare e della terra, Quasimodo-Leonida restituiva al sud l'antica dignità di soggetto del pensiero poetante, liberandolo dai paradigmi dell'arretratezza e della subalternità.
      Personalmente ebbi modo di godere, il giorno dopo, di un secondo incontro con il Maestro, improvvisato grazie a Rizzo nella civica Biblioteca Acclavio, con un gruppo di giovani studenti universitari. Conservo gelosamente una foto che ritrae l'illustre ospite attorniato dai ragazzi dell'anno prima del '68, tutti con gli occhiali modello "ragioniere" e un look poveramente finto-adulto. Con grande disponibilità il Nobel rispose pacatamente alle domande più scombiccherate; ebbe molta pazienza anche con un personaggio alquanto alterato che lo accusava di essersi fatto integrare nella Società dei consumi (proprio lui che non frequentava i salotti, che viveva a Milano in casa d'affitto e non rifiutava mai spiegazioni e aiuti a quanti, giovani o meno giovani, bussavano alla sua porta). Fummo sorpresi e commossi nel sentirlo discutere con noi sulla tensione civile e critica che anima ogni espressione autenticamente poetica, contro le tentazioni dell'estetismo consolatorio e d'evasione. Quello era, lo capimmo, un grande uomo: mite, gentile, premuroso con tutti. A distanza di tanti anni, mentre si affolla il rumoroso empireo dei corsari della cultura-spettacolo, per fortuna posso ricordare l'esempio di un Nobel all'apice della fama, giunto all'immortalità attraverso la poesia, che era rimasto un uomo integro, indifferente ai miti della società del benessere.
      Nel giugno del '78 Rizzo organizzò a Taranto un incontro con il figlio dello scomparso poeta e insieme riascoltammo, da un registratore, quella voce di undici anni prima, che ripeteva le ragioni di una poesia. Poi anche Rizzo se ne è andato e quella Taranto sembra dimenticata e anche le carte di Quasimodo stanno per volare via. Ci rimane, nella stanza della memoria, solo la parola del poeta: il nome di Leonida non è morto.

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